IMMIGRAZIONE: UNO STRANIERO IN ITALIA GUADAGNA IN MEDIA 972 EURO, 316 EURO IN MENO RISPETTO AD UN ITALIANO
Lo studio della Fondazione Moressa. Al Nord gli stipendi più elevati e i differenziali più contenuti. Un marocchino in Italia guadagna come 6 connazionali in Marocco
Un recente studio della Fondazione Leone Moressa che tra le sue attività svolge quella “di ricerca finalizzata allo studio delle fenomenologie e delle problematiche relative alla presenza straniera nel territorio nazionale” dopo aver messo sotto la lente d’ingrandimento le retribuzioni mensili dei dipendenti stranieri nel quarto trimestre 2011 è arrivata a delle conclusioni che rendono oggettivo ciò che è percepito da chi è attento alle problematiche del fenomeno immigratorio in Italia. Ossia che gli stranieri vengono pagati meno degli italiani. Secondo la ricerca, infatti, il lavoratore straniero percepisce in media 973 euro al mese, 316 euro in meno di un dipendente italiano, con una percentuale che vuol dire meno 24,5%. Tale differenza è meno marcata nelle “ricche” regioni settentrionali, in particolare del NordEst (Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto). Le differenze maggiori si notano tra le dipendenti straniere che guadagnano appena 790 euro al mese, mentre non è possibile rinvenire alcun vantaggio in busta paga per gli stranieri più istruiti. I migliori salari per gli occupati del manifatturiero e nelle costruzioni; quelli più bassi per chi lavora nei settori dei servizi alle persone e alle imprese. Lo studio poi prende in considerazione il rapporto salariale tra un dipendente straniero in Italia e uno nel paese d’origine: tra le prime 5 nazionalità più rappresentate, la retribuzione annua di un lavoratore marocchino è equivalente alla ricchezza prodotta da 6 suoi connazionali in patria, 6,1 se per quanto riguarda i filippini. Passando ad analizzare i dati per singola regione si distinguono alcune differenze più evidenti soprattutto tra Nord e Sud. Infatti, nel Settentrione gli stranieri guadagno mediamente di più rispetto a quelli che lavorano nel Mezzogiorno: basta evidenziare, a tal proposito i dati che provengono per esempio tra un immigrato che lavora in Friuli Venezia Giulia con i suoi 1.113 euro al mese e uno straniero in Calabria che ne guadagna mediamente poco più della metà attestandosi a 674 euro. Un altro dato che dovrebbe far riflettere è costituito dal gap retributivo tra dipendenti stranieri e italiani che al Sud raggiunge livelli sorprendenti: infatti se in alcune regioni settentrionali i differenziali non superano i 300 euro, in alcune regioni del Sud oltrepassano i 500 euro come accade, per esempio, in Campania. Notevoli sono le differenze retributive per genere con una differenza di 332 euro mensili tra dipendenti stranieri di sesso maschile e femminile (1.122 euro degli uomini contro i 790 euro delle donne). Mentre i divari retributivi dei maschi rispetto alle retribuzioni dei dipendenti italiani risultano essere meno ampi: con una percentuale del 20,5% in meno per gli uomini rispetto al 30,5% delle donne. Il livello d’istruzione o il titolo di studio non influiscono sul livello salariale degli stranieri eccettuato il caso dei laureati che percepiscono mediamente 1.139 euro al mese. Infatti, le retribuzioni percepite da coloro che hanno un basso livello di istruzione (nessun titolo, licenza elementare e licenza media) non differisce di molto da quanti invece hanno il diploma superiore. Ciò che si rileva in negativo è però che più aumenta il livello di istruzione, più ampio è il divario con i dipendenti italiani con le medesime caratteristiche. Anche la tipologia contrattuale influisce sul livello salariale. I lavoratori che hanno sottoscritto contratti a tempo indeterminato ricevono mediamente poco meno di mille euro al mese, mentre coloro che sono a tempo determinato ricevono 884 euro. Nel confronto con i dipendenti italiani emerge come i gap retributivi siano però più evidenti tra i primi rispetto ai secondi. Non risultano, al contrario, grandi differenze con gli italiani se si considera il reddito di un dipendente straniero che lavora a tempo pieno (-21,8%) o a tempo parziale (-22,9%). Per quanto riguarda i settori lavorativi, i dipendenti stranieri che guadagnano di più sono quelli nei trasporti (1.257 euro); a seguire quelli del comparto della manifattura, delle costruzioni, dell’istruzione/sanità/servizi sociali e del commercio le cui retribuzioni superano i 1.000 euro mensili. Al di sotto dei 1000 euro si collocano i subordinati degli alberghi, del settore primario, dei servizi alle imprese e dei servizi alle persone (con appena 717 euro). Questi ultimi sono anche quelli che mostrano i gap retributivi più elevati rispetto ai lavoratori italiani nello stesso comparto di attività (-22,2%). L’età anagrafica non influisce significativamente sui salari.
Le maggiori differenze che evidenziano una correlazione tra redditi e l’età sono quelle con i dipendenti italiani con le medesime caratteristiche: con l’aumento dell’età, si amplificano i differenziali: se nella fascia d’età 15-24 anni gli immigrati percepiscono appena il 3,9% in meno di stipendio, per gli over 55 il gap raggiunge quasi il 40%. La provenienza fornisce ulteriori dati che dovrebbero invitare a riflettere: se infatti gli africani e i cittadini comunitari sono i dipendenti che in Italia percepiscono una retribuzione mediamente più elevata, rispettivamente di 1.037 euro e di 994 euro, gli europei non comunitari, asiatici e americani sono quelli che ricevono uno stipendio inferiore. Se invece si raffrontano i dati salariali di un immigrato che lavora in Italia con quelli del loro paese di origine, si può rilevare come un filippino in Italia guadagna come 6,1 connazionali nelle Filippine, un marocchino per 6 connazionali, un ucraino per 4, un albanese per 4,7. Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti” pur non condividendo integralmente le conclusioni dei ricercatori della Fondazione Leone Moressa che partono dal presupposto secondo cui “La disparità salariale tra stranieri e italiani non deriva esclusivamente dall’origine immigrata dei dipendenti” condivide l’epilogo della ricerca secondo cui i gap retributivi dipenderebbero da “elementi che, combinati, determinano uno svantaggio salariale: la professione ricoperta dagli stranieri, la loro bassa qualifica, l’occupazione nei settori di attività dalla più bassa produttività in cui sono impiegati, l’età giovane della manodopera, non permettono di raggiunge una sufficiente anzianità retributiva”. Gli stessi autori delle statistiche hanno infatti rilevato che il lavoro per gli stranieri è la condizione necessaria per avere e per rinnovare il permesso di soggiorno. Insomma, per Giovanni D’Agata, è lo status stesso d’immigrato non comunitario – con la normativa attualmente vigente che lega indissolubilmente la permanenza sul territorio nazionale alla sussistenza di una condizione lavorativa adeguata alle necessità reddituali minime – che comporta il rischio permanente e costante di essere sotto il ricatto del mancato ottenimento o del rinnovo del permesso di soggiorno e che quindi costringe il lavoratore ad accettare condizioni occupazionali marginali, meno tutelate e spesso sottopagate. Tali condizioni, sono peraltro acuite dall’aggravarsi della crisi economica che spinge gli stranieri a sottoporsi a condizioni contrattuali lavorative più gravose poiché difficilmente possono contare su fonti di reddito alternative al proprio abituale lavoro o sul supporto dato dalle reti familiari. Con la conseguenza, che – come hanno sottolineato i ricercatori, “tutto ciò rischia di rallentare i processi di inserimento sociale ed economico degli stranieri che lavorano e vivono nel nostro Paese”. Per tali ragioni, Giovanni D’Agata, ritiene improrogabile una revisione della legge vigente che tenga conto della grave crisi in cui versa il Paese e rinnova l’invito, anche a costo di essere ripetitivo, del presidente della Commissione Cei per l’immigrazione e della Fondazione Migrantes monsignor Bruno Schettino secondo cui “Si potrebbe dare il permesso di soggiorno a tutti gli immigrati irregolari per un anno, in modo di farli uscire dalla clandestinità affinché possano provare a cercare lavoro in modo regolare, ad entrare nel mercato del lavoro, nell’economia della domanda e dell’offerta. Il problema vero resta infatti quello dell’immigrazione clandestina, è da lì che si generano frizioni e conflitti con italiani”, “Questa chance”, ha precisato il prelato, andrebbe data ”a tutti quelli che non hanno commesso reati, che vogliono rimanere sul nostro territorio, che conoscono un po’ la nostra lingua e la nostra Costituzione”.