COSIMO MANCINO. UNA VITA PER SAVA E PER I SAVESI
La sintesi della vita di Cosimo Mancino è contenuta nell’epitaffio che, nella sua tomba del cimitero di Sava, così recita: “Qui giace un comunista, morto per gli ideali di libertà e giustizia”
Mancino spese, infatti, tutta la sua vita per la causa dei lavoratori a cui diede voce e dignità e che grazie a quel grande partito che era il PCI divennero protagonisti della vita politica del paese.
Subito dopo la Liberazione costituì, insieme ad altri, suoi compagni di partito come Giovanni Sileno, M. Maia, M. De Marzo, la sezione del PCI a Sava che divenne subito un polo di attrazione per moltissima gente: braccianti, piccoli contadini, semialfabeti che grazie alla militanza nel partito seppero acquisire una coscienza di classe che si tradusse in impegno concreto nelle lotte bracciantili, per la riforma agraria, per la riduzione dell’orario di lavoro, ecc.
Non erano tempi facili: lo scelbismo discriminava, la chiesa scomunicava eppure, la fiducia nel “sol dell’avvenire”, in un futuro di giustizia e riscatto, fece sì che non si piegassero di fronte ai sorprusi, ai ricatti e alle discriminazioni (chi era iscritto al PCI veniva licenziato, ndr).
Di questo gruppo Cosimo Mancino si rivelò subito un leader: era un autodidatta perchè pur avendone le capacità non aveva potuto proseguire gli studi che terminò con la licenza elementare, ma aveva capito l’importanza dell’istruzione, della cultura come strumento di emancipazione delle classi lavoratrici.
Il referendum del 1946 per scegliere tra Monachia e Repubblica, le elezioni per l’Assemblea Costituente lo videro partecipare attivo tanto da meritare l’elezione a Consigliere nelle successive elezioni comunali e provinciali.
Era la fine degli anni ’50 e il suo impegno e le sue capacità furono subito riconosciuti, tanto che la Federazione Provinciale del PCI lo chiamò come funzionario a Taranto.
Il trasferimento nel capoluogo, però, non interruppe il legame con il suo paese natio a cui rimase, anche la sua famiglia per la verità, sempre legato: fu infatti, ininterrottamente Consigliere comunale fino a ricoprire, negli anno ’80, la carica di vice-Sindaco nella giunta del compianto e onesto Ettore Lomartire.
Negli ultimi tempi, però, forse per stanchezza, forse per l’esigenza di far posto ai giovani, pur tra le rimostranze dei suoi compagni di Sava, aveva deciso di rallentare gli impegni, anche perchè ormai era cambiato ed egli non si riconosceva più nella politica spettacolo, nelle risse, nelle gomitate per far carriera nei continui cambiamenti, nei continui cambiamenti di bandiera per le mancate poltrone.
Lui che, in pieno scontro ideologico, scatenato dalla guerra fredda, aveva saputo mantenere un confronto civile, rispettoso dell’avversario, non capiva più la politica fatta di opportunismo, carrierismo e intolleranza.
Infatti se c’erano doti che tutti i suoi compagni e avversari gli riconoscevano queste erano il rigore morale e la coerenza.
Infatti, nonostante le voci malevoli su suoi presunti arricchimenti (si parlava di un palazzo a Taranto!) egli diede alla politica più di quando ricevette.
Anche quando la politica non gli offriva più incarichi e ricompense volle spendere tutte le sue energie per il suo partito, che con la svolta della Bolognina del 1989 stava cambiando, perchè credette fino all’ultimo nelle ragioni di un partito che all’Italia democratica aveva dato molto e a lui personalmente aveva consentito di diventare, da semplice figlio di contadini una figura prestigiosa nel panorama politico savese.
Per questa sua ostinazione a difendere il patrimonio ideale in cui aveva semrpe creduto si battè fino a morirne, la sera del 26 gennaio 1990, durante un accorato intervento in occasione del congresso di sezione a Sava.
La stessa generosità dimostrata nell’attività politica la dimostrò sempre anche nei confronti della gente, nei rapporti umani: era generoso, ottimista, discreto, disponibile e sapeva infondere fiducia, aiutava disinteressatamente chi a lui ricorreva per qualunque problema.
Stimava le donne e dava spazio ai giovani senza mai prevaricare: i suoi avversari politici di allora, i Gregorio Miccoli, i Paolo Milizia, i Salvatore Buccoliero, i Cosimo Mele, gli riconoscevano sempre queste qualità umane e p0olitiche e con lui ebbero sempre rapporti di stima e di reciproco rispetto: essi giganteggiavano, forse per effetto del nostalgico ricordo, rispetto ai nani ai quali la politica dei giorni nostri ci ha abituato.
Giovanni Caforio