RECENSIONI. LA TERRA SENZA CONFINI DI MINO DE SANTIS
Un menestrello che dà voce di verità ai semplici per affrontare le più alte e nobili questioni di giustizia sociale
Lunedì 27 Agosto il Comitato di Quartiere Città Vecchia ha ospitato il cantautore Mino De Santis nella magica atmosfera tarantina di piazza Monte Oliveto. Il cantante salentino, poeta che irride e che ama scrutando gli angoli più remoti dell’essere umano e della sua comunità, ci ha consentito di captare l’essenza più profonda della sua arte con l’ultimo lavoro “Caminante”, produzione di “Ululati” , la nuova collana di Cosimo Lupo Editore e regalandoci molti brani del suo primo lavoro “Scarcagnizzu”.
Mino De Santis è nato a Tuglie e questo ha agevolato, a mio parere, il suo acuto spirito d’osservazione; egli sa bene di cosa parla, perché nei piccoli centri è ancora possibile osservare, riflettere, guardare dritto negli occhi la gente e con umanità, perché umano è pensar male o bene che sia. Se Mino fosse nato in una metropoli non avrebbe avuto la cultura del dettaglio e non avrebbe narrato la storia antica sulle foglie di un ulivo e nè avrebbe mai cantato splendidi versi su ” Lu cavaddhru malacarne” che “Camina te sbicu”. La vita in una metropoli non gli avrebbe consentito di usare un microscopio così potente, perché lì il tempo sfugge, offuscando lo sguardo sull’uomo, e l’altro diviene una moltitudine, ma la moltitudine non ha un nome ed un volto, è solo una parola astratta.
Lui allora può percepire il più insignificante dettaglio, in gesti apparentemente comuni, rendendo sublime un brano su un semplice sacrestano che però è “Lu Sagrestano”, quello che conosciamo ora o che abbiamo incontrato tutti almeno da bambini. E’ l’uomo la cui vita è identificata nel ruolo che svolge e dice “ guardàti la faccie ca portu, mai triste, mai allegra e felice o è messa te sposa o te mortu”. La forza vitale del dialetto salentino, accuratamente ricercato nei termini e combaciante con le sue note musicali, incontra quì la migliore poesia.
“Lu Bunacciu”, altro personaggio socialmente emarginato, è invece un brano che descrive quella persona dalla mente di bambino che con la propria purezza, si pone le domande più profonde a cui nessuno sa rispondere: “Chi mi dirà perché “lu populu sta sotta, / se gnutte la castagna e tuttu quistu accetta?” Mino De Santis dunque, dà voce di verità ai semplici per affrontare le più alte e nobili questioni di giustizia sociale così come avviene nel suo primo cd “Scarcagnizzu” – Vento dal basso- che aveva già solcato le nostre menti, il nostro sentire, con brani supremi come “Arbu Te Ulie”, dove altissima è l’intensità poetica in cui non esita a delineare questo albero, come luogo sotto il quale le donne raccoglievano i frutti cantando e narrando fiabe ed indovinelli, per rendere più soave e sopportabile la dura giornata lavorativa che in realtà arricchiva solo i latifondisti.
Là dove i versi sono più poetici spesso è come se li sussurrasse e ciò è avvenuto magicamente con “Salentu”, canzone dolorosa e densa di pathos sublimata dal canto grave di chi ci è dentro sino al collo e ne sa delineare anche i drammi, le fatiche e le inesorabili lentezze, nella conoscenza profonda della propria terra, nella consapevolezza di tanti limiti ma che contemporaneamente ne sa scandire i colori e la vita.
Mino De Santis non ama l’idea celebrata, preconfezionata e svuotata della salentinità
Il Salento non è uno spot, ma è terra dolce e amara; è terra in cui la popolazione ha sofferto col duro lavoro, con le rivendicazioni contadine e le reiterate ingiustizie sociali e che stenta ad avanzare, vuole mutare, ma tutto vuole preservare.
E tribola il nostro animo di spettatori, quando il suo volto e le sue tonalità vocali si ammantano di drammatico canto. Eppure il suo sguardo obiettivo è possibile, proprio perchè egli ha in testa un’unica terra senza confini e senza definizioni. E lo dimostra con la canzone “Lombardia”, luogo in cui non riesce a restare, lì dove sono “tutti pacci pe la fatia” e così torna in Puglia, senza capire ragione, “pe na fetta di milone”. Ma quando torna al suo paese si sente uno stupido, perché non ha speranze e vuole ancora andare via. Ci sorprende allegramente quando conclude “nchiana e scin ni” io sto bene solo in treno “non ho il senso dell’etnia ma solo della ferrovia”. I toni sono ironici e divertenti, ma il tema è di filosofica attualità. In altri termini egli abbraccia l’inquietudine del perdesi, della non appartenenza; semplicemente non sopporta le etichette, non sopporta i localismi, i confini che ci sottraggono il coraggio del dialogo, ci privano del “perderci nel mondo”.
Mino De Santis ci rivela un mondo realistico e privo di retorica inoltrandosi negli abissi profondi dell’amore, delle frustrazioni, dei bigottismi e delle falsità, lotte e trionfi. Dipinge i moti d’animo, le fragilità e le sovrastrutture di tutti, anche quelle di una società borghese altolocata e magari del Nord. E’ il mondo che si manifesta nei suoi brani. La differenza è che in una società non completamente intrisa da una veloce e distruttiva economia di mercato, emerge al meglio l’umanità più vera, più spoglia di elementi che ne offuscano l’essenziale natura.
L‘album “Camminante” si avvale infatti, di brani come “Lu ccumpagnamentu” in cui è descritto un funerale con tutte le caratteristiche salentine di una grande partecipazione, con tanto di banda distratta e di parenti in agguato verso una presunta eredità. E “tutti pronti pe’ lle’ condolianze, se giustane la facce all’aspressione ca nciole sempre pè dre circostanze”. Anche il raffinatissimo cortometraggio si esprime attraverso immagini grottesche ed al contempo realistiche.
Il brano “Lu mbriacu” che “Ngira mmenzu lle vie sciambulisciandu lu vinu cu lla birra” e dissacra tutte le situazioni in cui si trova casualmente, è innegabilmente comico, nello scenario e nella poetica del brano, soprattutto quando cade “ te fronte alli scaluni te la chiesa nanti lli comitati elettorali”.
Noi ne amiamo l’irrompere disordinato davanti ad un falso ordine morale.
Ed ancora voglio ricordare “La prucissione”, brano che descrive le immagini colorate di strade addobbate, di floride donne con la candela in mano, bimbi costretti a far gli angioletti, il vescovo, la giunta e le autorità del paese, gli sponsor e “ santi e matonne nu centrane nenti”; tutto ruota intorno ad un evento che di cristiano ha ben poco.
E’ presente spesso, nelle canzoni di Mino De Santis, il riferimento ad una religiosità solo esteriore, ma quando decide di dare un senso reale alla spiritualità o al Cristianesimo, ecco che dice “lu re te li bonacci ndè lu misera an’croce” e colpisce nel segno, perché la purezza fa paura, il nuovo è una minaccia.
Marilena Lasaponara
non ci sono parole per descrivere un personaggio come Mino desantis anche se non lo conosco tanto, una persona umile con una voce bellissima che racconta quello che vede intorno a lui e cioè la verità di un piccolo paese salentino “meraviglioso” e le sue canzoni ti fanno venire la pelle d’oca e ti evocano tanti bei ricordi.
due album stuoendi!!M un grande artista!!!