DAL 3 MARZO 6.500 DIPENDENTI DELL’ILVA SARANNO MESSI IN CASSA INTEGRAZIONE
La Cgil ha lanciato l’allarme sull’emergenza occupazione in Italia, si prevedono 9 milioni di lavoratori in difficoltà tra disoccupati, cassa integrati e precari
Quindi già dalla prossima settimana per la precisione 6.417 lavoratori dell’Ilva andranno in cassa integrazione e tutto il quadro macroeconomico soprattutto per quanto riguarda la disoccupazione continua ad essere estremamente allarmante. Il polo siderurgico di Taranto al centro di una guerra giudiziaria lunga ormai mesi manderà in cassa integrazione. Un provvedimento annunciato dall’azienda e che avrà la durata di due anni, dovuto ai lavori di bonifica dello stabilimento che costeranno oltre 2 miliardi di euro. Ma è dura la reazione dei sindacati che hanno già avviato uno sciopero che si annuncia ad oltranza. La tegola dell’Ilva arriva con i nuovi dati sull’occupazione elaborati dalla Cgil. Sono 2.875.000 secondo i calcoli del sindacato le persone senza lavoro in Italia, il record degli ultimi vent’anni. Soltanto negli ultimi tre mesi del 2012 si sono persi 200mila posti e la situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi nei prossimi mesi. Nell’area di sofferenza del lavoro c’è anche chi formalmente ha ancora un posto di lavoro anche se non si sa per quanto, cassaintegrati e lavoratori in mobilità che fanno salire il conto delle persone in situazione di disagio occupazionale a 9milioni.
Primo Bozzato, che ha inviato una sua lettera ad alcuni direttori della carta stampata e delle tv, tra i promotori di una soluzione ad ampio raggio del problema Ilva ha a cuore il posto di lavoro dei circa 20.000 lavoratori interessati, l’ambiente e il suo indotto. <> ci ha detto. Salvaguardando quindi non solo la salute di chi vi lavora e di chi vi abita nei dintorni, ma salvando quei posti di lavoro, come quelli della miniera di carbone della Sulcis sarda, in pericolo a causa del blocco di dette centrali. Inoltre, lo studio fatto per mettere a punto determinati metodi di depurazione ambientale, secondo Bozzato, ci metterebbe nella condizione di applicarli anche allo smaltimento dei rifiuti, di tutta la nazione. Con il vantaggio che non necessiterebbero più le discariche in quanto non si smaltirebbe più niente perché il composto, sottoposto a macerazione forzata e bombardato con Co2, recuperata dallo stesso con tecnica innovativa, farebbe fermentare il tutto.
Successivamente poi entro le 24/36 ore produrrebbe, in modo naturale e privo di emissioni nocive per l’ambiente, una grandissima quantità di gas che, opportunamente depurato con filtri e ossigenato con il metodo innovativo e naturale, potrebbe essere immesso, in parte, tranquillamente nelle tubature cittadine per l’utilizzo civile, ed il restante utilizzato su turbine di nuova concezione e di derivazione aereonautica, per produrre energia elettrica. Sempre secondo Bozzato, dagli studi fatti recentemente, se utilizzassimo, con vari impianti sparsi nel territorio nazionale, tutte le 38.000.000 tonnellate di rifiuti urbani prodotti in Italia, l’Italia stessa diventerebbe ampiamente autonoma nella produzione sia di gas che di energia elettrica per il fabbisogno nazionale.
Infatti un progetto, pronto per partire dopo l’eventuale Ilva, prevede di installare un impianto di smaltimento rifiuti in Sardegna nella zona della Alcoa, per produrre l’energia elettrica di cui ha bisogno, a bassissimo costo, si prevede ad un decimo del costo attuale. Inoltre, il composto di scarto che ne rimane, dopo il trattamento di fermentazione naturale, divenuto ormai inerte, diventa un ottimo fertilizzante, ricco di sali minerali e altamente nutriente per la terra, superiore al letame e con un costo praticamente nullo. A tutti questi vantaggi, aggiungiamo, non ultimo ma primo in assoluto, il gran numero di posti di lavoro che tale tecnica, tutta italiana, produrrebbe.
Vito Piepoli