Farmaci antidepressivi: aumenta il consumo in Europa
In Italia risultano al primo posto tra i farmaci a prescrizione per il sistema nervoso centrale
Una ricerca della London School of Economics and Political Science pubblicata sulla rivista online PLoS (plosone.org) ha fatto emergere dati inquietanti circa l’aumento del consumo di farmaci antidepressivi come il Prozac che risulta salito in tutta Europa dell’incredibile percentuale del 20% ogni anno tra il 1995 e il 2009. Lo studio si basa sui dati raccolti di 29 paesi europei in un periodo assai lungo di oltre 30 anni. Secondo l’indagine sono due paesi scandinavi quali la Svezia (oltre il 1000% tra il 1980 e il 2009), e la Norvegia (566%) ed a seguire la Slovacchia con la stessa percentuale del secondo paese a registrare i maggiori aumenti nel consumo di farmaci.
Tra gli europei sarebbero però gli islandesi i maggiori consumatori di antidepressivi, quasi il 9% della popolazione dell’isola dell’estremo nord atlantico ha ingerire almeno una dose giornaliera.
L’Italia non risulta essere da meno: gli antidepressivi risultano al primo posto tra i farmaci a prescrizione per il sistema nervoso centrale (SNC), i quali ultimi sono al quarto posto per consumi e al quinto per spesa pubblica sul totale farmaci prescritti.
Infatti, i farmaci per il sistema nervoso centrale, al quarto posto per prescrizione, vantano 78,7 dosi giornaliere ogni 1.000 abitanti e si posizionano al quinto posto per spesa pubblica, con 24 euro pro capite; tale categoria rappresenta il 6,9% del consumo totale di farmaci e il 10,1% della spesa farmaceutica. Mentre le crescite più lente, ma comunque crescite, si sono potute osservare in paesi come Olanda, Svizzera, Bulgaria, Francia e Lussemburgo. Tra i paesi “occidentali” spicca il Regno Unito, che ha registrato un aumento di cinque volte (495%) nell’uso di antidepressivi dal 1991, ma anche Germania (555%), Austria (521%).
Ci sono poi casi come Finlandia, Repubblica Ceca e Danimarca, che pur mostrando nella lista pubblicata dati molto alti (rispettivamente 1761%, 1229% e 766%) non risultano nominati nel sito LSE tra i paesi con i più grandi incrementi di consumo. I tassi più bassi di crescita annua di appena il 3% sono stati visti in Olanda e in Svizzera, seguita da Bulgaria, Francia e Lussemburgo (tutti gli 5%), con il più alto tasso di crescita del 59% visto in Finlandia, seguita dalla Repubblica Ceca (41%), Slovacchia (40%) e Svezia (34%).
Vi è da precisare che a tali dati non corrisponderebbero risultati negativi nel trattamento delle patologie ed anzi, dimostrerebbero che ci sono prove evidenti che i farmaci in esame sarebbero decisivi nell’aiutare la cura della depressione, che con un uso appropriato aiuterebbero a ridurre il rischio di suicidio anche se non si può ancora dire di avere in tal senso prove inconfutabili. Resta il fatto che, mentre l’uso dei farmaci è cresciuto del 20%, il tasso di suicidi nel periodo indicato si è intanto ridotto dello 0,8% annuo (in calo ben del 14% nel Regno Unito).
Ma altri fattori sono comunque da prendere in considerazione, dice lo studio, come il PIL di un Paese, i costumi culturali e l’accesso ai servizi psicologici. Il rapporto degli studiosi della LSE non rileverebbe comunque relazioni importanti tra i suicidi e altri fattori come il consumo di alcol, il divorzio, o il tasso di disoccupazione. E pur essendosi ridotto un po’ in tutta Europa, il tasso di suicidi rimane ancora un grave problema di salute pubblica nell’UE, con una scia di 60.000 morti all’anno.
L’alone negativo che da sempre caratterizza chi utilizza antidepressivi, sottolinea lo studio, è progressivamente diminuito con una migliore consapevolezza dei problemi di salute mentale nel corso degli ultimi 30 anni, con più servizi di consulenza e farmaci più sicuri, oltre che più accessibili.
In ogni caso, per Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, è necessario che da una maggiore consapevolezza non si passi agli abusi e agli eccessi nel consumo di questo tipo di medicinali come è stato registrato da qualche decennio a questa parte in alcuni Paesi come gli USA e negli ultimi anni, in minor incidenza ma sempre in maniera significativa anche nei centri metropolitani europei e tra questi nei più importanti del Belpaese.