ILVA. RAGGIUNTO L’ACCORDO. IMMEDIATAMENTE 300 MILIONI DI EURO PER IL RISANAMENTO
È stata la giornata delle buone intenzioni pensate per salvare Taranto, la sua economia, il suo ambiente e per dare un futuro all’industria italiana dell’acciaio.
C’è voluto un procedimento della magistratura – il cui esito è atteso con il fiato sospeso di ora in ora – perché il destino di Ilva e della importante città industriale diventasse oggetto di attenzione nazionale – anche mediatica. Per dirla con il segretario Uil Angeletti «è in gioco la credibilità dell’Italia, perché se Ilva chiude per il nostro Paese è finita».
Ecco il punto ineludibile: se Ilva chiude, se i magistrati stabiliranno che finora nello stabilimento – che è più grande dell’area cittadina e che occupa più addetti che Mirafiori e dà lavoro in un indotto che arriva fino alla Calabria, vale a dire che 20mila famiglie campano di acciaio – sono state violate le leggi che fissano un tetto alle emissioni inquinanti, le misure adottate ieri lungo quattro ore di riunione (prima tra il governo e le istituzioni locali e alcuni parlamentari pugliesi, poi tra il governo e le parti sociali: l’azienda non era stata invitata) potrebbero dover fare i conti con provvedimenti giudiziari devastanti. Ma per ora i magistrati non si sono espressi, lo ha fatto invece la politica.
Il ministro Corrado Clini, che con il sottosegretario Catricalà ha accolto a palazzo Chigi gli interlocutori anche a nome dei colleghi Passera e Barca, ha spiegato in conferenza stampa le misure adottate. Intanto saranno utilizzate immediatamente le risorse disponibili, senza attendere il riempimento del borsellino (100 milioni sono stati messi a disposizione dalla Regione, 156 milioni sono a carico del governo, di cui 62 cash, per gli altri si aspetta il via libera del Cipe, a fine mese; altri 95 milioni potrebbero arrivare dal Pon ricerca e competitività, per interventi non urgentissimi) per cominciare a bonificare le falde, il mare. Sarà fissato un piano per allargare l’area di risanamento a cominciare dal quartiere Tamburi che è a ridosso dello stabilimento. Si ipotizza anche la riqualificazione di un’area vasta in cui operano altre aziende, coinvolgendo sindacati e Confindustria. Tutto questo sarà contenuto nel protocollo d’intesa che verrà firmato giovedì 26 (forse a Bari) e di cui sarà responsabile-attuatore il governatore Nichi Vendola.
«Non si può rischiare di perdere il sito di Taranto», ha aggiunto Clini, il quale, interpellato in merito all’articolo 15 del decreto Sviluppo che potrebbe annullare gli interventi sulla bonifica del porto e sugli interventi infrastrutturali, ha detto: «Stiamo trovando la soluzione». E effettivamente ieri sera a tarda ora in commissione Attività produttive della Camera è stato approvato un emendamento correttivo presentato da Ludovico Vico (Pd) che è finito così nel testo del decreto su cui il governo ha chiesto il voto di fiducia. È toccato poi a Vendola sottolineare l’impatto politico della riunione: ha ricordato che dalla Puglia è arrivato un pacchetto di leggi rivoluzionarie sull’emissione di diossine, sull’emissione di benzoapirene e sul danno sanitario, norme varate per tenere insieme attività produttiva e difesa della salute. Quindi ha concluso: «L’inquinamento di Taranto è una storia lunga 120 anni, in gran parte è inquinamento di Stato e l’Italia, che ha potuto usufruire dei sacrifici di Taranto, ora deve farsene carico».
Ma c’è anche il lavoro da tutelare, tema su cui hanno insistito i sindacati, da Ugl a Cisl, da Uil a Cgil: tutti hanno chiesto di coinvolgere l’azienda – che infatti lunedì sarà a palazzo Chigi – per convincerla a condividere l’accordo di programma. L’appello in realtà era stato già superato dalle dichiarazioni di Alessandro Laterza, vicepresidente di Confindustria che in riunione aveva detto: «L’Ilva è un pezzo fondamentale del sistema industriale italiano e siamo quindi preoccupati dall’iniziativa della procura. Se abbiamo un’indicazione dall’Europa recepiamola: è necessario rispettare i vincoli, ma questi vanno definiti precisati e condivisi. L’Ilva non si è mai negata al confronto ed è assolutamente disponibile, ma dobbiamo ragionare ad un progetto di area».
Ma cosa farà Ilva se la magistratura chiedesse di sospendere la lavorazione a caldo, ordinando di fatto la chiusura dell’acciaieria? Ogni ipotesi è possibile, ma a far intravedere una possibile, negativa, conclusione è stata Susanna Camuso. Tra tante parole la segretaria di Cgil ha detto anche queste: «Incombono possibili scelte aziendali che vanno nella direzione opposta a quella della prospettiva produttiva». Il gruppo Riva potrebbe lasciare Taranto?
Rosanna Lampugnani sul Corriere del Mezzogiorno