MASSERIE NEL TARANTINO: DIOSSINA E PCB NEL LATTE A MASSAFRA E COLTIVAZIONE DELLA CANAPA NELLA MASSERIA FORNARO

MASSERIE NEL TARANTINO: DIOSSINA E PCB NEL LATTE A MASSAFRA E COLTIVAZIONE DELLA CANAPA NELLA MASSERIA FORNARO

Ancora conseguenze distruttive sull’economia del tarantino, ancora sdegno e disperazione per i produttori di bestiame e di latte, per quelli che,  non lontani dallo stabilimento più grande e più inquinato d’Europa, provano a lavorare e produrre da sempre

E’ stato effettuato il quinto campionamento del latte prodotto nell’allevamento di Giuseppe Chiarelli, titolare di un’azienda con 55 capi di bestiame e con una produzione di 200 litri di latte al giorno, destinati ad un caseificio massafrese. L’azienda dista dall’Ilva all’incirca 10 km.

E’ latte vaccino ed è contaminato, come risulta, da diossine e Pcb. L’allarme era partito dalle analisi dell’Asl di Taranto che ne avevano scoperto una quantità doppia rispetto al consentito. Erano risultati 11, 72 picogrammi per grammo di grasso, rispetto alla soglia consentita 5,5 picogrammi. Erano stati prelevati dei campioni di latte, da animali per la produzione, sia di latte che di carne, campioni poi inviati a Teramo all’Istituto Zooprofilattico.

Gli ultimi prelievi erano stati effettuati il 24 marzo e purtroppo i veterinari dell’Asl avevano avuto ragione; l’Istituto Zooprofilattico di Teramo, ha convalidato il loro parere,  secondo cui vi è un  bioaccumulo nell’organismo degli animali; maggiormente contaminato risulta il latte delle mucche gravide  e puerpere. Infatti si è proceduto ad un doppio campionamento delle stesse, parallelamente a quello sul latte di massa. Questo perché, in precedenza,  era stata rilevata dalle analisi, un’oscillazione, ora elevata ora invece nei limiti, e si era, dunque,  ipotizzato che dipendesse  dalle gravidanze e dal periodo dell’allattamento.  Il campione di latte di una singola mucca è positivo con valori di un picogrammo superiore al limite previsto.

Ricordiamo che recentemente l’associazione Legamjonici aveva presentato una ricerca sul latte materno, effettuata dall’Università della Basilicata e che  aveva prodotto dei risultati inquietanti, nonostante i numeri del  campionamento fossero non significativi per una rilenza scentifica;  comunque emersero dei casi di contaminazione da diossina, nel latte materno, nettamente superiori ai dati consentiti.

Ma anche se il latte prodotto da una sola mucca è contaminato, compromette, senza alcun dubbio, la produzione di tutta l’azienda. Ed è accaduto ciò che conferma il parere del Tavolo Tecnico Regionale: diventa necessario abbattere un paio di capi più anziani, maschi, per analizzarne il prodotto e la tossicità, per poter almeno utilizzare eventualmente la carne per fini commerciali. Qualora si riscontrasse l’assenza di tossicità nella parte analizzata, si potrà procedere al macello di altri capi per la consumazione della carne, analizzando un campione di muscolo per ciascuno di essi. Ma se così non fosse, conosciamo per triste esperienza cosa potrebbe accadere. Ricordiamo infatti che sono già stati abbattuti nel tarantino 2000 capi di bestiame.

 

Ma c’è un’altra vicenda che in questi giorni  s’interseca con la questione “produzioni a rischio ambientale” ed è quella di Vincenzo Fornari , titolare della famosa Masseria del Carmine, situata a 2km dall’Ilva, in cui  vennero abbattuti nel 2008, ben  600 capi di bestiame  tra pecore e capre.

Ebbene, ora,  una nuova circostanza concede, oltre che speranze, anche soluzioni concrete ed innovative, che testimoniano l’efficacia di economie alternative e rivoluzionarie, ben attente a dimostrare che è possibile reagire produttivamente anche quando ti hanno rubato tutto: il lavoro ed un’azienda che da generazioni produceva beni alimentari rinomati e richiesti ovunque.

 La buona notizia è che da oggi, 5 aprile, la masseria tornerà a vivere, grazie alla semina della canapa. L’associazione pugliese CanaPuglia potrà sviluppare ed attuare le capacità di fitorimediazione della pianta di canapa. La canapa può rigenerare il terreno “grazie alle sue capacità di riduzione degli infestanti e grazie al suo apparato radicale che lavora il terreno in profondità, fino a due metri, lasciandolo in ottime condizioni per una cultura successiva”.

L’ associazione nasce da un progetto del 2011, vincitore del concorso “Principi Attivi”, sostenuto dall’Assessorato alle Politiche Giovanili della Regione Puglia.

Attualmente è stato possibile seminare centinaia di ettari in Puglia; sono stati coinvolti numerosi agricoltori in tutta Italia e numerosi imprenditori per investire nella filiera che riguarda la canapa, riuscendo ad intercettare circa 200 tonnellate di Co2 dall’atmosfera della Regione Puglia.

Ora, considerando che per un raggio di 20 km è in vigore il divieto di pascolo, Il progetto C.A.N.A.P.A  che vuol dire “ Coltiviamo Azioni per Nutrire, Abitare, Pulire l’Aria” prodotto appunto dall’associazione CanaPuglia, decide di circondare l’enorme stabilimento siderurgico con una  distesa di canapa. Potranno essere coinvolte, sicuramente, altre aziende agricole i cui terreni sono in prossimità dell’Ilva, effettuando la fitodepurazione anche con il lino ed il cotone.

Si cercherà dunque di contribuire alla bonifica dei terreni contaminati. La canapa coltivata, man mano che crescerà, sarà analizzata insieme al suo terreno. Non sarà utilizzata per il settore alimentare, ma per altre produzioni.

Obiettivo del  progetto è riscontrare quali sono gli  inquinanti che la pianta sequestra.  Sono altissime le potenzialità di bonifica. Inoltre la canapa può fare a meno di di pesticidi o diserbanti.

Dunque in una situazione di “disastro ambientale” può nascere un fiore, una pianta e persino una green economy.

MARIA LASAPONARA

viv@voce

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