Aprire un fake su un social network può comportare una condanna per sostituzione di persona

Aprire un fake su un social network può comportare una condanna per sostituzione di persona

Eventualmente con diffamazione aggravata e conseguenti risarcimenti del danno: ci può essere anche l’aggravante nel caso di stalking

Li chiamano “fake” (in italiano, “falsi”): tanto facili da realizzare, tanto pericolosi da utilizzare. I profili fasulli su Facebook stanno aumentando a dismisura. Le ultime stime pubblicate da Ansa dicono che un profilo su tre non è reale. Ormai la gente sta tornando all’anonimato, stufa di essere rintracciata, spiata, taggata, criticata, offesa. Ma il peggio è che, molto spesso, non ci si accontenta di darsi un’identità di fantasia e, al contrario, si aprono profili con il nome e il cognome di persone realmente esistenti.

A volte lo si fa per un semplice intento ludico (lo scherzo a un amico o a un professore), altre volte per poter vivere la notorietà di un personaggio famoso (nel caso, per esempio, di un attore o di un cantante), altre volte per scopi commerciali o, peggio, per danneggiare qualcuno. A prescindere, però, dalle finalità, la legge parla chiaro: creare falsi profili sui social network è un reato punito dal codice penale. Si tratta, in particolare, del reato di sostituzione di persona e la pena è quella della reclusione fino ad un anno. Non è tutto: il reato è procedibile d’ufficio, il che vuol dire che, se anche non è stata presentata la querela dalla parte lesa, la procura può ugualmente indagare e punire il colpevole. I rischi si aggravano, poi, se l’autore del fake utilizza frasi offensive che arrivano a ledere la reputazione del soggetto clonato.

In questo caso scatterà il reato di diffamazione aggravata. Se, in ultimo, la vittima del fake è un personaggio pubblico (dello spettacolo, politico, ecc.) e riesce a dimostrare di aver subìto un danno economico dalla falsificazione del proprio profilo, allora, alla causa penale si aggiunge anche quella civile del risarcimento del danno all’immagine. E, in questo caso, le conseguenze possono essere non meno gravi: infatti, le cifre della condanna possono anche arrivare ad importi considerevoli quando il personaggio è particolarmente in vista. Chi conta nell’anonimato per sfuggire alla punizione sbaglia di grosso.

Chi si iscrive a Facebook, anche se non rende pubblici i propri dati, lascia una traccia di sé già solo fornendo l’indirizzo mail, dal quale poi è facile risalire all’indirizzo IP e agli estremi del reo. La polizia postale ha poi diversi sistemi per mettersi sulle orme del colpevole. Se, invece, l’autore utilizza server collocati all’estero, in cui sono presenti accordi o prassi di cooperazione internazionale, l’identificazione può essere più difficile, ma non impossibile.

Non dimentichiamo che, di recente, sono state create delle specifiche aggravanti nel caso in cui il contatto falso arrivi a realizzare un vero e proprio stalking nei confronti della vittima.

Luca Lionetti

viv@voce

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