Taranto. CONFERENZA DELLA PROF.SSA D’ORSOGNA SULLE TRIVELLAZIONI
No all’Italia petrolizzata. Il disastro ambientale documentato dai dati
Grande evento nel pomeriggio di lunedì 28 aprile con la prof.ssa D’Orsogna, presso l’AULA MAGNA dell’IISS Augusto Righi, su iniziativa di Tarantorespira. La prof.ssa Maria Rita D’Orsogna è un fisico e Professore associato presso l‘Istituto per la Sostenibilità dell’Università Statale della California UCLA.
Da anni si batte contro le multinazionali che vogliono trivellare i nostri mari e che, a quanto pare, ritengono il nostro territorio una “Excellent fiscal regime” (Petroceltic). Sappiamo il perché: le tasse sono minime, in Italia le royalties sono del 4% in mare. In Norvegia al contrario, a causa dei profitti straordinari associati all’industria del petrolio, è stata introdotta un’addizionale tassa speciale del 50%.
Dunque in Italia c’è un regime da “Zona Franca” che fa gola ai petrolieri che ne parlano alla luce del sole. Anche aziende, non di grande rilievo, hanno l’opportunità di divenire floride, di rifocillarsi col danaro regalato dall’incompetenza del nostro governo o forse dalla corruzione delle classi dirigenti di sempre. L’Italia è la patria degli speculatori, ma anche il tipo d’affare lo è già di per sé. Se l’estrazione costa 11 dollari, la rivendita a 100 dollari consente un ritorno economico notevole.
Ma l’altro aspetto, alquanto scandaloso oltre che inquietante è che, anche le regole sui luoghi d’installazione delle piattaforme sono più “elastiche” anche se, da poco, almeno prefissate.
In Norvegia le piattaforme si costruiscono a 50 km dalla riva . Negli Stati Uniti a 166 km dalla costa. In Italia non c’è stato problema: anche a 2 km di distanza. Nel 2010 sono diventati 9 km per tutto il territorio nazionale e 22 km nei pressi di riserve naturali. Successivamente Monti e Passera hanno esteso il limite di 22 km dalla costa per tutta l’Italia, ma con applicazioni ai progetti e alle concessioni successive al 2010.
Tarantorespira ha ritenuto fondamentale la Conferenza sulle trivellazioni e la presenza di Maria Rita D’Orsogna, proprio perché è necessaria la diffusione di tutte le notizie che riguardano la gestione selvaggia di un territorio, invece delicato e di inestimabile valore, considerando i beni artistici che l’Italia possiede.
Ma c’è qualcosa di più irruente, di più violento che costringe a scuotere le coscienze: la professoressa D’Orsogna ha dichiarato che la mortalità infantile in Italia è il doppio che in Europa. Ma dove siamo? Anzi chi siamo?
I giacimenti di petrolio e di gas, da noi, sono localizzati dal Piemonte alla Sicilia. La ricerca, le trivellazioni, proseguono ancora oggi. E su tutto l’Adriatico e nelle zone di Lizzano, più vicine a noi.
La prima azione per un’attività normale di estrazione del petrolio è la ricerca del giacimento, la sua dimensione e le caratteristiche specifiche; sono dunque utilizzati sistemi che trasmettono segnali sotto terra per comprendere le caratteristiche del sottosuolo; si provocano delle scosse, esplorazioni sismiche o delle esplosioni controllate e le perforazioni.
In mare, le navi vanno avanti e con le tecniche di airgun per l’ispezione dei fondali marini, gli spari fortissimi e continui di aria compressa, mandano onde riflesse da cui trarre i dati del sottosuolo.
Questi spari hanno una densità elevatissima, creando dei problemi alla fauna, in particolare all’udito, indispensabile per orientarsi a molti animali.
Creano emorragie, spiaggiamenti e morte. La violenza di questa tecnica è terza ai terremoti e all’eruzione di vulcani.
Appena si individua la zona petrolifera si procede alla perforazione, all’estrazione e a tutte le strutture che ne conseguono.
Vengono costituite le piattaforme petrolifere con dichiarazione dei petrolieri sui sistemi totalmente sicuri ed innovativi: i pozzi sono impermeabilizzati.
Ma davvero è possibile monitorare? In Ohio nel 2011 su 6.800 pozzi, 693 ebbero problemi di cedimenti strutturali. Queste crepe, queste fessure inquinano il sottosuolo. Anche in Canada e nel Golfo del Messico i dati sono stati impressionanti, dati derivati dalla conferenza dei petrolieri.
Nei Mari del Nord i problemi sono stati nel 18% dei casi. Anche in Italia vi sono state perdite ripetute, per i pozzi di gas, a causa di frequenti cambiamenti di pressione: in tre anni ne sono stati riparati 26.
Questo significa che il sottosuolo e le acque risultano contaminati da concentrazioni di radio oltre il tasso consentito. Infatti il Lago del Pertusillo, a noi noto, perché da qui deriva la nostra acqua, ha mostrato il triste spettacolo di pesci morti ed una notevole presenza di metalli pesanti e idrocarburi. Le contaminazioni di bario, usato nelle perforazioni, sono riscontrabili in numerose analisi di territori di estrazione. Naturalmente gli inquinanti entrano nel terreno e sono nocivi alle radici.
Ma la prof.ssa Maria D’Orsogna ci pone un altro problema: “Dove vengono immessi i materiali di scarto? In discariche normali e dunque non legali”. A Corleto Perticaro in Basilicata è stato trovato piombo, bitume ed altri inquinanti creati e celati per 20 anni. Nel frattempo la gente si è nutrita e gli animali da pascolo hanno condotto la loro esistenza, anche produttiva, nelle condizioni che possiamo immaginare.
Dalle zone limitrofe di Melfi, scarti radioattivi sono stati inviati e sepolti in Molise per 30 anni. Nel mare c’è un minor controllo e questa è una prassi ordinaria anche in Norvegia: per un pozzo si generano 3000 tonnellate di materiale di scarto l’anno.
Il riversamento a Ragusa nel 2010, produsse migliaia di tonnellate di prodotto petrolifero disperso, e l’Edison fu chiamata in giudizio. Sono scarti che i pesci mangiano andando poi in bioaccumulo. Allora la catena alimentare ne viene compromessa.
Uno studio nel Golfo del Messico ha attestato la presenza di mercurio nei pesci 25 volte superiore nelle zone petrolifere, rispetto alle altre zone.
Ma com’è il petrolio italiano? Qual è la situazione? L’Eni stessa nel 2009 affermò che era stato raggiunto il “fondo del barile” nel senso che tutta la parte possibile è stata estratta sino agli anni 50’. Infatti il petrolio attuale non è puro, cioè dolce e leggero, ma al contrario è amaro (ricco di zolfo) e pesante (molecole lunghe).
Diventa necessario effettuare le procedure di desolforazione per eliminarne lo zolfo. Tale procedura deve svolgersi vicino ai luoghi dell’estrazione, creando ulteriore inquinamento. Infatti dall’eliminazione dello zolfo deriva l’idrogeno solforato che, nei casi estremi, induce al soffocamento e alla morte.
Infatti ricordiamo molti operai morti durante alcune operazioni nelle cisterne. Anche le dosi minime, nel tempo creano danni come il cancro per esposizione ad agenti genotossici e dunque sul DNA; causa anche gli idrocarburi ed il benzene. L’idrogeno solfato induce alla proliferazione tumorale in particolare del cancro colon- rettale.
E’ d’obbligo, alla luce di queste evidenze, investire di più nella conoscenza, nella divulgazione ai cittadini e non solo esporre studi esclusivamente in inglese.
Le multinazionali affermano che lo zolfo possa essere utilizzato per altri fini produttivi, ma tale idea ha un riscontro contrario, perché in realtà vi è una sovrapproduzione di questo minerale, proprio a causa della crescente raffinazione del petrolio.
E’ dal 1987 che in California, la legge, obbliga chi inquina a dichiarare “gli effetti collaterali” della propria attività produttiva. I petrolieri firmano, essi stessi, queste dichiarazioni.
La prof.ssa D’Orsogna, durante la conferenza, ci ha illustrato anche i disastri ambientali causati dagli incidenti sulle piattaforme petrolifere: in Italia nei pressi di Novara, a Trecate, nel 1994; a Policoro nel 1991, a Genova nel 1991 e poi a Gela e ancora a Rospo Mare, 2005-2013, in Abruzzo con 1000 litri di dispersione di petrolio, smentendo successivamente e definendo, invece, il prodotto disperso, come erba e fango. In Australia nel 2009 la dispersione si allargò sino all’Indonesia. E poi nel Golfo del Messico, all’inquinamento per dispersione, si unì anche l’ulteriore tossicità del dispersante che spruzzarono: il Corexit.
Nel 1965 scoppiò la piattaforma Paguro in Emilia.
Ma negli stati Uniti, però, dopo l’incidente a Santa Barbara, nel 1969, la gente si mobilitò e protestò duramente. Da allora le leggi impedirono qualunque altra piattaforma nel Mare della California. Turismo ed estrazione petrolifera sono inconciliabili.
La subsidenza è lo sprofondamento del terreno. Esiste una connessione tra subsidenza ed estrazione petrolifera: più aumenta la produzione di petrolio e più si verifica questo fenomeno. Gravissimi casi di erosione delle coste si sono avuti a Ravenna. In Emilia Romagna alcuni tratti fondali si sono abbassati di due metri in 20anni.
Ma per le multinazionali di questo settore l’Italia resta un grande business: il paese dove tutto è possibile per gli speculatori.
MARIA LASAPONARA