“Così ho vinto la voglia di scommettere”
La storia di Alessandro, 45 anni: da cinque ha smesso di giocare e si è ricostruito una vita. “Non mi godevo nulla, ero sempre con la testa alle puntate, a mentire tra assegni a vuoto, prestiti, furti”. La scossa gliela diede la moglie, lasciandolo
“Non scommettere? Impossibile, mi saliva l’ansia, l’angoscia, sentivo i crampi alle gambe, il sudore che mi colava dalla fronte. Non resistevo alla tentazione eppure ero sempre convinto di essere io a controllare il gioco e non lui ad avermi reso schiavo. Ad avermi trasformato in un ladro, in uno che ha dimenticato moglie e figli e il rispetto di sé. È come se per vent’anni non avessi vissuto, emozioni col freno a mano e la testa altrove tra cavalli, carte, slot, partite di calcio. Qualsiasi cosa dove si potesse puntare”.
Alessandro ha 45 anni e da cinque ha smesso di giocare e si è rifatto una vita dopo aver bruciato il patrimonio di famiglia. Anzi, per la prima volta ha vissuto, come dice lui ricordando gli anni in cui i figli crescevano e lui non se ne accorgeva perché troppo preso dalle scommesse, dai soldi che non bastavano mai, dai prestiti mai resi e dai furti in casa, dalle giornate fatte di silenzi, le bugie in famiglia e in ufficio. Una montagna di menzogne per continuare a puntare. “Perché al giocatore non interessa tanto vincere quanto poter scommettere e ritrovare la voglia di misurarsi con se stesso, l’adrenalina che sale. Una vera droga, peggio delle sostanze perché ha una compensazione mentale”.
Lui, un tranquillo lavoro nell’azienda di famiglia, comincia con le carte, scala 40 con gli amici, poi passa ai cavalli. E il giorno in cui con 18mila lire di schedina Totip vince 37 milioni cambia tutto. Una botta di adrenalina fortissima, la voglia di ripetere, di ritrovare la sensazione, il brivido e si avvita in un girone infernale fatto di assegni, prestiti, scommesse sempre più forti per recuperare le perdite. Passano i mesi, si fidanza, si sposa, “ma il giocatore compulsivo non è più l’uomo di prima, non è più se stesso. Io non mi sono goduto nulla, ero sempre con la testa alle scommesse, a mentire tra assegni a vuoto, prestiti, furti”. Fino a quando la moglie non ce la fa più a fare il controllore, a scrutare le tasche nelle giacche del marito in cerca di ricevute, soldi, a guardarlo con preoccupazione ogni volta che esce temendo vada alla sala giochi. E lo lascia.
“A quel punto avrei voluto essere un altro, un barbone era più libero di me. E ho deciso di provare a curarmi”. Va al Serd della sua città, una volta alla settimana con la psicologa e poi due riunioni settimanali con i Giocatori anoninimi. “Sono arrivato che mi sentivo perso, ero in mezzo a sconosciuti, all’inizio ascoltavo gli altri che parlavano, che raccontavano storie cosi simili alla mia, fatte di presunzione e dubbi, insicurezze e ricadute. Mi sono sentito subito a casa”. Tra Asl e il gruppo passano i mesi e ogni giorno senza puntate è una vittoria, una conquista. “Mi hanno spiegato che non dovevo avere grandi mete, ma che l’obiettivo era arrivare a sera dicendo: oggi non ho giocato”. É così da cinque anni. “Ma anche quando hai smesso da tempo devi continuare a lavorare su te stesso, devi ritrovare la libertà di scelta, non essere schiavo del portafortuna, dei riti. Mi sono riappropriato della vita, della tranquillità, della piacevolezza di un caffè e di parlare con la gente”.
Oggi Alessandro si sente molto lontano dalla prossima giocata ma continua ad andare ai gruppi perché “fa bene a me e agli altri sapere che c’è qualcuno che non scommette da tanto. Regala speranza a chi ha ancora molto cammino da fare e una montagna di domande a cui rispondere per capire come ci è finito a giocarsi la vita per trovare la strada per uscirne”.
Lui ha trovato la sua risposta: “L’importante è accettare l’idea che il gioco sia più forte di noi e smettere di pensare che lo si possa controllare. Imparando finalmente ad accogliere l’aiuto degli altri”. La moglie l’ha riconquistata, ha trovato un nuovo lavoro e ai parenti dei giocatori dà un solo consiglio: “Trovate la forza di dire di no, non prestategli soldi, siate duri, metteli spalle al muro. Per amore”.
Caterina Pasolini
FONTE
repubblica.it