Taranto, gli operai ILVA abbandonati anche dai colleghi

Taranto, gli operai ILVA abbandonati anche dai colleghi

La scelta dei Riva di bloccare le fabbriche al nord isola ancora di più i lavoratori pugliesi che manifestano

Anna e Pasquale arrivano a piedi dalla Chiesa di San Cataldo dove si sono appena sposati. Lei, abito bianco e velo, con una mano stringe il bouquet di rose gialle, con l’altra tiene Pasquale sotto braccio. Sono le 19, a piazza Castello, dove c’è il Comune. Sulla sinistra, davanti alle colonne, resti del Tempio Dorico, il più antico della Magna Grecia, il presidio permanente promosso dai comitati, le associazioni e i movimenti per Taranto. Simbolo della resistenza contro la negazione del diritto al lavoro e alla salute.

Due tende, una per confrontarsi e una per dormire a turni di tre, guardate a vista dalla celere. “Questa con voi sarà la più bella foto del nostro album di nozze”, confessa Anna e le scappa una lacrimuccia. IL SINDACO Ippazio Stefàno entra al Comune dalla porta posteriore. I politici (in assenza di quelli che odorano di pulito, per dirla con le parole che Enzo Biagi usava per definire Enrico Berlinguer) che nulla hanno fatto e fanno per imporre alla famiglia Riva il rispetto delle regole all’Ilva, a Taranto non ci mettono piede. Per evitare “il linciaggio”, dicono.

Il sequestro di 8,1 miliardi – tesoro dei Riva sottratto indebitamente alle attività di ambientalizzazione e messa in sicurezza degli impianti – ordinato dalla Gip Patrizia Todisco, esteso a 13 società satellite del nord Italia per la trasformazione dell’acciaio e logistica, eleva il dramma di una città a dramma nazionale. DOPO LA RISPOSTA del gruppo Riva di interrompere la produzione e lasciare a casa 1400 lavoratori, il rischio è una lotta fra poveri.

Dagli operai in agitazione della Riva Acciaio di Verona arrivano le prime accuse: “Tutto nasce per lo scandalo Ilva … perché una vicenda giudiziaria partita da Taranto deve scassare aziende sane a 1000 km di distanza?”. Parole raccolte dal sindaco leghista di Verona Flavio Tosi: “Giusto tutelare la salute, combattere l’inquinamento, ma non si è mai visto che la decisione di un magistrato arrivi a chiudere un’azienda che dà lavoro a centinaia di famiglie”.

Così i lavoratori di Taranto da vittime diventano responsabili dell’effetto domino dei danni prodotti dall’Ilva. Il Procuratore capo di Taranto Franco Sebastio con una nota (ripresa su Twitter dal ministro dello Sviluppo Flavio Zanonato) rimanda al mittente la decisione di Riva Acciaio di cessare l’attività come conseguenza del provvedimento di sequestro: “I beni sequestrati verranno immediatamente affidati all’amministratore giudiziario per evitare pregiudizi per la loro operatività”. Come già accade per gli impianti dell’Ilva sotto sequestro che continuano a produrre.

Ridono i bambini mentre si contendono la palla davanti alla tenda in piazza Castello. Sono figli di operai, costretti a difendere loro malgrado i diritti negati ai genitori. Sono saliti a sei i bambini, tra i 2 e gli 8 anni, ricoverati nel giro di un mese al reparto pediatrico dell’Ospedale Santa Annunziata per convulsioni. Trasferiti al Gemelli e al Bambin Gesù di Roma. Diagnosi: “Glioma”, tumore al cervello. Intanto la lettera consegnata al sindaco dai comitati per Taranto resta senza risposta. Al primo punto il recepimento della campagna Rischio Sanitario per garantire a tutti i cittadini l’esenzione del ticket, il blocco delle autorizzazioni all’uso della discarica Mater Gratiae, l’istituzione a Taranto di un tavolo permanente su lavoro e sviluppo, la chiusura delle fonti inquinanti, la bonifica del territorio con reimpiego della forza lavoro e la revoca dell’Aia all’Ilva.

Le centraline per monitorare il livello di inquinamento, installate nella cokeria, sono andate in tilt. Lo ha confermato, dopo la denuncia di PeaceLink, l’Agenzia Regionale per l’ambiente. Ma il problema resta, spiega Peacelink, per 6 centraline per il monitoraggio di varie sostanze cancerogene all’interno dell’Ilva e al quartiere Tamburi, in tilt dal 16 agosto. E si tratta proprio del monitoraggio dei fumi di quegli impianti sequestrati la cui facoltà d’uso è vincolata ad una serie di prescrizioni. Davanti al Comune arriva Marco Zanframundo, licenziato dall’Ilva dopo 12 anni di lavoro senza mai un richiamo. Ma quando il 30 ottobre dell’anno scorso, il suo collega e amico Claudio Marsella, 29 anni è morto schiacciato da un locomotore nel reparto Movimento ferroviario dello stabilimento, Marco è divenuto una sentinella della sicurezza.

“Il capo reparto, rinviato a giudizio per la morte di Claudio, è stato promosso a capo area, è lui che faceva provvedimenti a me sulla sicurezza”, racconta. “Hanno punito una persona per raddrizzarne altre mille, un messaggio chiaro per i miei colleghi, anzi ormai ex colleghi”. Su facebook condivide la frase di Jim Morrison “Se per vivere devi strisciare, alzati e muori”. Ha il suo attimo di debolezza e gli occhi si fanno lucidi.

Sandra Amurri

FONTE
ilfattoquotidiano.it

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