LETTERA. L’ILVA E LA REALTA’ DELLA NOSTRA PROVINCIA
Caro Direttore, sono una savese trapiantata a Firenze, non per scelta ma per lavoro come tanti altri
Le scrivo perchè non sopporto più i discorsi che fa la gente che non conosce realtà della provincia di Taranto da vicino.
Succede che stasera sento dei giovani parlare dell’Ilva e sentendomi parte di quella cosa mi avvicino per discuterne e mi accorgo che uno di loro è meridionale, proprio quello che ne sta parlando.
E’ vero l’Ilva non c’è da ieri, non ci è piovuta dal cielo da un giorno all’altro portando avvelenamenti e morte, ma anche lavoro e noi in tutti questi anni non abbiamo mai fatto niente perchè quella fabbrica di veleni dava da mangiare a molte delle nostre famiglie.
La molla che mi ha fatto scattare è stata la frase, cito testualmente: “io capisco chi ha 50 anni, ma chi ne ha 20 o 30 venga via, è che non hanno voglia” .
Da tempo ho un magone allo stomaco che diventa sempre più grosso e pesante, sono in tanti a pensarla così, all’inizio lo facevo anch’io ma negli ultimi tempi una domanda mi passa frequentemente nella testa: perchè solo perchè sono nata geograficamente più a sud non posso avere una vita dignitosa nel luogo in cui sono nata cresciuta e ho tutti gli affetti? Perchè devo sentirmi in qualche modo costretta ad andare via dalla mia terra per un’opportunità migliore e non semplicemente perchè ho voglia di vedere il mondo per poi riportare la mia esperienza in patria e non sentire come se fino ad allora avessi abitato un altro pianeta?
Perchè se vengo dalla provincia di Taranto ho come opportunità di vita quella di lavorare all’Ilva e probabilmente morire di tumore o partire militare o a studiare e molto probabilmente restare a lavorare al nord o all’estero oppure vagabondare con qualche lavoretto occasionale e la disoccupazione senza avere più alcun tipo di sogno e desiderio se non quello che la tua vita si risolva in fretta.
Spiegavo a quel ragazzo queste cose dicendogli anche che non è da adesso che Taranto è la provincia con il più alto tasso tumorale d’Europa, perchè già quando frequentavo le scuole medie (e sono passati ormai la bellezza di 13 anni) l’istituto oncologico faceva fare a noi studenti dei questionari di sondaggio per vedere quante persone nelle nostre famiglie si erano ammalate di tumore, mentre proprio in quelli anni mi ricordo uno sciame di leucemia fulminante che si portò via diversi ragazzi tra i 16 e i 22 anni proprio a Sava.
No, non è da ieri che succedono queste cose.
Ci stiamo abituando al tumore come fosse ormai una malattia all’ordine del giorno, tutti in famiglia o tra gli amici abbiamo un malato o peggio una vittima di questa malattia. Allora forse era meglio quando non si osava nemmeno farne il nome tanto era paurosa, sembra che l’abbiamo “sdoganata”.
Sentendomi dire queste cose e che si sarebbe potuto fare molto all’origine a partire dai filtri e dagli impianti a norma il giovanotto in questione mi risponde sbottando: “Non serve a niente faranno sempre male. Dovrebbero costruirle in Cina o in India le acciaierie, dove ci sono milioni di persone e non gliene frega niente a nessuno se qualcuno muore di tumore”.
Non ho più risposto, ho girato i tacchi e sono andata via sdegnata ancor di più perchè a fare certi discorsi era un ragazzo del sud e domandandomi come il genere umano possa avere tanto sdegno per se stesso.
Se non ci rispettiamo noi, chi lo farà?
Sento un richiamo sempre più forte e non so quanto riuscirò ancora a resistere, a non fare niente, a stare qui con le mani in mano a guardare e non provare a cambiare le cose anche partendo dal piccolo. Non so per quanto ancora, non so.
Cordialmente
Noemi Desantis