IACOPINO: “ECCO QUELLO CHE HO DETTO A MONTI”
23 dicembre: l’intervento del presidente nazionale dell’ Ordine dei giornalisti alla conferenza stampa del presidente del Consiglio
“È facile immaginare, signor Presidente, che lei non si sottrarrà al dovere di fare chiarezza sulla situazione che il nostro Paese sta attraversando. Qualcosa mi fa pensare che saranno in molti, non solo qui, ad interrogarsi e a interrogarla sul suo futuro politico e personale. Non le chiederò che cosa ha fatto e che cosa farà e neanche con chi: immagino vorranno occuparsene i colleghi. Non credo, signor Presidente, sarebbe giusto fare qui quanto con qualche sorpresa ho letto stamane, bilanci e in altra sede annunci. Questo è il luogo perfetto perché qui c’è tutta la stampa italiana e una significativa rappresentanza di quella estera e da qui la guarda in diretta un numero elevatissimo di italiani.
Sono ben consapevole che le attese sono queste, ma ho un dovere che voglio onorare: dare voce qui, oggi, a chi non la ha quasi mai.
Così le farò due nomi: Gaetano Gorgoni e Amalia De Simone.
Il primo era il direttore di una tv in Puglia. Ha stretto i denti, ignorando a lungo i suoi sentimenti. Poi non ha resistito e ha denunciato la vergogna alla quale assisteva. I colleghi che lavoravano per la sua emittente venivano retribuiti con mancette, 300 euro circa per un intero mese di lavoro, da un editore che continuava a percepire soldi pubblici. Il 27.09, in diretta, ha annunciato le sue dimissioni e ha rivelato quel che accadeva, andando incontro a un destino precario.
Noi non abbiamo bisogno di gesti eroici come questo, signor presidente. Desideriamo avere la possibilità di onorare quel dovere che la Costituzione ci affida. È nostro dovere, ripeto dovere, fornire ai cittadini una informazione completa. Si può farlo quando si viene retribuiti con due o tre euro per articolo? Non si può signor presidente. Non c’è tempo per quei controlli che sono doverosi, non c’è tempo per garantire quella qualità alla quale i cittadini hanno diritto.
Ora abbiamo una legge, quella che noi chiamiamo dell’equo compenso. È stata approvata il 6 dicembre.
C’è voluta una legge nel 2012 per stabilire che la schiavitù non è consentita. Schiavitù perché retribuire con due euro chi scrive un articolo è prova di schiavitù.
Abbiamo tanto lavorato per ottenere questa legge, con un impegno che ha visto mobilitarsi accanto all’Odg, nella sede del quale quella proposta nacque, lo ricorda bene il vice presidente Enrico Paissan, la Fnsi qui rappresentata dal segretario Franco Siddi, l’Asp e il suo presidente Alessandra Sardoni. Ci siamo confrontati con i colleghi della stampa estera che sono qui con noi con il loro presidente, Tobias Piller.
Non ce l’avremmo fatta se non avessimo lavorato tutti insieme. Anche con gli Ordini regionali. Penso all’aiuto e all’impegno, non compreso da tutti, del presidente dell’Odg del Lazio, Bruno Tucci. Non so se è politicamente corretto, ma sarebbe ingiusto non ricordare l’apporto costante e prezioso del presidente della Fnsi, Roberto Natale.
È tollerabile che a distanza di tanti giorni dalla sua approvazione quella legge così attesa non sia stata ancora pubblicata dalla Gazzetta ufficiale? Non lo è, signor Presidente. Che cosa sta accadendo, chi o che cosa non lo consente? È indicativo il fatto che non un giornale, non uno, abbia dato notizia dell’approvazione di quella legge?
Sappiamo qual è la situazione politica. Ma anni e anni di schiavitù di migliaia di giornalisti meritano un’attenzione che confido da lei non mancherà.
L’attuazione pratica di questa legge in parte dipende da lei, dalla nomina di una commissione chiamata a stabilire parametri che siano equi, che non tengano conto solo dei bilanci, mortificando la vita dei giornalisti e i diritti dei cittadini.
Amalia De Simone ci porta ad affrontare un altro argomento, le pene per la diffamazione. Ha scritto un articolo, c’era un errore, lo ha segnalato prontamente, con il rigore che la contraddistingue, trasmettendo la richiesta della rettifica che è stata pubblicata con ritardo non per sua scelta. L’azienda è stata condannata anche per il titolo a 70.000 euro di risarcimento. Ne chiede 52 mila ad Amalia de Simone: l’equivalente di quattro anni interi di lavoro.
Si uccide anche così la libertà di stampa ed è un attentato continuo, sistematico, pianificato, l’ultimo in ordine di tempo fatto in questi giorni nel Veneto.
Amalia dirige in Campania radio Siani, un nome, quello di Giancarlo, trucidato il 23 settembre 1985 dalla camorra, che suona anche oggi come monito e vergogna per il mondo della informazione, testimonianza di uno sfruttamento che ha radici antiche. Quanti sono quelli che come Siani vedono la loro passione per la verità sfruttata da troppi? Migliaia, signor Presidente. Meritano una risposta, meritano di essere rispettati da vivi, non onorati da morti. La democrazia in questo Paese ha bisogno di loro, di quelli che sono gli ultimi ma senza i quali tanta verità rimarrebbe sommersa. Di quelli che sono gli ultimi, trattati da ultimi, con compensi da miseria ma che rischiano la loro vita per servire la verità. Mai come oggi c’è stata in Italia una aggressione così forte nei confronti dei giornalisti. Il rapporto Ossigeno per l’informazione fa emergere che nel 2012 sono 307 i giornalisti che sono stati minacciati dalle mafie. L’ultima di loro ieri l’altro, in Lombardia.
Tra le tante cose che Siani ci ha lasciato c’è questa frase: “Se sei realmente libero nei pensieri, nel cuore e se possiedi l’animo del saggio potrai cadere anche infinite volte nel percorso della tua vita, ma non sarai mai in ginocchio, resterai sempre in piedi”.
Sono loro gli “ultimi” a non volere leggi speciali. Neanche sulla diffamazione.
Siamo felici per il fatto che il Presidente della Repubblica con la sua saggezza sia riuscito a trovare una soluzione di equità. Ma il nostro mondo non è fatto solo di star e le soluzioni personali, doverose davanti a sentenze scarsamente comprensibili, nulla tolgono alla necessità, all’urgenza di affrontare il problema generale. Non rendersene conto, non agire equivale al mettere la polvere sotto il tappeto. La politica dia risposte, non si limiti ad applaudire il Capo dello Stato dopo averlo costretto ad esercitare un delicato ruolo di supplenza.
Chi tra noi sbaglia deve esser chiamato a risponderne. Ci sono le sanzioni disciplinari che arrivano fino alla radiazione. Ma c’è anche da capire qual è il bene primario da tutelare. Il ripristino della rispettabilità lesa o la possibilità, con i risarcimenti, di costruirsi le ville al mare a spese dei giornali e dei giornalisti? Penso che non possano esserci dubbi. Quel problema si risolve con una rettifica adeguata che ristabilisca la verità. Quello è il bene primario, la verità. Abbiamo provato a fornire documenti, a spiegarlo. Ma in tanti si sono messi le mani non solo sulle orecchie senza che ciò provocasse alcuno scandalo.
So quali tempi stiamo vivendo. Consideri questo mio secondo punto un pro memoria non solo per lei, ma per chiunque dovrà occuparsi della cosa pubblica. Quella della diffamazione è una emergenza, ancor prima che per nomi noti, per i mille e mille sfruttati ogni giorno come schiavi.
Il ricatto che le querele e perfino le minacce di querele determinano sui più giovani rappresenta un danno non quantificabile per la libertà di stampa, cioè per i diritti dei cittadini ad avere quelle informazioni che sono loro necessarie per scegliere in maniera consapevole. La politica vuole assumersi questa responsabilità? Lo ho fatto con quella legge fortunatamente abortita in Senato che testimoniava la volontà di tenere l’informazione sotto ricatto. Continui pure a farlo: i cittadini valuteranno il comportamento di chi in una campagna elettorale nella quale è facile prevedere ci saranno molti colpi sotto la cintura tende a mettere, anche così, un bavaglio all’informazione, un limite ai loro diritti.
È bello registrare che la celebrazione della Costituzione incanta una percentuale di italiani più alta di quella che ha partecipato utilmente alla consultazione elettorale in Sicilia.
Sarebbe bellissimo vedere che la Costituzione viene attuata.
Lei, signor Presidente, ha detto qualche giorno fa: “Non c’è Paese che possa decidere il suo destino da solo”. E’ vero, ma è altrettanto vero che non c’è cittadino che possa operare scelte consapevoli senza una informazione libera da ogni ricatto, rispettosa delle verità e delle persone, pacata e responsabile”.
Enzo IACOPINO