Classifica del Sole 24 Ore: Taranto non occupa più l’ultimo posto, un bene?
Trento è al primo posto della classifica del Sole 24 Ore sulla vivibilità delle città. Bolzano occupa il secondo posto; la terza città è Bologna, seguita da Belluno e poi da Siena
Ancora ai primi livelli della graduatoria, Ravenna, Firenze, Macerata, Aosta e Milano che ne traggono lustro. Ritroviamo le città del Sud nelle ultime 20 posizioni. L’ultimo posto, il 107mo, spetta a Napoli e provincia. Non sarà per la sporca faccenda della Terra dei Fuochi? O per la camorra? O per la mancanza di soluzioni locali e per l’inedia statale? La classifica considera 36 parametri, raggruppati in sei macro-aree che definiscono il tenore di vita, gli affari e lavoro, i servizi per ambiente e salute, la popolazione, l’ordine pubblico ed il tempo libero. Sono parametri che ci condannano già nei titoli. Il Sud non può affrontare l’indagine in nessuna di queste macro-aree.
Le città del Trentino hanno, per il settore “affari e lavoro” la supremazia nel business, grazie a start up innovative e per la quasi totale occupazione femminile; hanno servizi di altissima qualità e presenze turistiche, emerse in verità pure in Puglia, ma che certo non sono bastate a far dimenticare l’assenza totale di strutture e di occupazione. Gli ultimi posti occupati dalla Puglia, dalla Calabria, Sicilia e Campania esplicitano, formalmente, un degrado in tutti settori; primo tra tutti la disoccupazione totale a cui consegue l’eleggibilità di politici inadeguati , ma professionalmente esperti nel voto di scambio. Ne deriva una politica assente verso il territorio e verso i bisogni dei cittadini.
Diventa dunque impossibile poter essere definiti come Trieste, città che brilla per “servizi ambiente salute” ed i cui meriti vanno al più alto indice di infrastrutture, ad una buona dotazione di asili nido ed alla velocità della giustizia civile.
Lo scorso anno Taranto ebbe il primato negativo assoluto nella classifica del Sole 24 Ore, mentre stavolta acquista qualche punto. Come mai? Forse l’aria che si respira è più pulita? Certo che no, nessuna bonifica è stata fatta, nessun rimedio antiveleno è stato posto. Forse c’è meno disoccupazione? No, al contrario: Vestas, Mercegaglia e molte altre imprese, piccole e grandi, hanno prodotto un numero sconcertante di licenziamenti. Le attività commerciali, tante, hanno chiuso i battenti in ogni strada principale. I servizi sono ai limiti dell’America Latina o del continente africano, come bus, treni ed Amiu.
La sanità, se consideriamo il pronto soccorso dell’ospedale, è ai limiti della rissa quotidiana. Abbiamo infrastrutture? No, abbiamo solo cattedrali svuotate e nel deserto: il Porto, l’Arsenale, l’Aereoporto, le Ferrovie.
Abbiamo crolli non nel deserto, ma nel centro storico, direttamente proporzionali alle piogge, a volte senza di esse. Taranto produce macerie di palazzi dalle volte settecentesche.
Vivibilità? I dati sono contenuti nella relazione che tre epidemiologi di fama, come Annibale Biggeri, Maria Triassi e Francesco Forastiere, consegnarono a gennaio 2012, al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, a seguito dell’inchiesta a carico dei dirigenti Ilva. In 13 anni, dal 1998 al 2010, sono morte a Taranto 386 persone per le emissioni industriali. Negli ultimi sette anni 174 a causa del Pm 10.
Ci chiediamo, allora, in che senso siamo saliti rispetto allo scorso anno. Forse risultava necessario dimostrare che qualche provvedimento fosse stato preso? No, grazie allora no; meglio restare all’ultimo posto, meglio la verità che porta con sé reazioni, impegno e risultati.
MARIA LASAPONARA