LEGAMBIENTE. Circolo di Taranto
Dossier di Legambiente consegnato ieri al Ministro Orlando
Nel documento viene illustrata la situazione e rivolte al Ministro nove precise richieste in materia di:
- Bonifiche e accordo di programma
- Rapporti con l’Europa
- AIA Ilva, inadempienze e sanzioni
- AIA Ilva, richieste dell’azienda di proroga
- AIA IlVA, corretta applicazione BAT 11
- AIA ILVA, riesame per cokerie
- Autorizzazioni per discariche, rifiuti, acqua
- Riesame AIA per ridurre il limite della capacità produttiva Ilva
- Valutazione danno sanitario
Il polo industriale di Taranto e l’acciaieria ILVA
Il polo industriale di Taranto è uno dei maggiori del Paese e, in seguito ai noti problemi ambientali e sanitari imputati principalmente all’impianto siderurgico dell’Ilva, è diventato l’esempio più eclatante a livello nazionale di inquinamento atmosferico.
Nel territorio di Taranto, infatti, insiste una notevole concentrazione di insediamenti industriali ad alto impatto ambientale : l’Ilva (circa 9 mln t/a di acciaio), la raffineria ENI (6,5 mln annui derivati da petrolio) – le cui emissioni in aria sono convogliate in 6 camini e 2 torce di sicurezza – con il suo deposito (riserve strategiche nazionali, 135 serbatoi fuori terra per una capacità di 2.000.000 mc), le due centrali termoelettriche ex Edison passate all’Ilva (circa 1100 mgw), la centrale ENIPOWER (87 mgw), la Cementir (900 mila t/a di cemento), i cui scarichi in atmosfera vengono convogliati in 85 camini, due inceneritori, la discarica Italcave (complessivi 6 mln mc), le discariche dell’Ilva (tra cui una “2C”), la base navale militare tra le maggiori del Mediterraneo, con il passaggio e lo stazionamento di sottomarini a propulsione nucleare, l’arsenale militare ed altre piccole e medie aziende. Le forti criticità ambientali hanno comportato l’inserimento di Taranto tra le aree ad elevato rischio ambientale (1990 e reiterazione nel 1997) e tra i SIN per le bonifiche (con legge 426/98 e superficie approvata con D.M. 10.01.2000).
L’emergenza sanitaria
Attualmente è in vigore un’ordinanza della Presidenza della Giunta Regionale (n. 176 del 23.02.2010) di divieto di pascolo nelle aree incolte nel raggio di20 kmdalla zona industriale, essendo state rilevate quantità difformi di diossina e di PCB in capi di allevamento (circa 2000 sinora abbattuti) ed alimenti vari (fegati, formaggi, uova. latte). Secondo la perizia chimica predisposta dalla Procura, la contaminazione da diossina dei terreni contermini allo stabilimento siderurgico (non di rado vi veniva praticato il pascolo) sarebbe da attribuirsi alle emissioni diffuse e fuggitive prodotte dall’agglomerato.
Le perizie epidemiologiche disposte dalla Procura nel 2012, nonché vari studi ed indagini, tra i quali “Sentieri”, MISA e Epiair danno conto di un contesto sanitario drammatico: a Taranto ci si ammala e si muore molto di più che altrove per patologie collegate all’inquinamento. Tale contesto è evidenziato chiaramente nel rapporto presentato lo scorso 22 ottobre dal ministro della sanità Balduzzi.
Le emissioni dell’Ilva
Il principale impianto dell’area industriale è lo stabilimento Ilva. Le sue emissioni in atmosfera sono convogliate attraverso i 256 camini dello stabilimento, ma avvengono anche in maniera diffusa nelle cokerie, nei parchi minerari e nelle banchine in ambito portuale. Alle emissioni in atmosfera si aggiungono anche i 140mila m3 all’ora di reflui in acqua e l’attività di 3 discariche, di cui 1 per rifiuti pericolosi.
L’inquinamento atmosferico della città di Taranto è dovuto quasi esclusivamente all’industria. Secondo i dati del “Quarto rapporto sulla qualità dell’Ambiente urbano”, pubblicato nel 2007 dall’ex Apat (oggi Ispra), Taranto è risultata la città con maggiori emissioni in atmosfera di PM10 tra i 24 capoluoghi presi in esame (sono stati considerati solo quelli con più di 150mila abitanti): a Taranto nel 2005 secondo il rapporto sono state emesse 7.207 tonnellate di PM10, seguita da Roma con 3.297 tonnellate. Altro record nazionale tra i 24 capoluoghi citati nel Rapporto è quello relativo agli ossidi di zolfo, che vedono primeggiare la città di Taranto con 30.873 tonnellate emesse nel 2005, seguita da Venezia con 24.415 e da Genova con 13.175 tonnellate. La fonte industriale a Taranto la fa da padrona, contribuendo per il 96% delle emissioni di PM10, per il 91% degli ossidi di azoto, per la quasi totalità degli ossidi di zolfo e del monossido di carbonio.
Altri dati confermano il rilevante contributo degli stabilimenti industriali all’inquinamento atmosferico sulla città di Taranto. Nelle campagne eseguite dai tecnici dell’Arpa Puglia tra maggio e agosto 2008 risulta infatti che più del 90% delle emissioni di diossine e furani, rilevate dalla centralina a via Lago di Bolsena, a circa6 Kmdallo stabilimento siderurgico, sono attribuibili all’area industriale, mentre il restante 10% si divide tra il traffico e altre sorgenti. Lo stesso vale per gli Ipa: in questo caso la percentuale riferita al contributo dell’area industriale “scende” ad un valore tra l’80 e l’85%. I picchi registrati nella centralina posta nel quartiere Tamburi di Taranto mostrano un andamento perfettamente coerente con la direzione del vento, ovvero al picco di concentrazione corrisponde una direzione del vento dall’area industriale verso la centralina in questione.
L’Ilva è il più importante complesso siderurgico nazionale e detiene un triste primato, quello delle emissioni in atmosfera di inquinanti altamente pericolosi per la salute – diossina, Ipa (Idrocarburi policlici aromatici), benzene, piombo, mercurio, cromo e cadmio -, come risulta dall’Inventario nazionale delle emissioni industriali (registro Ines) relative all’anno 2006. Il polo siderurgico tarantino è primo nelle emissioni in atmosfera da fonte industriale anche per macroinquinanti come monossido di carbonio, benzene, ossidi di zolfo e di azoto.
Un territorio da bonificare. L’accordo di Programma di agosto 2012
Il sequestro dell’area a caldo dell’Ilva disposto dalla Procura lo scorso anno (luglio 2012) ha indotto il Governo non solo al riesame dell’AIA (rilasciata all’Ilva nell’agosto 2011 con prescrizioni molto blande), ma anche a stipulare con urgenza, il 26 luglio 2012, un protocollo di intesa con Regione, enti locali ed Autorità portuale. I fondi stanziati ammontano a 336,7 milioni (329,7 mln di parte pubblica e 7,2 mln di parte privata, TCT spa), 119 dei quali destinati alle bonifiche, 187 ad interventi portuali e 30 al rilancio dell’economia su basi di sostenibilità ambientale. Lo stanziamento, peraltro composto per lo più da capitolati di spesa già previsti e non ancora corrisposti, è insufficiente rispetto agli obiettivi prefissati, senza totale copertura economica e con la quota della Regione Puglia in ultimo bloccata dal patto di stabilità.
Il protocollo d’intesa è stato recepito da un decreto legge approvato in via definitiva dal Parlamento con legge n.171 del 04.10.2012. Norma con cui Taranto viene dichiarata “area di crisi industriale complessa”, veicolo per sottoscrivere accordi di programma inerenti progetti di riconversione e riqualificazione industriale. Emanazioni del “protocollo” sono il tavolo tecnico, la cabina di regia ed il commissario; incarico, questo, affidato l’11 gennaio 2013 al comandante, capo del Corpo naz. Vigili del fuoco. Alfio Pini.
Tre le priorità di intervento di bonifica decise dalla cabina di regia : falda zona PIP di Statte (27 mln), mise del 1° seno del Mar Piccolo, decontaminazione di 5 scuole del quartiere Tamburi (alla “Deledda” tracce di diossina). Risorse che vanno improrogabilmente impegnate entro fine anno.
Legambiente chiede che il Ministro dell’Ambiente e il nuovo Governo si attivino con la massima urgenza e la più assoluta trasparenza per reperire e utilizzare nel modo più efficace le risorse necessarie alla bonifica del SIN di Taranto e che si costituiscano contro l’ILVA nel processo che a breve si celebrerà presso il tribunale di Taranto al fine di ottenere, in caso di condanna, il dovuto risarcimento.
L’Europa sulla vicenda Ilva
Un carteggio tra Commissione Europea e Governo italiano rivela i ritardi di quest’ultimo nel rispondere alla Commissione Europea che lo sollecitava a fornire informazioni nell’ambito di un Caso EU Pilot relativo allo stabilimento Ilva di Taranto.
La Commissione ha richiamato il Governo italiano in data 1 marzo 2013 per aver risposto in ritardo e per aver fornito risposte e informazioni insufficienti in merito ad alcune delle richieste formulate minacciando l’apertura di una procedura d’infrazione in caso di mancanza di quella “leale cooperazione” prevista dai trattati europei da parte del Governo italiano.
Non solo. La Commissione ha chiesto anche conto dello stato delle bonifiche all’interno e nel territorio circostante l’Ilva facendo esplicito riferimento alla Direttiva sulla responsabilità ambientale (2004/35/CE) “applicabile al caso in esame nella misura in cui sia stato causato un danno significativo a risorse naturali mediante l’esercizio dell’impianto dal maggio2007”.
Legambiente ritiene che l’eventuale apertura di una procedura d’infrazione sarebbe un pericoloso sintomo di colpevole disattenzione da parte del Governo di fronte alla drammaticità della situazione di Taranto e chiede pertanto che il Governo italiano collabori pienamente con la Commissione Europea evitando in futuro ritardi ed omissioni.
L’AIA per l’ILVA: inadempienze, ritardi, richieste di proroga dell’azienda
Il 27 ottobre 2012 è stata emanato il provvedimento di riesame dell’AIA per l’Ilva di Taranto. Da allora vi sono state due relazioni trimestrali dell’azienda in merito allo stato di attuazione delle prescrizioni, una relazione dell’Ispra sullo stesso argomento (la prossima è prevista per la fine di questo mese), alcuni interventi del Garante per l’AIA istituito dalla Legge 231 del 24-12-2012 tra cui una segnalazione del 26 marzo 2013 per le criticità riscontrate.
Nella sua “Comunicazione sugli esiti del controllo effettuato in data 5-6-7 marzo2013”l’Ispra ha registrato diverse infrazioni tra le quali il superamento di ulcuni limiti di emissione.
Legambiente ritiene che le accertate inadempienze dell’Ilva, evidenziate dalle relazioni dell’ISPRA e del Garante dell’AIA, e la mancanza di sanzioni nei confronti dell’azienda, così come previsto dalla legge cosiddetta “salva Ilva”, siano inaccettabili. Legambiente chiede che quanto la legge prescrive sia immediatamente messo in atto sanzionando l’azienda.
Nelle sue relazioni l’Ilva ha prospettato numerose proroghe, anche rilevanti dal punto di vista dei tempi di adempimento di alcune importanti prescrizioni, che intervengono su aspetti particolarmente inquinanti della produzione come – ad esempio – la prescrizione 6 relativa alla chiusura nastri e cadute di materiali sfusi che l’AIA imponeva entro gennaio 2013 e l’Ilva pospone al 2015 (!),come la prescrizione 12 relativa alla nebulizzazione di acqua (fog cannon) al fine di ridurre le emissioni diffuse dei parchi minerali posposta ad ottobre del2013 inluogo della prevista scadenza di ottobre 2012, o come la prescrizione 16 relativa alla chiusura di alcuni edifici, posticipata indicativamente al luglio2014 inluogo dell’immediata attuazione prevista.
Legambiente ritiene che Ministro e Governo non possano e non debbano accettare queste richieste che rischiano di annacquare l’AIA sino a renderla – allo stato attuale – sostanzialmente inefficace. I tempi stabiliti per la realizzazione delle prescrizioni sono stati già oggetto di un serrato confronto tra Governo, istituzioni locali, organismi tecnici e Ilva e sono stati dettati dall’emergenza ambientale e sanitaria esistente a Taranto. Concedere proroghe da parte del Governo significherebbe ancora una volta sacrificare la salute e la vita dei cittadini di Taranto alle esigenze dell’azienda.
Nella sua “Comunicazione sugli esiti del controllo effettuato in data 5-6-7 marzo2013”l’Ispra ha chiesto al Ministero dell’Ambiente di esprimersi in merito ai sistemi di automazione utilizzati dall’Ilva per il carico/scarico delle materie prime all’interno del porto proponendo l’adozione di “benne ecologiche” completamente chiuse e più elevate paratoie di protezione per la tramoggia di scarico ai nastri al fine di minimizzare lo spolverio rispetto al sistema adottato dall’Ilva.
In proposito Legambiente segnala che in merito alla polvere dispersa nella fase di scarico in area portuale di pertinenza Ilva, la lettura delle BAT Conclusions di riferimento, nella parte dove riportano la prescrizione trascritta nel provvedimento di riesame AIA ILVA e che richiama esplicitamente la BAT 11, si riferiscono a navi con sistemi di scarico autonomo (non automatico) sistemi di scarico continuo chiuso, come si può meglio constatare dalla versione inglese o francese della suddetta BAT 11: inglese: “… use by operators of self-discharge vessels or enclosed continuous unloaders”; francese: “…utiliserdes navires à déchargement autonome ou desappareils de déchargement à fonctionnement continu fermés. Tale dizione (in inglese) è assolutamente identica a quella riportata nell’ultima versione del Best Available Techniques (BAT) Reference Documentfor Iron and Steel Production, nella parte denominata “Techniques for materials delivery,storage and reclamation”.(pag.66).
Sono cioè le navi a dover essere dotate di sistema autonomo di scarico, oppure il molo di sistema chiuso e continuo.
Legambiente chiede di prescrivere all’ILVA la corretta applicazione della BAT 11, così come nella redazione inglese e francese, al fine di minimizzare lo spolverio durante lo scarico delle materie prime dalle navi.
Legambiente segnala inoltre che l’installazione di un sistema di abbattimento delle emissioni ai camini delle cokerie, già prevista dall’AIA del 2011 e bocciata dal TAR di Lecce – cui l’Ilva aveva fatto ricorso – non è stata inserita nella revisione dell’AIA.
Legambiente chiede di procedere a un riesame dell’AIA nella parte relativa alle cokerie, prescrivendo l’installazione di sistemi di abbattimento delle emissioni convogliate, anche tenendo conto dell’elevamento dei limiti di rispetto imposti dal riesame dell’AIA, onde evitare altri sforamenti nelle emissioni.
Entro il 31 gennaio 2013 dovevano essere chiusi i provvedimenti autorizzativi per quelle parti di impianto o attività dello stabilimento Ilva di Taranto che ancora ne sono prive e cioè le discariche, la gestione dei rifiuti e le acque. Allo stato siamo a conoscenza che i lavori del gruppo istruttore, per quello che riguarda le acque, sono fermi, mentre per le parti restanti i lavori procedono con estrema lentezza ed ancora non si conosce la bozza di parere istruttorio conclusivo.
Legambiente ritiene gravissimo il ritardo accumulato e chiede di assicurare nei tempi più rapidi la conclusione dei procedimenti consentendo peraltro al “pubblico interessato” di intervenire nel merito con proprie osservazioni
Valutazione del danno sanitario
Non ci risulta che – nei mesi trascorsi a partire dall’approvazione dell’AIA ad Ottobre 2012 – sia stato dato corso a quanto in essa previsto in materia di danno sanitario. Nella relazione del prof. Giorgio Assennato, Direttore Generale di ARPA PUGLIA, recentemente pubblicata sul sito di ARPA PUGLIA, relativa all’AIA e alla valutazione del danno sanitario, si evince chiaramente quanto da noi sostenuto da anni e cioè che la produzione autorizzata, otto milioni di tonnellate, non è compatibile con la salute dei cittadini di Taranto e segnatamente di quelli dei quartieri più vicini all’Ilva.
Legambiente chiede pertanto di procedere nei tempi più rapidi al riesame dell’AIA al fine autorizzare l’azienda ad una produzione che sia compatibile con l’esigenza di tutela della salute dei cittadini di Taranto e comunque non superiore ai sette milioni di tonnellate annue.
Sappiamo, inoltre, che sta per essere portata all’esame del Parlamento un provvedimento in tema di valutazione del danno sanitario che prevede una metodologia di valutazione estremamente meno protettiva di quella adottata dalla Regione Puglia nei confronti della popolazione esposta ad inquinamento ambientale nella Legge Regionale n. 21/2012
Legambiente chiede che siano adottate, a livello nazionale, le metodologie previste dalla Legge regionale n. 21/2012 della Regione Puglia.
Il quadro fin qui esposto è di tale gravità che ci fa ritenere che nulla sia cambiato rispetto alla gestione dei rapporti con l’Ilva: questo è assolutamente intollerabile per la città ed è uno schiaffo a tutti coloro che, come noi, hanno creduto e continuano caparbiamente a credere nella possibilità di coesistenza tra l’Ilva e la città in un quadro di regole precise, stringenti e, soprattutto, rispettate e fatte rispettare.