VENDOLA. “Calunnie contro di me. Processo fuori dall’aula”
“Certi ambientalisti che si sentono doc vogliono dimostrare un teorema: che a Taranto l’ambiente è stato svenduto. Ma ho fiducia nella giustizia»
«Siamo di fronte ad un atto delinquenziale, un’operazione costruita da una centrale di diffamazione e calunnie che ha le sue radici a Taranto, e non solo. Agirò in ogni sede legale. Mi difenderò. Se sono credibili queste diffamazioni, allora ho imbrogliato sempre: a Trino Vercellese e Montalto di Castro nelle battaglie antinucleariste degli anni ’80, nei centri per l’ambiente della Fgci che ho fondato, negli anni da deputato e quando da governatore ho dato vita alla più incalzante calvacata di leggi ambientali mai prodotte in una regione». Nichi Vendola annuncia querela contro il Fatto per aver diffuso l’intercettazione di una sua telefonata con Girolamo Archinà, ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva, oggi ai domiciliari, nella quale ride dello «scatto felino» del suo interlocutore mentre strappa il microfono a un giornalista scomodo, sequenza vista in tv. Vendola annuncia querela anche contro Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink Taranto per un video reperibile in rete che il presidente della Puglia definisce «un repertorio documentato di falsità». Vendola è indagato, insieme ad altre 53 persone, per concussione nell’inchiesta sul disastro ambientale dell’Ilva.
Presidente, andiamo per ordine. Qual è per lei l’atto delinquenziale?
Il primo: far credere che in quella telefonata io rida per i morti di tumore. È inaccettabile. Chi ha preso la mira ha puntato dritto al cuore.
Chi ha preso la mira?
Ci torno dopo. Chi ascolta la telefonata si rende conto che rido del guizzo felino del dottor Archinà.
Che ha strappato il microfono a un giornalista. Lei usa un tono confidenziale con Archinà.
Quel tono va inquadrato nel contesto. Una regione impegnata in un negoziato permanente con la più grande fabbrica d’Italia, l’Ilva, sulla sicurezza sul lavoro, sulla difesa dei posti di lavoro – nel 2010 la Fiom e gli altri sindacati ci sollecitano continuamente. Alcuni lavoratori si appendono ai ponti di Taranto minacciando di lanciarsi nel vuoto. Quando vengono licenziati per rappresaglia alcuni delegati della Fiom, come reazione istituzionale interrompo le relazioni con i Riva. Fino al loro reintegro.
Questa telefonata si svolge nel pieno della trattativa con l’Ilva?
Siamo nell’estate 2010. Il 13 agosto il governo Berlusconi vara un decreto che sposta di due anni l’entrata in vigore di una direttiva comunitaria sulla qualità dell’aria. Noi invece stiamo facendo i monitoraggi diagnostici: 1800 campionamento in 6 mesi. Che poi consentono di mettere sotto accusa Ilva e di varare una normativa che rende immediatamente prescrittivo il parametro europeo. I Riva chiedono insistentemente di parlarmi anche perché mi vogliono sottoporre la loro posizione, e cioè l’idea che se nella direttiva europea si parla di ‘soglia-obiettivo’ vuol dire si tratta di un parametro da raggiungere. Una tesi che poi sarà anche del Tar di Lecce. Noi tuttavia procediamo secondo la nostra idea.
Niente da rimproverarsi?
Se si facesse un grafico sul tema salute-ambiente a Taranto dal 1990, cioè da quando la città viene dichiarata sito inquinato di interesse nazionale a causa dell’Ilva, fino al 2005 sarebbe una linea piatta. Dal 2006 al 2013 invece una linea vorticosamente ascendente. La quantità di leggi e atti amministrativi che abbiamo compiuto per assediare il grande ciclope (l’Ilva, ndr) è impressionante.
Quali erano i suoi rapporti con i Riva?
Avevo nei Riva interlocutori duri e litigiosi, tant’è che si rivolgono alla giustizia amministrativa per quasi tutti i provvedimenti che assume la Regione. Il capo del personale, De Biase, è il più ostico, i nostri incontri erano sempre molto tesi. Invece Archinà, che io fin lì conosco per il ruolo che ha e non alla luce di quello che anche io scopro poi, è più disponibile a far ragionare i Riva. I Riva sono un potere stratificato a Taranto, a Milano e nel sistema non solo politico italiano; il 2010 è l’anno in cui entrano in Alitalia come capitani coraggiosi. E aggiungo: dal 2008 ho una polemica con Confindustria perché le nostre normative ambientali creano, dicono loro, uno svantaggio competitivo per la Puglia: perché non esistono in nessun’altra regione d’Italia. In tutta questa diffamazione, sparisce la solitudine che ha accompagnato la nostra sfida all’Ilva, un azzardo grande per cambiare Taranto, darle ossigeno. Ma vorrei farla io una domanda.
Dica.
Non sono stati trovati diamanti nè lingotti d’oro. Allora perché in quegli anni ho l’ansia di non andare mai alla rottura con i Riva, se non perché sento l’urgenza di offrire dei risultati alla città? Sostituisco il direttore di Arpa Puglia Alfredo Rampino, cugino dell’ex governatore e da tre giorni indagato per lo scandalo della Asl di Brindisi, con Giorgio Assennato (oggi anche lui indagato nella stessa inchiesta del presidente della Puglia, ndr). Assennato è consulente delle procure lombarde nell’indagine su Seveso. È l’uomo che ci ha insegnato a parlare di asbestosi e di mesotelioma pleurico. Uno scienziato, un medico del lavoro, uno con la schiena dritta. Ai suoi insegnamenti debbo, ad esempio, il mio primo atto di giunta, una delibera per chiudere la partita dell’amianto del sito Fibronit di Bari.
Ora torniamo all’inizio. Chi ha ‘preso la mira’ contro di lei?
C’è un momento della storia di Taranto in cui si determina una rottura. Nei primi anni partecipo con le associazioni, ma a un certo punto la nostra legge sulle diossine invece di essere simbolo di una vittoria del movimento, diventa oggetto di polemiche infinite. Comincia un clima di sospetto che precipita nella richiesta di chiusura della fabbrica. E nel referendum. Io mi schiero con la difesa dei posti di lavoro: chiudere la fabbrica è la nostra sconfitta, ambientalizzarla è il nostro obiettivo. Io non criminalizzo chi la pensa diversamente, ma alcuni di quelli che la pensano diversamente hanno lavorato per criminalizzare la mia scelta.
Parla del mondo dell’ambientalismo?
Di una parte di quel mondo.
La telefonata diffusa ieri non contiene notizie di reato. Ma lei è indagato e presto sarà sentito dai magistrati. Ha fiducia nel lavoro della magistratura?
In questi giorni ho passato qualche nottata sveglio per il rischio di chiusura della Vestas, 120 lavoratori, più quelli di Marcegaglia. E Dio sa la sola ipotesi di 120 licenziamenti cosa significa in una città come Taranto. Immaginate una fabbrica che impiega 12mila persone e ha un indotto che ha a che fare con l’industria manifatturiera di tutta Italia? Non posso non credere nella buona fede di chi esercita il controllo di legalità. E mi batto perché questo controllo non conosca interferenze da parte del potere politico. Di questo non mi sono mai lamentato. Ho subito diverse ingiustizie in questi anni, sono state le prove più dolorose della mia vita. Per chi ha abitato nelle trincee della lotta per la giustizia e per la legalità, ritrovarsi nel registro degli indagata, talvolta con accuse infamanti, è una prova molto importante. Ho usato il dolore come una bussola per migliorarmi come essere umano e per non dimenticare mai i miei doveri pubblici.
Ora Pdl, 5 stelle e il verde Bonelli le chiedono di dimettersi. Lo farà?
Ci ho pensato mille volte in questi anni, e mille volte ho pensato che non ci sono vie di fuga quando si è carcerati dal senso del dovere. Vivo oggi il mio lavoro politico con un sentimento di infelicità. Io sono quello del Natale a Sarajevo sotto le bombe, nella Selva Lacandona contro la violazione dei diritti degli indios, quello travestito da matto in un manicomio per denunciarne le condizioni di vita. Quello che in Puglia ha istituito 16 parchi, varato il piano di assetto idrogeologico, il primo piano di tutela del paesaggio. E invece chi sono io, nella speculazione politica che si sta costruendo, che serve a dimostrare un teorema che l’ambiente è stato svenduto dalla politica? È possibile che in 100 anni di inquinamento, quello che ha aperto la porta ai processi di ambientalizzazione è incriminato in processi sommari di piazza per intelligenza con il nemico? Ma, visto che nessuno ha mai parlato di dazioni di danaro, perché mi sarei venduto tutta la mia biografia, la mia anima?
C’è un teorema contro di lei?
Anche nell’atto di accusa della procura ci sono alcune intercettazioni e alcune mail. E l’impressione è che si gioca con queste fuori dalle aule di giustizia per precostituire la condanna che conta di più, quella nell’opinione pubblica. Un pubblico amministratore ogni giorno deve assumere decisioni importanti. Per me conta la bussola e l’orizzonte. La mia bussola è sempre stata il rispetto dei principi di legalità e l’orizzonte il cambiamento. Cambiare Taranto era per me il sogno più pressante e la sfida più difficile. Persone come me possono fare errori politici, ma non pratiche al di fuori della legge. La mia vita è stata un’altra.
DANIELA PREZIOSI
FONTE
ilmanifesto.it