TASSA SUI RIFIUTI ABROGATA. AVVISO DI ACCERTAMENTO TARSU ANNULLATO DAL GIUDICE TRIBUTARIO
Alcuni giudici tributari si stanno orientando a ritenere totalmente abrogata l’odiosa tassa sui rifiuti urbani perché la normativa di proroga si ferma al 2009, per cui non essendoci una specifica legge che disciplini la Tarsu dal 2010 in poi la stessa non deve più ritenersi applicabile
L’interessante sentenza della CTP di Grosseto – Sez. Quarta – (scritta a mano) del 22/12/2011 fa proprio quest’orientamento, annullando in tal senso un avviso di accertamento per TARSU 2010.
A tal proposito, di seguito Giovanni D’Agata fondatore dello “Sportello dei Diritti” riporta sul sito www.sportellodeidiritti.org la sentenza in questione e l’autorevole studio in materia del noto tributarista avv. Maurizio Villani che ripercorre la normativa sino alle ultime novità legislative e regolamentari.
TARSU SOPPRESSA DAL 2010 E 2011 AVV. VILLANI MAURIZIO La materia dei rifiuti solidi urbani nel corso degli anni è stata disciplinata da cinque diversi principali interventi legislativi (come ben puntualizzato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 238 del 16 luglio 2009 in G.U. del 29/07/2009). E ciò non poteva essere diversamente, tenuto conto che l’art. 23 della Costituzione testualmente dispone: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” (c.d. riserva relativa di legge). A) PRIMO INTERVENTO LEGISLATIVO Il regio decreto n. 1175 del 14/09/1931 prevedeva originariamente la corresponsione al Comune di un “corrispettivo per il servizio di ritiro e trasporto delle immondizie domestiche” ed attribuiva natura privatistica al rapporto tra utente e servizio comunale. Tale configurazione sinallagmatica del rapporto è stata, però, radicalmente mutata: dall’art. 10 della Legge n. 366 del 20 marzo 1941; e dall’art. 21 del DPR n. 915 del 10 settembre 1982. In particolare, con tali modifiche, il legislatore ha esteso e reso obbligatorie sia l’effettuazione dei vari servizi relativi allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani “interni” sia l’applicazione della “tassa”; infine, con la Legge n. 144 del 24 aprile 1989, sono stati ricompresi anche i rifiuti solidi urbani “esterni”, ribadendo la qualificazione di “tassa” (natura tributaria). B) TARSU Un secondo essenziale intervento legislativo è costituito dal D.Lgs. n. 507 del 15 novembre 1993, in base al quale, a decorrere dall’01/01/1994, i Comuni “debbono istituire una tassa annuale” da applicarsi “in base a tariffa”, secondo appositi regolamenti comunali, a copertura parziale (dal 50% al 70%) del costo del servizio stesso. In particolare, la tassa, mediante determinazione tariffaria da parte del Comune, “può essere commisurata in base alla quantità e qualità medie ordinarie per unità di superficie imponibile di rifiuti solidi producibili nei locali ed aree per il tipo di uso, cui i medesimi sono destinati, e al costo dello smaltimento”. La natura pubblicistica e non privatistica del prelievo è ulteriormente evidenziata sia dalla regola secondo cui “L’interruzione temporanea del servizio di raccolta per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi non comporta esonero o riduzione del tributo” sia dalla previsione di una “tassa giornaliera”. Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 446 del 15/12/1997, il Comune ha soltanto la facoltà di disciplinare con proprio regolamento l’affidamento a terzi delle fasi di liquidazione, accertamento e riscossione della tassa (vedi successiva lett. H del presente articolo). C) TIA/1 (Tariffa igiene ambientale) Un terzo intervento legislativo si è realizzato con l’entrata in vigore dall’01/01/1999 dell’art. 49 del D.Lgs. n. 22 del 05 febbraio 1997 (c.d. decreto Ronchi), il quale ha previsto l’istituzione, da parte dei Comuni, di una “tariffa” per la copertura integrale dei costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, nelle zone del territorio comunale. Tale tariffa è composta: da una quota fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio; e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio. Con il regolamento ministeriale approvato con il DPR n. 158 del 27 aprile 1999 è stato elaborato il metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento. Diversamente dalla normativa sulla TARSU, l’art. 49 cit.: evita di qualificare espressamente il prelievo come “tributo” o “tassa”, pur mantenendo il riferimento testuale alla “tariffa”; stabilisce che la TIA deve sempre coprire l’intero costo del servizio di gestione dei rifiuti; dispone che detta tariffa è dovuta anche per la gestione dei rifiuti “esterni”; non reca, con riguardo alla TIA, specifiche disposizioni in tema di accertamento, liquidazione e sanzioni (Cassazione, Sez. Tributaria – ordinanza n. 22377 del 03/11/2010). Le controversie aventi ad oggetto la debenza della TIA/1 hanno natura tributaria e la loro attribuzione alla cognizione delle Commissioni Tributarie rispetta il parametro costituzionale (Corte Costituzionale, sentenza n. 238/2009 cit.). La completa soppressione della TARSU e la sua sostituzione con la TIA, inizialmente fissata a decorrere dall’01/01/1999, è stata via via differita dal legislatore il quale, preso atto della difficoltà di rendere operativa, per i vari Comuni, l’abolizione del prelievo soppresso, ha previsto con numerose disposizioni, contenute soprattutto nelle varie leggi finanziarie, un articolato regime transitorio (oggi esaurito). D) REGIME TRANSITORIO – TARSU – TIA/1 Il legislatore, con i vari interventi, ha previsto un articolato regime transitorio, che concede termine ai Comuni, da ultimo fino a tutto il 2009, per sostituire la TARSU con la TIA, secondo uno scadenzario differenziato, in ragione sia del grado di copertura dei costi dei servizi raggiunto dai diversi Comuni sia dalla popolazione dei Comuni stessi (art. 1, comma 184, della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006, quale modificato dall’art. 5, commi da 1 a 2 quinques, del D.L. 208 del 30 dicembre 2008, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della Legge n. 13 del 27 febbraio 2009). In particolare, l’art. 5, comma 1, del D.L. n. 208/2008 cit., che ha esteso anche al 2009 la previsione contenuta nell’art. 1, comma 184, della Legge n. 296 cit. (Finanziaria 2007), ha stabilito, nella formulazione della norma della Finanziaria 2006, modificata dal citato D.L. n. 208/2008, convertito, con modificazioni, dalla Legge 27/02/2009 n. 13, che: “Nelle more della completa attuazione delle disposizioni recate dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni: a) il regime di prelievo relativo al servizio di raccolta e smaltimento rifiuti adottato in ciascun Comune per l’anno 2006 resta invariato anche per l’anno 2007 e per gli anni 2008 e 2009”. Questa è l’ultima proroga legislativa che c’è stata, tanto è vero che da allora nessuna legge ha previsto specifiche ed ulteriori proroghe per gli anni 2010 e 2011. Di conseguenza, la TARSU non esiste più per gli anni 2010 e 2011 perché è stata tassativamente abrogata, in quanto manca, ripetesi, una precisa e specifica legge di proroga (art. 23 della Costituzione). Oltretutto, se veramente il legislatore avesse voluto prorogare la TARSU per gli anni 2010 e 2011, lo avrebbe scritto in modo chiaro e preciso, come ha fatto per le precedenti proroghe sino al 2009 (QUOD LEX VOLUIT DIXIT). E) TIA/2 (Tariffa integrata ambientale) La quarta rilevante modifica legislativa del prelievo è costituita dall’art. 238 del D.Lgs. n. 152 del 03 aprile 2006, che ha determinato la “tariffa integrata ambientale” (c.d. TIA/2 per distinguerla dalla precedente TIA/1). Tale tariffa deve essere determinata ad opera dell’autorità d’ambito territoriale ottimale (AATO), almeno sino al 31/12/2011, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento ministeriale (che si sarebbe dovuto emanare entro il 30 giugno 2010), con il quale sono fissati i criteri generali per la definizione delle componenti dei costi e la determinazione della tariffa. La tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, nonché da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio. E’ espressamente previsto che la tariffa è applicata e riscossa dai soggetti affidatari del servizio di gestione integrata e che la sua riscossione, volontaria o coattiva, può essere effettuata secondo le disposizioni del DPR n. 602/73 mediante convenzione con l’Agenzia delle entrate. F) REGIME TRANSITORIO TIA/1 E TIA/2 La soppressione della precedente tariffa di igiene ambientale (TIA/1) ha effetto dalla data di entrata in vigore dello stesso art. 238 cit. ma, fino alla completa attuazione della nuova TIA/2 (cioè l’emanazione del sopracitato regolamento ministeriale ed il compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa), “continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti” (comma 10), cioè le disposizioni contenute nel DPR n. 158 del 27 aprile 1999, cioè l’unico regolamento governativo operativo (“Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani” TIA/1). Infatti, l’art. 5 del D.L. n. 208/2008 cit., comma 2-quater, testualmente dispone: “Ove il regolamento di cui al comma 6 dell’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sia adottato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare entro il 30 giugno 2010, i comuni che intendono adottare la tariffa integrata ambientale (TIA/2) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti”. Quindi, alla luce degli sviluppi normativi sopra esposti, abrogata la TARSU per gli anni 2010 e 2011, i Comuni devono obbligatoriamente adottare la TIA/1 od eventualmente possono optare per la TIA/2, utilizzando, però, le disposizioni dell’unico regolamento governativo adottato con il DPR n. 158 del 27/04/1999 per la TIA/1 pur in mancanza del regolamento TIA/2 (sino ad oggi non ancora emanato). G) QUINTO ED ULTIMO INTERVENTO LEGISLATIVO (almeno sino ad ora!) Infine, nonostante il preciso intervento della Corte Costituzionale sopra esposto, il legislatore, con l’art. 14, comma 33, del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 122 del 30 luglio 2010, ha previsto in ordine alla TIA/2 che: “Le disposizioni di cui all’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria”. In sostanza, per effetto di tale disposizione, si viene a creare la seguente, assurda situazione: la TIA/2 ha “ope legis” natura di corrispettivo (mera prestazione patrimoniale non imposta), di competenza del giudice ordinario; la TIA/1, invece, ha natura tributaria, di competenza delle Commissioni tributarie (C.Cost. sentenza n. 238/2009 cit.). E’ facile immaginare che la recente normativa tornerà alla Corte Costituzionale per essere censurata alla luce dei tassativi criteri cui far riferimento per qualificare come tributari alcuni prelievi, e cioè: doverosità delle prestazioni; mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti; collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante. I suddetti criteri sono stati più volte adottati dalla Corte Costituzionale con le seguenti sentenze: n. 141 del 2009; n. 335 del 2008; n. 64 del 2008; n. 334 del 2006; n. 73 del 2005; n. 238 del 2009 citata. H) REGOLAMENTI – NORMATIVA – Prima di proseguire la nostra analisi giuridica, è opportuno chiarire cosa si intende per “regolamento” e quale specifica normativa è applicabile. Il potere esecutivo ha, come attribuzione propria ed ordinaria, la potestà di emanare norme secondarie giuridiche, dette regolamenti. Il regolamento è legge soltanto in senso materiale. Come manifestazione di potestà amministrativa, da una parte è subordinato, nella gerarchia delle fonti, alle leggi costituzionali ed a quelle ordinarie formali ed agli altri atti normativi che hanno efficacia di legge ordinaria; dall’altra è retto dai principi concernenti gli atti amministrativi (LANDI-POTENZA). Dalla sua natura formale di atto amministrativo discende che il contrasto della norma regolamentare con norme costituzionali non forma oggetto di giurisdizione della Corte Costituzionale, ma può essere fatto valere con i normali mezzi di impugnazione degli atti amministrativi, così come il suo contrasto con norme di legge ordinaria. Attualmente, possiamo individuare tre gruppi di regolamenti (eccetto quelli regionali): 1) Regolamenti governativi L’art. 17 della Legge n. 400 del 23 agosto 1988 prevede che con DPR, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato, possono essere adottati i seguenti cinque tipi di regolamento: di esecuzione (come il D.P.R. n. 158/1999 cit); d’attuazione ed integrazione di leggi e di decreti legislativi; indipendenti; di organizzazioni; autorizzati (c.d. regolamenti di delegificazione), emanati per la disciplina delle materie non coperte da riserva assoluta di legge e tuttavia disciplinate sempre con legge ordinaria. I regolamenti autorizzati possono essere adottati soltanto quando la legge prevede espressamente che certe materie, non coperte da riserva assoluta di legge, possono essere disciplinate dalla fonte regolamentare. In tal caso, la legge ordinaria fissa sempre le norme generali regolatrici della materia e consente soltanto al Governo di intervenire, per la parte non disciplinata dalla stessa legge, con regolamento autorizzato in modo che dal momento dell’entrata in vigore delle norme regolamentari si considerano abrogate le norme di legge già vigenti. Il meccanismo dell’art. 17, comma 2, cit. comporta quella che è stata definita una delegificazione, consistente in un “alleggerimento” della disciplina parlamentare a favore di una disciplina decentrata soltanto al Governo di alcune materie. Ovviamente, l’abrogazione della legislazione previgente è da imputare soltanto alla legge ordinaria e non certo al regolamento, che non avrebbe certo la forza di incidere sulla legge, in quanto la Costituzione riconosce solo alla fonte legislativa primaria la determinazione della competenza della fonte subordinata alla stessa legge e, quindi, anche dei regolamenti governativi autorizzati. I cinque tipi di regolamento di cui sopra, nonché i regolamenti ministeriali ed interministeriali, devono tassativamente: recare la denominazione di “regolamento”; essere adottati previo parere del Consiglio di Stato; essere emanati dal Presidente della Repubblica (art. 87 della Costituzione); essere sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei Conti; essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. Un regolamento di questo specifico tipo è quello della TIA/1 (DPR n. 158 del 27 aprile 1999, in G.U. S.0. n. 129 del 04 giugno 1999), da qualificarsi come regolamento di esecuzione. In ogni caso, i regolamenti ministeriali o interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo come fonti di grado superiore. 2) Regolamenti comunitari Si tratta di regolamenti che fanno seguito a disposizioni della “legge comunitaria” tramite la quale l’Italia si adegua annualmente agli atti comunitari, come già previsto dalla Legge n. 86 del 09 marzo 1989 (art. 4). 3) Regolamenti delle Province e dei Comuni (esclusi quelli regionali). L’art. 52, comma 1, del D.Lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997 testualmente dispone: “Le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti. Per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti”. 4) Fonti del diritto e microgerarchia dei regolamenti Legge è la norma consacrata in una precisa formula espressa da speciali organi sovrani. La legge, dunque, è il comando espresso che proviene dalla consapevole volontà di un legislatore, formulato in determinate parole. L’unico potere normativo originario e primario è quello del Parlamento (e dei Consigli Regionali): sicchè il potere di adottare successivi regolamenti deve trovare il suo fondamento soltanto in una precedente ed espressa norma di legge. I regolamenti, invece, sono norme secondarie giuridiche emanate dagli organi del potere esecutivo (art. 87 della Costituzione). I regolamenti possono essere emanati anche dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni; essi valgono naturalmente solo nell’ambito della rispettiva competenza e non possono derogare né alle leggi ordinarie né ai regolamenti emanati dal Governo (artt. 3, comma 2, e 4, comma 2, preleggi al codice civile). Il regolamento è per sua natura sempre subordinato all’atto legislativo (art. 4, comma 1, preleggi al codice civile). Qualora il regolamento non rispetti i limiti e le condizioni stabilite dalla legge non ha valore normativo. Prima di concludere l’argomento generale dei regolamenti, va rilevato che, avendo essi natura sostanzialmente normativa ma forma amministrativa (l’atto che li contiene è un decreto) e provenienza da organi che hanno anche titolarità di funzioni amministrative, si è tradizionalmente posto il problema di come differenziarli dagli atti amministrativi a contenuto generale (ad esempio: provvedimenti fissanti, in via generale, condizioni di contratto, tariffe, prezzi, atti di pianificazione generale). In proposito, si può ricordare che, secondo la giurisprudenza, i regolamenti sono atti espressione di potestà normativa secondaria rispetto a quella legislativa disciplinanti in astratto rapporti giuridici, in attuazione di precedenti leggi, con i caratteri della generalità ed astrattezza. Gli atti amministrativi generali sono, invece, espressione di potestà amministrativa e rivolti alla cura concreta di interessi pubblici (Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 10124 del 28/11/1994). L’art. 3 delle preleggi al codice civile stabilisce che: “Il potere regolamentare del Governo è disciplinato da leggi di carattere costituzionale. Il potere regolamentare di altre autorità è esercitato nei limiti delle rispettive competenze, in conformità delle leggi particolari”. L’art. 4 delle preleggi al codice civile, a sua volta, precisa che: “I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi. I regolamenti emanati a norma del secondo comma dell’art. 3 non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo”. Infatti, sono fonti del diritto (art. 1 delle preleggi c.c.): le leggi; i regolamenti; gli usi. Di conseguenza, come vi è una preferenza della legge sul regolamento (art. 4 cit.), così vi è una preferenza del regolamento governativo sul regolamento ministeriale e sui regolamenti comunali e provinciali. L’art. 23 della Costituzione più volte citato, secondo cui le prestazioni personali e patrimoniali possono essere imposte solo in base alla legge, richiede per comune opinione della giurisprudenza e della dottrina che, una volta determinati per legge oggetto, criteri e soggetti passivi, la semplice quantificazione precisa dell’imposizione può essere lasciata ad atti specificativi, come i regolamenti (c.d. riserva relativa di legge). Infatti, si ha riserva relativa di legge quando sulla base di una preventiva determinazione della parte essenziale della disciplina ad opera della legge possono intervenire fonti subordinate ed in particolare i regolamenti (art. 17 Legge n. 400/1988 cit.). Inoltre, a puro titolo indicativo, si precisa che la legge statale prevale sempre su quella regionale in forza del “principio di cedevolezza”, anche quando e se intervenisse a rettificare in modo peggiorativo le posizioni giuridiche, fatte ovviamente salve eventuali discriminazioni. Nel caso di conflitto tra norme di rango diverso, in ogni caso, non si verifica un’abrogazione tout court, ma ha luogo “una provvisoria prevalenza della legislazione statale, nelle more dell’adeguamento della legislazione regionale”. Il principio di diritto è stato riaffermato, ultimamente, dalla sezione lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12131/11, depositata il 03 giugno 2011. I) REGOLAMENTI TARSU – TIA/1 – TIA/2 – Nella materia oggetto del presente lavoro, si possono schematicamente individuare i seguenti regolamenti: 1) TARSU – Regolamento comunale (art. 68 D.Lgs. n. 507 del 15/11/1993). 2) TIA/1 – Regolamento governativo (DPR n. 158 del 27/04/1999 in G.U. S.O. n. 129 del 04/06/1999) da qualificare regolamento esecutivo (vedi lett. H, n. 1); – Regolamento comunale (art. 21 D.Lgs. n. 22 del 05/02/1997). 3) TIA/2 Regolamento governativo (art. 238, commi 6 e 11, del D.Lgs. n. 152 del 03 aprile 2006), che deve ancora essere emanato, nonostante sia abbondantemente scaduto il termine del 30 giugno 2010 (art. 5, comma 2-quater, D.L. n. 208/2008 più volte citato, come modificato dalla Legge n. 25 del 26/02/2010). Quindi, in conclusione, anche alla luce di quanto sopra esposto circa la gerarchia delle fonti del diritto e dei subordinati regolamenti: la TARSU non è stata prorogata per il 2010 e 2011 e, quindi, è stata soppressa con il relativo regolamento comunale; la TIA/1 è operativa a tutti gli effetti dal 2010 e seguenti, con il regolamento governativo n. 158 del 1999 citato (oltre ai regolamenti comunali); la TIA/2 può essere scelta dai Comuni, che, in assenza dello specifico regolamento governativo, possono adottare soltanto quello della TIA/1. L) INTERPRETAZIONE MINISTERIALE Innanzitutto, con la circolare n. 3/DF dell’11/11/2010, lo stesso Ministero dell’Economia e delle Finanze rileva e precisa che: “In questo quadro normativo alquanto intricato, numerosi Comuni hanno sollevato comprensibili dubbi in ordine al prelievo tributario applicabile in materia di gestione di rifiuti e se sulla TIA/1 possa continuare ad essere applicata l’IVA a seguito della norma appena riportata. Per cui appare indispensabile procedere ad una lettura sistematica delle disposizioni innanzi enucleate”. Dopo tale necessaria ed utile premessa, però, il Ministero, in modo alquanto conciso e sbrigativo, conclude nel modo seguente: “Per i Comuni in questione non si pongono particolari problemi, poiché possono continuare ad applicare la TARSU utilizzando eventualmente, ai fini della determinazione delle tariffe, i criteri delineati nel DPR n. 158/1999, operazione da ritenere senz’altro possibile secondo quanto affermato: nella circolare n. 25/E del 17 febbraio 2000, in cui è stato chiarito che “risulta sostanzialmente coerente con il principio dell’art. 65 l’utilizzazione dei criteri dettati dal metodo normalizzato per la determinazione della tariffa della tassa; nella decisione n. 750 del 10 febbraio 2009, in materia di TARSU, in cui il Consiglio di Stato ha posto in evidenza come il DPR n. 158/1999 “non fissa solo un metodo per la determinazione della qualità e quantità di rifiuti solidi urbani prodotti per categoria di utenza, ma persegua anche lo scopo di stabilire il metodo sulla base del quale gli Enti locali devono calcolare la tariffa stessa”. Le sintetiche conclusioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze non sono assolutamente accettabili perché: innanzitutto, fanno riferimento ad una circolare del lontano anno 2000 e ad una decisione del Consiglio di Stato del 10/02/2009 quando era per legge ancora operativa la TARSU (soppressa, invece, per gli anni 2010 e 2011); quindi, il riferimento temporale è inopportuno,oltre che inutile, perché i documenti citati non prendono assolutamente in considerazione la nuova problematica sorta soltanto nel 2010; inoltre, anche a voler ignorare quanto sopra, con l’abrogazione della TARSU dal 2010 sono caduti automaticamente tutti i relativi regolamenti comunali (vedi lett I) e con l’unica legge relativa alla TIA/1 e TIA/2, attualmente, è applicabile l’unico regolamento governativo esistente (DPR n. 158 cit.), che logicamente si riferisce soltanto alla specifica normativa della TIA/1 (tanto è vero che i riferimenti giuridici sono fatti al D.Lgs. n. 22 del 05 febbraio 1997 e la determinazione della tariffa è fatta tenendo conto della parte fissa e della parte variabile, ex art. 3, comma 2, cioè a criteri totalmente diversi dalla TARSU, come abbiamo esposto alle lettere B) e C) del presente articolo); oltretutto, lo stesso Ministero, con la succitata circolare, ha precisato che i singoli Comuni, con la TIA/1, devono conseguire l’immediata copertura totale dei costi di gestione, comprensivi di voci ulteriori rispetto a quelle relative ai soli costi inerenti il servizio di smaltimento dei rifiuti; infine, il Consiglio di Stato, con la succitata decisione, richiama il D.P.R. n. 158/1999 soltanto “per le classi di utenza” e non certo per l’integrale costo del servizio (infatti, si fa riferimento all’ 88, 42% del costo del servizio per gli alberghi). Quindi, quando l’art. 238, comma 11, del D.Lgs. n. 152 cit. (TIA/2) afferma che: “Sino all’emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti” è chiaro che il riferimento è fatto soltanto al regolamento governativo n. 158 cit. (della TIA/1) perché, tenendo conto della gerarchia delle fonti sopra esposta (lettere H ed I): la TARSU è stata soppressa per gli anni 2010 e 2011 perché non è stata più prorogata (art. 49, comma 1, D.Lgs. n. 22/97 cit.); oggi esiste soltanto la TIA/1 e, per opzione, la TIA/2; l’unico regolamento applicabile è quello governativo n. 158 cit. (c.d. di esecuzione) che disciplina soltanto la TIA/1 e, per opzione, la TIA/2, mai però la TARSU, che ha caratteristiche e struttura completamente diverse. Infatti, la TIA/2 funziona in modo analogo alla TIA/1, anche se è stata qualificata entrata non tributaria dal D.L. n. 78/2010 cit. (rinvio alla lett. G del presente articolo). M) FEDERALISMO MUNICIPALE In materia di federalismo fiscale municipale, il legislatore, ultimamente, con l’art. 14, comma 7, D.Lgs. n. 23 del 14 marzo 2011 (in G.U. n. 67 del 23/03/2011) ha statuito che: “Sino alla revisione della disciplina relativa ai prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale. Resta ferma la possibilità per i Comuni di adottare la tariffa integrata ambientale”. A tal proposito, occorre precisare quanto segue. Il riferimento ai “regolamenti comunali” non può che riferirsi ai soli regolamenti comunali della TIA/1 (art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 22/97) e non certo ai regolamenti comunali TARSU (art. 68, comma 1, D.Lgs. n. 507/93) ormai decaduti perché la relativa legge è stata soppressa. Diversamente opinando, si avrebbe l’assurdo, costituzionalmente illegittimo, che un semplice regolamento comunale si sostituisce e fa rivivere una legge ormai abrogata, stravolgendo sensibilmente la gerarchia delle fonti (art. 23 della Costituzione). In altre parole, quando in molteplici sue disposizioni la Costituzione prevede che “in base alla legge” (come nell’art. 23 cit.) saranno adottate certe normative, ciò significa che soltanto il Parlamento è tenuto ad intervenire per dettare le sue discipline, a secondo dei casi più o meno dettagliatamente articolate, e non potrebbe, quindi, disporre nella sua legislazione l’affidamento di una ulteriore disciplina a fonti diverse e secondarie (come i regolamenti). Secondo la Corte Costituzionale, infatti, la riserva (anche relativa) implica, dunque, sia “il monopolio del legislatore”, escludendo la concorrenza delle fonti secondarie, sia l’imposizione “alla autorità normativa primaria di non sottrarsi al compito che solo ad essa è affidato” (Corte Costituzionale, sentenza n. 383 del 1998). Il principio della riserva di legge, inoltre, è soddisfatto anche se a disciplinare una materia siano atti con forza di legge (sentenze n. 126 del 1969 e n. 184 del 1974 della Corte Costituzionale), purchè non si tratti di semplici atti di formazione secondaria, come i regolamenti. La diversa terminologia “tassa” e “tariffa” è ininfluente perché la TIA/1 è a tutti gli effetti una “tassa”, come ha precisato la Corte Costituzionale con la più volte citata sentenza n. 238 del 2009 (lett. C) del presente articolo). In definitiva, oggi, per i Comuni l’unica opzione possibile è tra la TIA/1 e la TIA/2, tanto è vero che l’art. 14 cit. conferma la possibilità di adottare la tariffa integrata ambientale (TIA/2), logicamente adottando l’unico regolamento governativo oggi esistente (n. 158/1999), come stabilito dall’art. 5, comma 2-quater, del D.L. n. 208/2008, anche questo più volte citato. Infine, anche a voler prescindere da tutto quanto sopra esposto, il D.Lgs. n. 23 del 14 marzo 2011 è entrato in vigore il 07 aprile 2011 (G.U. n. 67 del 23/03/2011 – art. 73, comma 3, della Costituzione) e quindi: non riguarda assolutamente l’anno 2010, per cui la TARSU rimane soppressa per tutto l’anno 2010; non riguarda neppure l’anno 2011, perché la norma non ha effetto retroattivo, per cui i Comuni già all’01/01/2011 avrebbero dovuto adottare la TIA/1, in continuità, peraltro, con l’anno 2010 (salvo eventualmente l’opzione per la TIA/2); non è stato minimamente modificato l’art. 49, comma 1, del D.Lgs. n. 22/97, che ha soppresso, in attuazione di Direttive comunitarie, la “tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani” ed ha istituito una “tariffa” per la copertura totale (e non più parziale) dei costi del servizio di smaltimento, che deve essere sempre determinata dall’ente impositore e mai dalla società di gestione dei servizi (Cassazione – Sezione Tributaria – sentenza n. 8313 del 02 marzo 2010, depositata l’08 aprile 2010). N) RICORSI TRIBUTARI E DISAPPLICAZIONE DEI REGOLAMENTI COMUNALI Alla luce di quanto sopra esposto a livello giuridico, i contribuenti possono impugnare le cartelle esattoriali TARSU per gli anni 2010 e 2011 entro 60 giorni dalla notifica alla competente Commissione Tributaria, chiedendo l’annullamento totale perché la TARSU non è più applicabile per gli anni 2010 e 2011. Oltretutto, i contribuenti, nei ricorsi introduttivi, possono chiedere ai giudici tributari la disapplicazione dei regolamenti comunali TARSU per gli anni 2010 e 2011 (art. 7, ultimo comma, D.Lgs. n. 546 del 31/12/1992) in quanto trattasi di regolamenti illegittimi per tutti i motivi giuridici sopra esposti. O) CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Nell’ottica del federalismo fiscale, c’è la volontà del Governo di reintrodurre la TARSU ancorandola, però, alla rendita e non più alla superficie (intervista del Ministro Calderoli, in Il Sole 24 Ore del 18/12/2010). In ogni caso, qualunque siano le intenzioni del legislatore, l’importante è che l’intero istituto giuridico sia ridisciplinato in modo chiaro, organico e preciso per non alimentare dubbi interpretativi tra i contribuenti, i professionisti e, soprattutto, i Comuni, questi ultimi soggetti al controllo della Corte di Conti. La disciplina, infatti, non può essere rinviata (o meglio, delegata) alla giurisprudenza (seppur più autorevole) o, addirittura, alla semplice potestà regolamentare degli enti locali (Comuni): e ciò sia per i limiti oggettivi di tale strumento (art. 52 D.Lgs. n. 446/1997 cit.) sia per le soluzioni estremamente difformi assunte sino ad ora dai suddetti enti locali. Lecce, 07 giugno 2011 AVV. MAURIZIO VILLANI Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione HYPERLINK “http://www.studiotributariovillani.it”