SAVA. Amarcord. “QUANDO COSTRUIRE UNA CASA NON ERA UNA PASSEGGIATA”

SAVA. Amarcord. “QUANDO COSTRUIRE UNA CASA NON ERA UNA PASSEGGIATA”

Inverno 2009. Intervista a Francesco Rosario Giuseppe Saracino, alias “Mestru Peppu Nzuratieddu” maestro muratore savese che racconta la storia della sua personale arte del costruire case

E’ un sabato sciroccoso e Francesco Rosario Giuseppe Saracino alias “Mestru Peppu Nzuratieddu”, rinomato maestro muratore di Sava mi ha accolto per una intervista a casa sua in Corso Francia. Mi dà il benvenuto e con un’espressione cordiale sul viso mi fa entrare in casa. Il lungo ed ampio corridoio prima e poi il salone molto grande ma allo stesso tempo caldo ed accogliente, mi fanno capire che sono entrata in una casa di altri tempi, ed ho l’impressione, poi confermata, che è opera sua.

Cominciamo l’intervista e “Mestru Peppu” mi racconta di quando era un semplice manovale; mi parla degli anni ’50 e di come si lavorava e si viveva allora; di aspetti della vita di tutti i giorni che allora erano normali ma che oggi suonano come a dir poco paradossali; di quando si pagava “a cannulo” per poter vivere in una casa costruita su un terreno non di proprietà e di quando i blocchi di tufo si preparavano a mano con la “mannara” e i ragazzi apprendisti muratori li trasportavano sulle spalle.

Il lavoro del muratore nell’epoca in cui “Mestru Peppu” comincia è molto faticoso: lui ha non solo l’energia necessaria ma anche passione e voglia di imparare a fare tutto da solo, perchè, come dice lui stesso, non è “figlio d’arte”. 

Comincia da zero prima col maestro Martino Semeraro e poi con Cosimo Soloperto facendo il manovale: apprende le basi, solide, del mestiere di costruire case; poi dal terzo maestro, lo scultore Marcello Franco impara l’arte del creare archi e volte. Ha insegnato a tantissimi ragazzi, alcuni diventati costruttori a loro volta. Infine nel corso dell’intervista racconta, con dovizia di particolari e con un pò di meritato orgoglio, come chi è riuscito a fare qualcosa di bello nella vita, di sè, di Sava e dell’arte del costruire alla vecchia maniera che lui ha perseguito in qualità di maestro.

Cosa ricorda di quando da ragazzo ha cominciato a fare l’apprendista?

Il mio primo maestro è stato Martino Semeraro e con lui ho cominciato a sedici anni facendo il manovale: toglievo la terra, facevo le fondamenta e trasportavo i blocchi di tufo caricandoli sulle spalle. Poi verso i diciassette anni volevo imparare di più e lo feci capire al maestro, il quale mi disse “Còmprati una mannara, una pialla e uno squadro” e nel tempo libero squadravo e pulivo i tufi, perchè prima i blocchi di tufo si preparavo con la “mannàra”, a mano, non come oggi che i tufi sono fatti coi macchinari; e così imparai. All’inizio il maestro mi faceva preparare i tufi per le fondamenta, i più grezzi, più facili perchè non dovevano essere perfetti, l’importante era che fossero tagliati della stessa misura. Poi ho cominciato a preparare i tufi per i muri doppi, i cosiddetti “cureci”.

Com’era organizzato all’epoca il lavoro nelle cave?

Prima si chiedeva al proprietario di un terreno di poter lavorare in un pezzetto della sua terra e sfruttare la pietra. La terra restava del proprietario che voleva in cambio della concessione il pagamento della “decuma” cioè: qualsiasi fosse la quantità di blocchi di tufo prodotti al giorno, ogni lavoratore doveva lasciarne una parte al proprietario.

Ogni giorno il proprietario prendeva quaranta, cinquanta o anche più blocchi di tufo a seconda di quanti operai lavoravano nella sua cava e con quei tufi si costruiva la casa. Poi finito il lavoro in quella cava, non appena aprivano un’altra cava in qualche altro terreno nei dintorni, ci si spostava: con la bicicletta e il “pico” (attrezzo manuale da lavoro) e si andava a lavorare. Gli operatori-operai che scavavano venivano chiamati “cavamonti”.

Com’è diventato poi maestro muratore?

Quando ho cominciato a preparare tufi sono passato a lavorare con Cosimo Soloperto: squadravo tufi ma facevo sempre anche il manovale. Cominciavamo la mattina all’alba e ci fermavamo per la pausa pranzo a mezzogiorno, poi  riprendevamo, e si continuava fino a quando c’era il sole, senza un’orario fisso. A mezzogiorno andavo a casa a pranzare e dopo un pò ero già sul cantiere, prima degli altri, per cominciare a sistemare i primi tufi da solo.

Quando tornava il maestro vedeva che avevo svolto da solo un buon lavoro e a mano a mano mi affidava compiti sempre più importanti fino a quando sono diventato quasi caposquadra nel ’49 e ho deciso di lavorare da solo. Le persone mi chiamavano per lavoretti tipo le “calitte”, cioè: prima non esisteva il bagno nelle case ma la calitta staccata dalla casa, io costruivo questa piccola stanza di un metro per un metro. Poi pian piano mi hanno chiamato per lavori sempre più impegnativi finchè ho accumulato più esperienza e ho avuto la mia squadra di operai.

Nel ’61 comprai una squadra-tufi perchè prima i blocchi di tufo non erano tagliati in modo preciso come oggi,  erano di dimensioni diverse e dovevano essere resi della stessa misura con la squadra-tufi. La pagai 450 mila lire “a dieci mila lire al mese” e così squadravo i tufi anche per altri muratori su commissione.

Ha insegnato a molti giovani il mestiere del muratore?

Sì, davvero a tantissimi. Oggi hanno circa cinquanta anni ed anche di più; quelli più bravi sono diventati a loro volta maestri. Chi aveva buona volontà è cresciuto nel tempo ed è passato a lavorare da solo.

Sava è divisa in diverse parti per quanto riguarda il tipo di sottosuolo: quali sono le tecniche utilizzate per costruire in base al sottosuolo?

In realtà una piccola parte di sottosuolo è argilloso, ovvero la zona della strada per Francavilla e vicino al cimitero; tutto il resto è di pietra viva e di tufo. Tutti compravano dove c’è il tufo perchè per costruire una casa, il proprietario del terreno faceva scavare per ricavare la cantina e con lo stesso tufo estratto costruiva l’intera casa.

Come faceva invece chi non aveva le possibilità economiche per comprare il terreno e per costruire la casa?

Per la casa si poteva pagare a poco a poco una quota mensile. se qualcuno non aveva tutti i soldi, pagava poco alla volta, mille o duemila lire al mese, perchè in tutto le case costavano circa ventimila lire.

Si sente dire spesso che le case di una volta erano migliori; in che senso secondo lei?

Erano un’altra cosa, a partire dalla struttura di ferro che era molto più sicura; oggi si utilizza la pomice per le mura; le stanze, mentre prima erano ampie, oggi invece sono piccole. Poi per quanto riguarda il lavoro del muratore, prima i ragazzi lavoravano duramente, volevano imparare e diventare esperti, oggi invece non vogliono impegnarsi molto come un tempo.

I suoi figli hanno imparato da lei il mestiere o si sono dedicati ad altro?

Ho cinque figli: quattro maschi e una femmina;  hanno imparato tutti da me e sono bravissimi. In particolare Teodosio, il maggiore; anche Sergio, Tonino e Marcello conoscono perfettamente “il mestiere”.

Gaia Monti Guarnieri

 

viv@voce

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