“PERCHE’ IL MALE VINCA, BASTA CHE UOMINI BUONI NON FACCIANO NULLA”
Intervista a Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi
Fra tutti i ricordi che lei ha di Federico qual è quello più curioso?
La sua imitazione di Louis Armstrong che cantava “What a wonderful world“.
Se volesse definirlo: ragazzo espansivo o timido?
Tutte e due. Non era persona che dava immediata confidenza a chiunque. Aveva superato la timidezza della prima adolescenza ma non era espansivo sempre e comunque. Era riservato ed educato con tutti. I suoi amici, e noi, sappiamo quanto fosse divertente, interessante e curioso. Intelligente e profondo.
Davanti a simili tragedie, accompagnate da un profondo dolore, sono molte le persone che manifestano la loro solidarietà: tra queste chi l’ha colpita di più?
Non una persona ma la moltitudine, la quantità delle persone comuni che ci accompagnano. Certo prima l’informazione ha dovuto superare le barriere costruite dalla “disinformazione ufficiale” proveniente dagli addetti alle indagini nel 2005, ma per fortuna esiste internet. E’ stato il primo passo.
Nel momento in cui “il caso Federico Aldrovandi” ha preso ad essere un caso che ha riguardato tutta la nostra nazione ed ha messo in automatico la Magistratura italiana per far luce e rendere più chiara la dinamica dei fatti: ha mai temuto che, chi ha ucciso suo figlio, la “passasse liscia”?
No, sinceramente non ho mai pensato che potessero essere assolti. Devo aggiungere però che non avevo idea di quanto sarebbe stato difficile raggiungere il solo verdetto possibile: colpevoli. Sono passati 4 anni e decine di sedute al processo. Un processo che sembrava dovesse giudicare Federico e non i poliziotti. La vita di mio figlio è stata analizzata fin da quando era bambino. Quella dei poliziotti, e dei loro trascorsi, è rimasta ben riservata, in aula non si è nemmeno guardato il loro passato. Ferrara è una città piccola, si sanno molte cose di loro, ma io non voglio giudicare la loro vita privata, voglio che paghino per il delitto commesso.
La sentenza di primo grado sicuramente in lei ha fatto scatenare non uno spirito di vendetta ma bensì uno spirito di giustizia: cosa ha provato alla lettura di questa?
Il sollievo di avere finalmente raggiunto l’obiettivo della condanna “in nome del popolo italiano”: la consapevolezza e la condanna della società intera.
Lei avrebbe preferito che i quattro poliziotti condannati fossero espulsi dal corpo di polizia: spera ancora che questo avvenga?
Si. Il questore attuale mi ha indicato la norma che li mantiene in servizio fino al terzo grado di giudizio. Io credo che questo sia sbagliato all’origine: chi ha dimostrato di non sapersi controllare non potrebbe svolgere ancora lo stesso lavoro, è una persona socialmente pericolosa, dovrebbe essere almeno sospeso fino alla condanna definitiva. Poi licenziato ovviamente, con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Un’ipotesi: lei incontra i quattro poliziotti, tre uomini e una donna, e le porgono le scuse per tutto quello che è successo. Come si mostrerebbe?
Se avessero avuto un briciolo di umanità l’avrebbero espressa subito credo. Inoltre se fossero stati umanamente coscienti non avrebbero ucciso. Invece si sono avvalsi della facoltà di non rispondere persino col magistrato, convinti della loro impunità. Non avrebbero senso le scuse, mi girerei dall’altra parte. Federico non può tornare. Non c’è rimedio. Nessun perdono, mai.
La morte di un figlio, nel nucleo familiare, porta grandi e gravi cambiamenti, specie quando è così giovane ed ha un futuro davanti. In cosa nota la mancanza di Federico?
Manca la musica, il caos mattutino, mancano tutte le parole e gli sguardi e il bene più grande, manca l’interlocutore costante, doveva essere passato presente e futuro per Stefano, suo fratello più piccolo, e per noi finchè avremo vita. Come si può definire un vuoto così grande? E’ un vuoto immenso che qualunque definizione ridurrebbe. Ed è un vuoto che nessuno dovrebbe provare mai. Non esite nemmeno una parola che lo definisce, esistono parole per specificare le altre perdite: vedovo, orfano, ma non esiste la parola per la perdita di un figlio.
Lei ha partecipato a tantissimi convegni, innumerevoli riunioni, ha dimostrato la sua caparbietà e il suo coraggio, accompagnato dalla determinazione, rivestendo un ruolo importantissimo in tutta questa triste vicenda. Cosa vuole dire alle mamme che, come lei, hanno perso un figlio per negligenza e poca professionalità da parte di chi, in teoria, dovrebbe difenderci?
Di non lasciarsi sopraffare dalla paura dei potenti. E di non lasciarsi ingannare dalla pacca sulla spalla di chi spera che ce ne stiamo zitte nel nostro dolore. Niente è più grande dell’amore per i figli. Se non possono più parlare lo faremo sempre noi per loro. Ma non dico niente di nuovo. L’ho visto fare da altre madri prima di me, e purtroppo anche dopo di me. L’importante è agire, parlare, raccontare. Pretendere giustizia e la pace. Non sono tipo da citazioni, ricordo solo una frase di un filosofo di due secoli fa: perchè il male vinca, basta che gli uomini buoni non facciano nulla. Il vero rischio è questo, che la gente si assopisca e perda di vista il proprio futuro. Voglio giustizia per Federico, e un futuro senza i pericoli che me l’hanno portato via.
Giovanni Caforio