COME SI POSSONO INDIVIDUARE GLI SPRECHI DEL DENARO PUBBLICO NEI COMUNI?

COME SI POSSONO INDIVIDUARE GLI SPRECHI DEL DENARO PUBBLICO NEI COMUNI?

Come può  un cittadino semplice, riconoscere se i suoi amministratori fanno bene il loro lavoro o se sono degli emeriti spreconi?

Non è facile per chi non ha dimestichezza con le pubblica amministrazione cercare di dare delle risposte, nonostante ciò qualcosa la possono capire anche i comuni mortali senza troppe difficoltà. La prima categoria di sprechi è rappresentata dai dipendenti pubblici fannulloni, tramite le finte malattie, orari ad personam, sprechi di carte che girano inutilmente, costi eccessivi degli appalti, assenza di rotazione negli inviti di gara, cattiva distribuzione degli organici, scarso utilizzo del patrimonio, mancanza di direttive ed obiettivi specifici di risultato; tutte  cose delle quali si sono occupati molti politici che si sono succeduti negli ultimi venti anni, ma che non hanno sortito alcun effetto in quanto accanto alle parole c’è quella verità nascosta che va sotto il nome di “clientelismo”.

Altra fonte di spreco è quella che viene definita dai giudici della corte dei conti come “elusione” ovvero la distorsione  nell’impiego delle risorse che crea situazioni opache o poco trasparenti. E’ questo il caso della costituzione di società patrimoniali finalizzate a superare i vincoli all’indebitamento; lo spostamento nel bilancio da investimenti a parte corrente, per ragioni contabili, di ingenti somme di denaro, tramite leasing o contributi in conto gestione di project financing, per eludere il patto di stabilità; i sovra costi IVA per affidare incarichi a professionisti e/o società di servizi per aggirare i divieti di assunzione; gli interessi passivi di mora (o da corrispondere ad istituti per anticipazioni di credito nei confronti di fornitori), maturati, nonostante la disponibilità di cassa, per rispettare contabilmente le uscite imposte dal patto di stabilità; le esternalizzazioni realizzate in modo poco chiaro per sfuggire a vincoli normativi anziché per scelta strategica. L’elusione avviene in altre circostanze non per ragioni legate a incomprensibili vincoli, ma per nascondere alcune scelte. Sono queste le situazioni nelle quali affitti o canoni di concessione d’uso irrisori nascondono in realtà contributi ad associazioni, società sportive, ecc.

Anziché esplicitare l’erogazione del contributo in questo caso si preferisce esplicitare la riscossione di una minore entrata, meno facilmente visibile nella lettura dei bilanci se ci si concentra soprattutto sul lato uscite. Anche in questo caso lo spreco non è inutile e ha una sua ragione di reale buona fede (non interrompere servizi nel caso di elusioni normative oppure sostenere il mondo associativo così importante per il tessuto comunitario di un territorio o per voti  futuri) ma spesso questa opacità genera confusione, costi aggiuntivi, situazioni delle quali nel tempo sfugge il controllo.

Gli sprechi esistono davvero,non solo nelle situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche nelle situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale o meglio da incapaci) dell’azione amministrativa. Si tratta di situazioni nelle quali la spesa, sebbene utilizzata dagli amministratori per finalità pubbliche, con buona fede e magari passione, non è impiegata nel modo migliore, più produttivo e più efficace per risolvere i problemi della comunità, a causa di un approccio poco rigoroso, sul piano del metodo, alla progettazione delle politiche e dei servizi pubblici, diciamocelo francamente fino a quando gli eletti ad un civico consesso provengono da ambienti di totale menefreghismo ed ignoranza culturale sarà difficile poter realizzare gli obiettivi di finanza pubblica e dare dei servizi ottimali a minor costi !

Un altro elemento di grande  spreco è dato dall’’emergere di una personalizzazione della politica, che  richiede la visibilità individuale degli stessi amministratori e dei partiti che questi rappresentano. Questa esigenza rende di fatto incompatibile la necessità di integrazione e cooperazione e ancor più quella di selezione delle priorità. In sostanza l’esigenza di visibilità individuale e di competizione nel mercato politico-elettorale diviene contraddittoria con quella di cooperazione e selezione degli investimenti. Soprattutto in un quadro di risorse scarse, l’allocazione redistributiva in funzione delle priorità strategiche di intervento, diviene impossibile perché ostacolata dalle dimensioni simboliche del potere, sottese alla competizione tra assessori per l’acquisizione della quota parte di risorse individuali a disposizione. L’allocazione delle risorse viene vissuta come competizione per l’accesso alle opportunità necessarie per la costruzione del consenso personale e la sopravvivenza futura del singolo assessore.

In sostanza ognuno ha bisogno del proprio spazio di visibilità e del proprio consenso personale che viene (probabilisticamente) considerato direttamente proporzionale al numero e qualità delle relazioni dirette che si riescono a costruire nel breve periodo del mandato. Il consenso infatti per la maggior parte degli assessori non avviene sui risultati reali poiché questi, per quanto rilevanti e visibili, sono normalmente frutto di apporti integrati e dunque riconosciuti al Sindaco dall’opinione pubblica. I cittadini infatti di norma non conoscono i nomi degli assessori e le loro deleghe e i risultati individuali sono così spesso parziali da non essere percepiti come generalmente significativi. Gli assessori pertanto, per ottenere consenso, sono costretti ad agire principalmente attraverso relazioni personali di riferimento e non attraverso la valorizzazione dei propri risultati presso pubblici servizi più ampi.

Poter essere delegati a trattare specifiche materie e avere a disposizione un budget significa avere così accesso privilegiato a specifici servizi e a reti di interesse segmentate: quanto più l’azione è mirata a certi servizi tanto più si ritiene probabile costruire relazioni intense e significative con questi soggetti di riferimento.

Infine proprio riguardo alla spesa degli enti locali, la Corte dei Conti, nella sua relazione di fine anno, ha indicato i punti dolenti che portano allo spreco: “Il ricorso a consulenti e collaboratori esterni pur in presenza di professionalità interne disponibili e il riconoscimento dei debiti fuori bilancio”. Si tratta, in quest’ultimo caso, di impegni di spesa presi fuori e dopo le predisposizioni di un bilancio dell’ente. Denaro che nessuno ha autorizzato a spendere..!!!

Questi sono alcuni esempi di spreco di denaro pubblico da parte degli enti locali, soprattutto dei Comuni,che sempre più stanno diventando centri di spesa individuali privi di controllo contabile.  Non importa il colore  politico, che ormai non esiste più, una volta occupata la stanza dei bottoni  pur di mantenere la poltrona ed affermare il proprio potere decisionale si è disposti a tutto  riproponendo la stessa minestra riscaldata con la sola aggiunta di sale e  qualche contorno in più, dimenticando i principi fondamentali che fanno della pubblica amministrazione un bene collettivo  e non la proprietà esclusiva di  pochi.

Luca Lionetti

viv@voce

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