TARANTO. Parenti e amici all’assalto della Caserma dei carabineri
E’ necessario però, alla luce di questo episodio, chiedersi com’è possibile che delle persone abbiano, con naturalezza pensato, di poter impedire degli arresti e non abbiano invece immaginato che, anche se qualora vi fossero riusciti per assurdo, la sostanza non sarebbe cambiata
Giorni fa, cinquanta persone hanno assaltato la caserma dei carabinieri nel quartiere Paolo VI, per cercare di ostacolare il trasferimento in carcere di alcuni uomini, arrestati per furto di rame ed acciaio. Il gruppo di assalitori, di cui quindici ora individuati e denunciati per tentativo di procurata evasione, danneggiamento ed arbitrario accesso ad area militare interdetta, era costituito da uomini, donne e ragazzini.
Proprio gli uomini in manette avevano chiesto ai loro amici e parenti di assediare il presidio militare. Così alle urla di esortazione dei prigionieri, in cinquanta avevano distrutto cancelli e sradicato portoncini in ferro, tentando velleitariamente“ di liberare i detenuti”.
E’ necessario però, alla luce di questo episodio, chiedersi com’è possibile che delle persone abbiano, con naturalezza pensato, di poter impedire degli arresti e non abbiano invece immaginato che, anche se qualora vi fossero riusciti per assurdo, la sostanza non sarebbe cambiata. Gli arrestati sarebbero stati comunque condotti in carcere prima o poi, e certamente, non sarebbero divenuti dei latitanti per dei reati la cui pena detentiva è alquanto breve.
Desta perplessità anche l’immediatezza dell’assalto al richiamo degli arrestati, così d’impeto, in comitiva peraltro disomogenea, se pensiamo alla presenza di donne, ragazzini, uomini e non tutti parenti, ma anche amici. Qui non parliamo di persone accorse per un incidente d’auto, per un comizio o per la banda che suona la mattina di S.Lucia mentre le donne fanno le pettole per strada. Al suono di un fischio si è assaltata la caserma dei carabinieri.
E come mai queste persone, accecate dal richiamo di condivisione, non hanno considerato le conseguenze di una guerriglia ai danni di un presidio militare?
La risposta è una e si chiama degrado socio-economico, si chiama assenza di scuola dell’obbligo, incapacità delle famiglie e delle istituzioni a svolgere la minima didattica del senso civico. I gruppi sociali non hanno avuto la minima evoluzione generazionale, nel senso che i figli, oggi trentenni o ventenni, non hanno raggiunto alcun diploma ed in molti casi, neanche la terza media. La città di Taranto vive da sempre una gravissima condizione di disuguaglianze degli strati sociali sia se consideriamo le periferie e sia anche altre zone centrali della città.
Nei quartieri a rischio è facile incontrare genitori giovanissimi che accompagnano i loro figli a scuola, mentre essi stessi non hanno mai messo piede in un istituto. Il degrado culturale va di pari passo anche con la povertà legata alla disoccupazione, senza speranza già per chi è scolarizzato, figuriamoci per chi è fuori da qualunque corso, master o bando; figuriamoci per chi stenta a leggere.
E chi stenta a leggere e vive di espedienti, come può distinguere una lite in condominio da un assalto in comitiva ad una caserma? Salvare dal carcere i compagni non è trasgredire la legge, ma proteggere gli amici da una detenzione immotivata, perché rubare in certi contesti è quotidianità.
Negli anni 80 e 90, si viveva di contrabbando di sigarette in alcune zone, di spaccio sempre, ancora oggi come allora. Ma c’è un nuovo settore che si è affacciato nei mercati della sopravvivenza illegale ed è quello del rame. Ieri rubando l’oro rosso è morto il trentenne Ivan Gallusco, in una cabina dell’Enel sotterranea vicino all’Hotel Palace, con una scarica di 24.000 volt.
MARIA LASAPONARA