ABORTO: IL SANITARIO DEVE RISARCIRE MADRE, PADRE, FRATELLI E BAMBINO NATO CON UNA MALFORMAZIONE
Il medico è responsabile se gli esami clinici sono stati inadeguati
Una sentenza innovativa la n. 16754 resa in data odierna dalla Suprema Corte che di fatto rafforza il «diritto di aborto» quella portata all’attenzione da Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”. Secondo la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, infatti, hanno diritto al risarcimento in conseguenza degli esami clinici inadeguati durante la gravidanza non solo la madre, ma anche tutta la famiglia e il bambino nato con una malformazione. Nella fattispecie, i giudici del Palazzaccio hanno accolto il ricorso della madre di una bambina nata con la sindrome di Down, della piccola stessa, del padre e degli altri fratelli.
La forza innovativa dell’importante sentenza sta nel fatto che per la prima volta i giudici di legittimità hanno esteso il diritto al risarcimento del danno per violazione del diritto di aborto a tutta la famiglia, e quindi anche nei confronti del figlio nato con la patologia invalidante.
In particolare, affermano testualmente gli ermellini: «la responsabilità sanitaria per omessa diagnosi di malformazioni fetali e conseguente nascita indesiderata va estesa, oltre che nei confronti della madre nella qualità di parte contrattuale (ovvero di un rapporto da contatto sociale qualificato), anche al padre e prima ancora alla stregua dello stesso principio di diritto posto a presidio del riconoscimento di un diritto risarcitorio autonomo in capo al padre stesso, ai fratelli e alle sorelle del neonato, che rientrano a pieno titolo tra i soggetti protetti dal rapporto intercorrente tra il medico e la gestante, nei cui confronti la prestazione e dovuta”.
È un dato di fatto che anche il padre ed i fratelli subiscano un grave danno per il mancato esercizio del diritto di aborto. Danni che perdurano sia per tutta l’esistenza dei genitori che devono dedicare maggiori cure al neonato disabile sia dopo che passano a miglior vita.
I supremi giudici sulla scorta di alcuni assunti della nota sentenza della Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo del 28 agosto che ha censurato parzialmente la legge “40” sulla procreazione assistita, hanno statuito un nuovo principio al fine di affermare la risarcibilità dei danni al nascituro considerato dal nostro ordinamento come non ancora soggetto di diritto, rilevando che «la propagazione intersoggettiva dell’illecito legittima un soggetto di diritto, quale il neonato, per il tramite del suo legale rappresentante, ad agire il giudizio per il risarcimento di un danno che si assume in ipotesi ingiusto (tuttora impregiudicata la questione del nesso causale e dell’ingiustizia del danno lamentato come risarcibile in via autonoma dal neonato)».
Per farla breve, la protezione di colui che deve nascere non scaturisce in via assoluta dalla sua istituzione a soggetto di diritto, oppure per mezzo della negazione di diritti del tutto immaginari, come quello a «non nascere se non sano».