MAFIA, ORA LA LOTTA SI FA GLOBALE. INGROIA: “IL CONSENSO PUNTO DI SVOLTA. CLAN SALENTINI SEMPRE PIU’ PERICOLOSI”
Arriva nel Salento dopo una settimana difficile, intensa: il braccio di ferro con il Quirinale; la proposta dell’Onu per una commissione in Guatemala. Antonio Ingroia, 53 anni, procuratore aggiunto di Palermo, si gode il sabato pomeriggio a Otranto prima di un incontro pubblico.
Antimafia, il tema. Ci sono da smaltire le tensioni con il Colle per l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia dopo le stragi del ’92, di cui proprio Ingroia è titolare; preparare le valigie per l’incarico proposto dalle Nazioni unite, accettato da magistrato siciliano in attesa de disco verde del Csm. Tuttavia la voglia di parlare, analizzare fenomeni, inquadrare scenari, non ne risente. Si parte dal futuro. Si approda nel passato. Seguendo le impennate dell’ottimismo e le planate dello scetticismo.
In un intervista del 2006 lei ha dichiarato che abbiamo una “mafia più civile” e una “società più mafiosa” che ha introiettato i modelli perversi del crimine. Cos’è cambiato?
Temo che, complessivamente, il quadro sia peggiorato. Certo, ci sono incoraggianti inversioni di tendenza: i giovani, il volontariato, la nuova vitalità dell’imprenditoria e dell’antiracket. Ma ad oggi i modelli prevalenti, mutuati dalla criminalità sono quelle dell’elusione della legge, della cultura dell’illegalità dilagante, della sovrapposizione degli interessi privati e delle lobbies di potere alle esigenze primarie della collettività. E questo anche con la complicità di certa politica.
I passaggi critici in genere comportano un ripensamento degli stili di vita. Nessun insegnamento dalla contingenza?
Voglio essere ottimista: forse proprio con l’economia in affanno si comincia a intuire quanto l’illegalità sia una zavorra insostenibile per l’intero apparato economico-produttivo. E lo si capisce dalle direttrici lungo le quali si muove il governo Monti. C’è come un’attesa di cambiamento che si traduce in una spinta alla partecipazione, elemento senza alcun dubbio positivo.
In Puglia e nel Salento la crisi sembra alimentare altre dinamiche. Le ultime indagini parlano di una particolare propensione ad accettare le lusinghe della criminalità, anche per far fronte ai piccoli bisogni quotidiani, atteggiamento che si traduce in un maggior consenso sociale.
La ricerca del consenso è tipica delle organizzazioni di massa nel momento in cui si fanno fenomeno diffuso. La criminalità pugliese è molto più giovane di quella siciliana. Il mafioso non ha più bisogno di cercare il consenso. Per essere più precisi: in Sicilia si è passati dal consenso duraturo e diffuso alla fase del terrore nel momento in cui l’organizzazione ha iniziato ha perdere presa per l’incalzare di un’evidente opposizione. Così oggi la mafia agisce sulla leva della convenienza economica.
Se questa è l’evoluzione storica vuol dire che Puglia e Salento si trovano a vivere una fase di svolta: il consenso come saldatura sociale di un fenomeno non più percepito come corpo estraneo?
Ho paura di si. E in questo molto meglio di me ha argomentato il procuratore distrettuale antimafia Cataldo Motta. Ma da quello che percepisco per quanto ho visto e letto, è indubbio che la criminalità locale viva un momento di crescita qualitativa particolarmente preoccupante.
Fonte
Quotidiano di Puglia del 22 luglio 2012