L’esposizione ai raggi “X” è più pericoloso di quanto si pensi
L’esposizione ai raggi “X”durante gli esami medici è più dannosa per la salute di quanto si è creduto sinora
A denunciarlo mercoledì scorso non una ricerca qualsiasi, ma l’agenzia federale per il controllo nucleare del Belgio (AFCN) in un comunicato stampa. Tale evidenza si basa su uno studio del Professor Hubert Thierens, dell’Universiteit di Gent, che dimostra che le radiazioni ionizzanti anche a basse dosi alterano il DNA e possono provocare il cancro.Il professor Thierens ha condotto test su 100 bambini in collaborazione con cinque ospedali fiamminghi.
Analizzando i campioni di sangue prima e dopo TAC, si è collegato per visualizzare e quantificare le doppie – eliche del DNA che si rompono. Queste interruzioni sono infatti all’origine delle mutazioni e, in una fase successiva del cancro.Tra tutti i partecipanti allo studio sono stati osservati effetti statisticamente significativi. Questi effetti aumentano nei bambini in giovane età sottoposti ad una dose di radiazioni ionizzanti. Lo studio dimostra, tuttavia, che i danni non evolvono in modo proporzionale all’esposizione alle radiazioni.
“Ci si poteva aspettare che una riduzione del 10 % delle dosi di radiazione provoca una riduzione simile del danno. Ma questo non è il caso; i danni sono superiori”, spiega Hubert Thierens. Sottolinea, inoltre, che i tessuti rispondono ai raggi “x” e non solo le cellule.Il rischio di cancro causato da radiazioni ionizzanti è pertanto superiore a quello che è stato ammesso finora.”Il DNA è danneggiato anche da basse dosi di radiazioni”, insiste il ricercatore. Il legame tra cancro e rotture del DNA dovrebbe essere oggetto di una nuova ricerca. Ma, secondo un recente studio internazionale, le radiazioni ionizzanti aumentano il rischio di leucemia.L’AFCN ha invitato da diversi anni ad un uso moderato dell’”imaging” medico.
Se molto rimane da fare, l’agenzia ha comunque notato una diminuzione dell’utilizzo dei “raggi x” emessi per gli esami radiologici. Questi risultati sono dovuti all’ottimizzazione delle procedure che utilizzano scanner più recenti.Una sensibilità, quella dimostrata dall’ente Belga assai significativa, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, che trova pochi casi simili nel resto d’Europa. Ecco perché anche nel resto dell’UE ed in Italia bisogna fare ancora molto per sensibilizzare la popolazione e gli operatori sanitari ad una drastica riduzione di questo tipo di esami clinici.