STRANIERO GAY IN ITALIA HA DIRITTO ALLO STATO DI RIFUGIATO SE PERSEGUITATO NEL PAESE D’ORIGINE
Scatta la protezione umanitaria quando legge del paese d’origine punisce l’omosessualità con la persecuzione
Lo ha deciso la Cassazione che, con l’ordinanza 15981 del 20 settembre 2012, ha accolto il ricorso contro la decisone della Corte d’appello di Trieste che ha ritenuto irrilevante, al fine del riconoscimento della protezione, che l’ordinamento giuridico del Senegal ritenesse l’omosessualità un reato «perché non è possibile inferire la situazione individuale di perseguitato da quella generale di un paese». Secondo la Suprema Corte il clandestino senegalese gay, scappato dal paese perchè l’omosessualità è ritenuta un reato, ha diritto allo stato di rifugiato politico o la concessione della protezione sussidiaria o il permesso di soggiorno, per non comprometterne la libertà personale, in base alla carta dei diritti dell’Unione Europea. Nonostante la Corte di merito avesse deciso diversamente, la sesta sezione civile ha ribaltato categoricamente il giudizio, ritenendo invece legittima tale richiesta.
Gli ermellini hanno evidenziato come la repressione penale dell’omosessualità comporta necessariamente l’impedimento a tutti i cittadini omosessuali di vivere liberamente la propria vita sessuale e affettiva, integrando la privazione di un diritto fondamentale. Nella stessa decisione, i giudici di piazza Cavour hanno precisato che “laddove si è chiarito che per persecuzione deve intendersi una forma di lotta radicale contro una minoranza che può anche essere attuata sul piano giuridico e specificamente con la semplice previsione del comportamento che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione. Per questo le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale del Senegal e a esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità: ciò costituisce una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini senegalesi omosessuali che compromette grandemente la loro libertà personale”.
Pertanto, la Suprema corte ha rimandato bacchettandola alla Corte d’appello di Trieste, gli atti al fine di acquisire le prove necessarie per verificare o meno la condizione di omosessualità del ricorrente. Inoltre ha ordinato di accertare quale sia, la situazione sociale del paese, per ciò che concerne l’omofobia e i gravi atti discriminatori e persecutori contro gli omosessuali denunciati dai mezzi di informazione e da siti istituzionali e di organizzazioni non governative, avendo i giudici di merito ignorato completamente la situazione sociale del paese. Tutto ciò «nel rispetto del criterio direttivo della legislazione comunitaria e italiana in materia di istruzione ed esame delle domande di protezione internazionale».
Per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, i giudici della Suprema Corte hanno dimostrando grande sensibilità’ nell’applicazione delle norme.