COLPA DELLA CRISI ANCHE GLI IMMIGRATI LASCIANO L’ITALIA
Il Paese perde preziosa forza lavoro qualificata
Un altro effetto tangibile della crisi per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti” è la riduzione dei flussi d’ingresso di stranieri in Italia e l’aumento del numero di chi lascia il Nostro Paese nel tentativo di trovare lavoro in altre mete meno colpite dalla crisi o che addirittura chiede di essere rimpatriato nelle nazioni d’origine, dove l’economia tutto sommato è in crescita e le condizioni di vita migliorano. E non è raro incontrare stranieri che affermano che per loro, in Italia non è rimasto più neanche il lavoro nero.
Le categorie di migranti interessate? Secondo alcune statistiche tutte: operai, badanti, infermieri. E perfino prostitute. In quattro anni, si è ridotto di oltre tre quarti il numero di arrivi ed è aumentata notevolmente la quantità di partenze. Ad essere interessato maggiormente dal fenomeno è il Nord Est da decenni meta di flussi migratori imponenti ed oggi colpito gravemente dalla crisi e quindi da flussi in uscita.
Secondo l’Istat al 1° gennaio 2012 gli extra-comunitari regolari in Italia erano 3,6 milioni: mentre il numero di stranieri compresi gli irregolari che vivono stabilmente sul territorio nazionale sarebbero poco più di 5 milioni. Ma la riduzione dei flussi è possibile evidenziarla esaminando i dati dell’Istat sul saldo migratorio (che sarebbe la differenza tra chi arriva e chi parte), che rileva come tra il 2011 e il 2012, al netto degli arrivi, lo stesso sia ancora positivo con un aumento di circa 102 mila unità di cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti. Ma questa grandezza dev’essere contestualizzata: tra il 2005 e il 2010 quando il saldo migratorio si attestava mediamente sulle 330mila unità, con picchi di mezzo milione per anno nel 2007 e nel 2008: ciò vuol dire che – nonostante i notevoli flussi migratori causati fra l’altro dalla cosiddetta “primavera araba” – giunge in Italia solo uno straniero su quattro rispetto a poco meno di un lustro fa e molti lasciano il Paese. Un altro indice di questo fenomeno riguarda il numero di nuovi permessi rilasciati nel 2011, 361.690, quasi il 40% in meno rispetto al 2010.
Come dicevamo, sono le regioni del Nord Est ad essere interessate maggiormente dal fenomeno: i nuovi permessi tra il 2010 e il 2011 si sono ridotti da 170 a 83mila, specialmente quelli rilasciati per motivi di lavoro che sono crollati del 65%. Tutto ciò mentre giungono i primi dati del censimento 2011, secondo cui al 9 ottobre 2011 sono scomparsi quasi un milione di stranieri rispetto all’iscrizione anagrafica perché probabilmente hanno lasciato il territorio nazionale. Le analisi che arrivano da associazioni ed enti di tutela sulla perdita di appeal dell’Italia sono impietose: per esempio, la Fondazione Ismu, in Lombardia sostiene che dieci immigrati su cento avrebbero dichiarato l’intenzione di trasferirsi dall’Italia entro 12 mesi: se tali numeri fossero proiettati sul quadro nazionale, significherebbe un rientro potenziale, ogni anno, di 150mila stranieri.
Ed aumentano, a tal proposito le richieste di rimpatrio volontario assistito con una quintuplicazione dei posti disponibili rispetto al 2009. Se alcune forze politiche possono esultare, rispetto a tali cifre impietose, perché in questi anni hanno combattuto una battaglia ideologica contro l’immigrazione, non cogliendone i benefici, si pongono alcuni problemi seri per il Nostro Paese se vogliamo pensare ad una nuova crescita. Per Giovanni D’Agata, il protrarsi del fenomeno dell’abbandono del territorio italiano da parte d’immigrati regolari e precedentemente stabilizzati, rischia di farci perdere preziosa forza lavoro che in questi anni di permanenza in Italia è diventata qualificata mentre oggi è costretta, si spera temporaneamente, a riprendere la via del rientro in patria.