“Falcone e Borsellino, santi laici nell’Italia senza legalità”

“Falcone e Borsellino, santi laici nell’Italia senza legalità”

Pubblichiamo l’intervento di Sabina Guzzanti alla commemorazione di Paolo Borsellino il 19 luglio a Via D’Amelio a Palermo

 È da tre anni ormai che lavoro a un film sulla trattativa e ancora non ho finito, perciò le figure di Falcone e Borsellino sono particolarmente presenti nei miei pensieri.

Deve essere per questo che quando mi hanno chiesto di intervenire per la commemorazione del 19 luglio, via d’Amelio me la sono sognata.

Nel sogno la strada era pulitissima e senza una macchina parcheggiata. Per terra c’era un pavimento di piastrelle di cotto perfettamente pulite. Mi giravo verso il condominio dove abitava la madre di Borsellino aspettandomi di trovare una costruzione stile Ciancimino e invece c’era un palazzo monumentale, di marmo bianco anni trenta, piccole finestre quadrate con delle bellissime conchiglie scolpite fra una finestra e l’altra. Così bello che sembrava ci si potesse parlare. Mi giro verso il lato opposto del palazzo cercando la lapide che ho visto in qualche speciale della Rai e invece della lapide vedevo Salvatore Borsellino che lavorava per sistemare un’aiuola.

 Da sveglia mi sono chiesta il significato del sogno e la spiegazione più convincente è che quel palazzo fosse una rappresentazione di Borsellino. Una rappresentazione sacra in qualche modo.

Questo hanno di speciale le figure di Falcone e Borsellino: che sono dei santi laici. Col passare degli anni il loro mito cresce, non si spegne. E questo certo grazie ai vivi, determinati a trasmettere il loro esempio, ma anche grazie a qualcos’altro che sono le loro qualità insieme alla decisione di vivere da giusti.

È un modo di essere il loro, un pensiero, che resta vivo non perché si conserva imbalsamato dalla retorica ma perché deve agire ancora. Può e deve agire. C’è bisogno di quel pensiero perché la nostra comunità cresca e maturi. Per uscire da questa eterna adolescenza fatta di fantasie di riscossa o finte contrapposizioni e di autocompiacimento. Di moti di indignazione che si accendono, si spengono e cambiano continuamente oggetto senza tradursi in una risoluzione.

E qual è questo pensiero che è ancora vivo perché è ancora da mettere in pratica diffusamente? È il pensiero laico appunto. Illuminista direi, a cui ci rimandano Falcone e Borsellino. Che parte dalla fiducia nell’esperienza e dal confronto intelligente e onesto con la realtà.

In questo hanno rappresentato una sensibile discontinuità col passato.

Si sono posti di fronte alla mafia come un fenomeno che andava innanzi tutto compreso. E l’hanno compreso.

E poi si sono domandati come destrutturare questo fenomeno e hanno dato delle risposte creative, rivoluzionando le tecniche di investigazione, creando il pool antimafia, con la formula del maxi processo, le nuove norme che colpivano i punti di forza dell’associazione mafiosa.

Pure la scelta di Falcone di andare al ministero che fu una scelta senza precedenti. Non più combattere una guerra solitaria di frontiera, ma operare domandandosi: date queste condizioni qual è la strategia più efficace?

Senza far finta che lo stato sia una forma granitica, che sia omogeneo nei suoi intenti di combattere la mafia ad esempio, ma adeguandosi alla realtà e trovando un modo o più modi, per depotenziare la mafia

La legge sui collaboratori di giustizia e l’uso che ne è stato fatto è stata una svolta formidabile anche questa di matrice laico-illuminista. Aprire un dialogo con chi era capace di sostenere un dialogo come Buscetta. Un dialogo basato su principi egualitari parlando alla pari con rispetto verso l’interlocutore, ragione per cui questo dialogo è stato possibile e fruttuoso. Questo atteggiamento portò a risultati eccezionali. Il contrario della contrapposizione retorica: tu hai le mani sporche di sangue, vergognati!

Si pongono come uomini con i pentiti Falcone e Borsellino e come tali riescono a dialogare e ad ottenere collaborazione. Aiuto. Ottengono aiuto perché i principi di cui sono portatori sono condivisi anche dai collaboratori di giustizia che si fanno contagiare e decidono anche loro a costo della vita di lottare per la giustizia. Un principio anche questo laico, la vita è in divenire, si cambia e il cambiamento dobbiamo riconoscerlo, augurarcelo e favorirlo.

Su youtube c’è una trasmissione di Augias in cui Falcone presentava un libro e veniva criticato da tutti gli ospiti perché aveva scritto che ci sono anche mafiosi simpatici. A turno lo attaccavano: Come può dire che siano simpatici? E lui rispondeva, sono esseri umani come tutti gli altri, ce ne sono di simpatici e di antipatici. Usano molto spesso la parola “umano” per parlare di mafia. Questo è fondamentale. Non stiamo parlando del male, non siamo in un fantasy, non ci sono anelli magici, o figure mitologiche. Sono esseri umani che si muovono con una loro razionalità.

Falcone e Borsellino si occupano di mafia non come chi contrappone due universi. Non ci sono basi dogmatiche. È il contrario del discorso eroico. Non c’è mai compiacimento, non c’è mai stata enfasi nei loro discorsi, non facevano leva sui sensi di colpa. Facevano discorsi lucidi e asciutti. Parlavano ogni volta che lo ritenevano opportuno ma non prendevano più spazio di quello necessario.

Erano uomini molto preparati che si dedicavano al loro lavoro con passione sincera. Erano persone serie. Persone che facevano sul serio. E ancora oggi ci fanno male gli insulti e la derisione che gli ipocriti hanno vomitato loro addosso. Gli insulti di tutti quelli che non facevano sul serio affatto e per paura d’essere smascherati come impostori si sono coalizzati in massa contro di loro. Gli impostori che sono sempre ugualmente numerosi perché appunto quel pensiero, quel modo di porsi di Falcone e Borsellino si deve ancora affermare.

Per questo sono così vivi nelle nostre menti e tutti gli anni gli rendiamo omaggio ed è una gioia per tutti cimentarsi in discorsi di lode su di loro e su chi li ama. Guardiamo le loro fotografie e quando sorridono sorridiamo anche noi. Appaiono nei nostri sogni, ispirano i giovani, fanno venire voglia di sapere tutto di loro. E sapere perché sono morti. Di che sono morti. Chi li ha uccisi? I collusi, i benpensanti, la mafia nello stato, la mafia che è in noi, sono morti per quello che quello che avevano capito? E cosa avevano capito che noi non abbiamo capito se siamo vivi? Sono morti per quello che avevano fatto o per quello che stavano per fare e cosa stavano per fare?

 Oggi mi sembra abbastanza evidente che osservare laicamente la realtà porta innanzi tutto a riconoscere, come ci spiegano tanti illustri analisti del fenomeno, che il pil mafioso tiene in piedi l’economia italiana. Le mafie sono la colonna vertebrale della nostra economia, garantiscono la liquidità e spesso fungono oggettivamente da ammortizzatori sociali.

Prima la mafia forniva protezione, appalti, voti. Oggi l’economia mafiosa è stata progressivamente legalizzata e a volte rispetto all’imprenditoria legale riesce anche a essere più lungimirante: sono i primi che si sono buttati nella green economy, sono stati i primi a sbarcare in Cina.

Dall’altra parte c’è un capitalismo assistito che quando guadagna non rinveste mai. Oligarchico. Che prende a poco i pezzi dello stato e se li rivende cari. Da Agnelli a Berlusconi ai pesci più piccoli come Ligresti e Verdini.

Finché Marchionne si becca miliardi pubblici e poi chiude le fabbriche e manda all’aria anche tutto l’indotto e lo fa nella legalità, è ancora più difficile per il piccolo imprenditore con dieci dipendenti respingere l’aggressione dei capitali mafiosi.

Allo stato attuale il sistema mafioso è un sistema che non può che apparire ragionevole ancora più che in passato. Un sistema obbiettivamente conveniente. Questo va riconosciuto se si vuole cambiare.

La mafia è il capitalismo allo stato di natura. È il capitalismo come vorrebbe essere: violento e senza regole. Finché l’economia legale utilizzerà meccanismi di espansione e di arricchimento fondati sulla prepotenza, la mafia continuerà a prosperare perché è molto simile, spesso identica a questo capitalismo nella sostanza e spessissimo anche nelle modalità di azione.

L’economia mafiosa oggi è a metà tra legalità e illegalità esattamente come l’economia per bene, pensiamo a Finmeccanica, Monte dei Paschi, Parmalat, per non parlare della rete di holding messe in piedi dall’ex presidente del Consiglio, questa gente rispettabilissima crea l’ambiente perfetto per la mafia. Non si possono destrutturare le mafie oggi senza affrontare le degenerazioni dell’economia legale.

Un compito molto complesso, uno scenario che fa spavento e noi ancora siamo qui, come diceva il poeta, che riusciamo solo a dire solo quello che non vogliamo e che non siamo.

Io seguo con attenzione queste vicende che riguardano le mafie, lo stato, le massonerie, i servizi segreti, i carabinieri e i presidenti della repubblica da relativamente poco tempo. Il primo libro che ho letto è stato La trattativa di Torrealta più o meno tre anni fa. Leggevo e ogni quattro pagine mi alzavo e passeggiavo avanti e indietro col cuore in gola. Ci ho messo tantissimo per finirlo. Non ci potevo credere a quello che leggevo e che capivo. Ero sconvolta perché i fatti raccontati erano clamorosi e anche perché parlava di cose avvenute quando ero adulta la cui gravità mi era del tutto sfuggita. La stessa cosa deve essere successa alla maggioranza degli italiani ora che Mori è stato assolto per la seconda volta con questa formula che non nega che sia successo qualcosa che non doveva succedere, nega che l’accusa sia stata in grado di dimostrare la colpevolezza degli imputati.

Fra qualche anno forse sembrerà a tutti una sentenza assurda come ora ci sembra quella sulla mancata perquisizione del covo di Riina, ma per ora è una sconfitta dei soliti magistrati che mettono bocca dove non dovrebbero senza accettare che ci siano decisioni prese più in alto di tutti noi, che sfuggono al controllo democratico.

E quindi? Che cosa dobbiamo concludere? Che dobbiamo mirare più in alto. In questi anni la legalità è diventata una bandiera, ed è comprensibile dato il degrado della classe dirigente. Ma la legalità è un principio troppo piccino per indicarci una strategia.

Le leggi sono alla fin fine il frutto di secoli di compromessi raramente a favore dei più deboli. È un ingorgo di cavilli la legalità ed è così raro che sia fatta giustizia nei tribunali che quando succede possiamo parlare di coincidenze più che di successo. La giustizia è un’altra cosa. È una cosa che tutti gli esseri umani hanno nel cuore e possono riconoscere. La giustizia deve essere la nostra bandiera. È ovvio ad esempio pretendere che i rappresentanti delle istituzioni rispettino le sentenze, che non insultino i giudici. Perché rappresentano le istituzioni.

Questo non significa affatto che un comune cittadino non possa criticarle. È ovvio pretendere che chi rappresenta le istituzioni non derubi i cittadini che dovrebbe rappresentare, ma è troppo poco chiedere a un politico che sia “pulito”. Uno che non commette reati può essere anche un cretino o uno che non li ha commessi perché non ne ha avuto l’occasione. Viceversa un No Tav per esempio condannato per resistenza a pubblico ufficiale o peggio perché non dovrebbe potere essere eletto?

I tribunali sono importanti certo all’interno di un sistema democratico ma prima di tutto ci deve essere il sistema democratico. E solo una cultura laica appunto può produrre questo sistema.

Non servono a nulla le trovate di comunicazione, gli ascolti alti, la visibilità, non cambiano nulla producono solo fenomeni speculari di segno opposto egualmente di successo.

Quello che manca è l’impegno serio, l’onestà di chiamare un impostore col suo nome.

La perseveranza, il coraggio di pagare i prezzi che ci sono da pagare se si fa sul serio. Lasciamo lo spettacolo al suo posto dove ha una sua funzione importante. E se la smettessimo di pensare che la nostra missione sia convincere o manipolare masse di imbecilli? Se prendessimo atto che siamo tutti degli imbecilli se ancora non siamo venuti a capo di nulla, di nessuna strage, di nessun complotto, di nessuna rapina ai nostri danni. Certo è una provocazione, sono convinta che le battaglie di tanti hanno fatto per lo meno da argine. Hanno rallentato per lo meno il degrado.

Ma per la mia esperienza di fronte all’ennesima prepotenza, mi è utile pensare che sono un’idiota, per ripartire di nuovo da zero e riformulare tutte le domande da capo. Se siamo stati del tutto o in parte superficiali, inconcludenti, narcisisti o rassegnati, conformisti e alla fin fine ancora paurosi cerchiamo di crescere, smettiamo di cercare padri, leader, fenomeni mediatici, smettiamo di cercare il successo che sta alla vittoria come la legalità sta alla giustizia,e domandiamoci di nuovo seriamente in che mondo vorremmo vivere e cosa possiamo fare singolarmente e collettivamente per rendere concreto quel mondo. Laicamente, un passo alla volta, correggendo il tiro lungo il percorso, riprendiamoci le nostre vite e lasciamo morire Falcone e Borsellino come ormai si meritano.

 Sabina Guzzanti

FONTE

micromega-online

 

viv@voce

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