Tap, il gasdotto che preoccupa il Salento servirà tanto all’Europa e poco all’Italia
La Regione Puglia e i Comuni interessati sono contrari, ma la partita è a livello internazionale e la multinazionale svizzera che costruirà l’impianto si dice certa di avere a breve il nulla osta definitivo dal Ministero. Non solo: garantisce che l’impatto ambientale della Trans Adriatic Pipeline sarà minimo, ma gli operatori turistici e i cittadini leccesi la pensano diversamente. Sul territorio non ci saranno ricadute occupazionali, ma ‘solo’ il tubo che unirà San Foca all’Albania, quello che collegherà il litorale a Mesagne e la centrale di depressurizzazione tra ulivi e muretti a secco. E tra cinquant’anni tutte le opere verranno abbandonate
Il mare? Non subirà contraccolpi. La spiaggia? Non sarà sfiorata. La pineta? Si passerà al di sotto. Gli ulivi? Si possono ripiantare. I muretti a secco? Verranno ricostruiti. I turisti? Torneranno a frotte. I residenti? Saranno ricompensati. Non sarà che un tubo invisibile. E non ci sarebbero ragioni, se non “sinceramente insensate”, per opporsi al gasdotto Tap. Parola di Giampaolo Russo, country manager della multinazionale svizzera che punta a costruire il metanodotto lungo 871 chilometri e che collegherà l’Azerbaijan con l’Europa, dopo aver attraversato per 510 chilometri la Grecia e per 151 l’Albania. L’approdo previsto in provincia di Lecce, a San Foca (marina di Melendugno), pare essere l’unica zanzara a disturbare un sonno tranquillo.
L’iter è a buon punto nonostante i no di Regione Puglia e Comuni interessati
“Entro fine agosto avremo l’ok definitivo”, ha infatti confermato Russo a Panorama a fine luglio. Nessun dubbio, nessuna titubanza. “Ci sono già un accordo intergovernativo firmato, un parere favorevole dell’Unione Europea e un iter lungo e complicatissimo che abbiamo accettato. Non vedo cos’altro potrebbe accadere”. Un dettaglio sembra essere il parere negativo della Regione Puglia nell’ambito della procedura di Valutazione di impatto ambientale: endoprocedimentale, non vincolante, perciò quasi insignificante. Una minuzia, poi, sarebbe il profondo dissenso che matura sul territorio tra delibere dei Comuni, controinformazione degli attivisti, rinunce a laute sponsorizzazioni. E’ la commissione nazionale Via a dover dare il vero responso, che si attendeva già alla fine del mese scorso. Se anche dovesse non essere affermativo, c’è poi la tappa dell’Autorizzazione unica necessaria per avviare i lavori.
Il pressing internazionale e il ruolo di Tony Blair
E, ad ogni modo, il colosso del gas un’altra strada pensa di trovarla comunque: sarà la politica a decidere. Anche a costo di scavalcare il volere del Salento? Probabilmente sì. Il pressing internazionale si fa sentire e si concentra: il 14 luglio, il presidente della Repubblica dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, è volato fino a Roma per incontrare il presidente del Consiglio Matteo Renzi in seduta riservatissima. E’ degli inizi di agosto la notizia, riportata dal quotidiano inglese Guardian, diTony Blair, ex premier laburista britannico, diventato lobbista per il consorzio che realizzerà l’opera, con il compito di facilitare la soluzione dei problemi “politici, sociali e di reputazione” con cui si sta scontrando il progetto.
Le resistenza del territorio per salvare l’economia del turismo
La resistenza del territorio, si diceva, un fastidioso ronzio. L’incubo di una nuova Val di Susa agita quella che da sempre è stata considerata una periferia dell’impero. Il ruolo di protagonista, di modello nel rilancio del Mezzogiorno, qual è diventato il Leccese, cambia, tuttavia, i termini della questione. Perché gli assi nella manica che ha tirato fuori una delle province più povere d’Italia per Pil pro capite non sono altro che le sue bellezze naturali, storiche e culturali. E la ruota, da dieci anni a questa parte, ha preso a girare. Ecco perché la levata di scudi è così fragorosa: il sì ad una grande opera come la Trans Adriatic Pipeline è avvertito come un tentativo di sconfessare il percorso fatto finora, che ha portato i suoi frutti ma è ancora agli albori, fragilissimo.
La multinazionale: “Nessuna cicatrice sul territorio”
“Nessuna ripercussione, nessuna cicatrice”, ha garantito a più riprese la multinazionale. Sul suo sito ufficiale, si legge: “La realizzazione del gasdotto non comporterà l’industrializzazione dell’area né tantomeno apporterà modifiche al magnifico paesaggio”. A corredo, foto del prima e del dopo l’interramento di un tubo in un grande prato verde. Peccato che la zona interessata dal cantiere sia decisamente un’altra cosa. Bisogna attraversarli quei luoghi, bisogna sobbarcarsi la fatica di esplorarli metro per metro, di ascoltare storie e persone per capire cosa siano davvero: un groviglio senza soluzione di continuità di ulivi spesso secolari, macchia mediterranea che incornicia le strade, piccoli e redditizi allevamenti di asini e capre, costruzioni rurali minute e abitazioni, tratturi che corrono a breve distanza da chiesette e dolmen preistorici. Il ripristino ambientale obbligatorio non potrà restituire tutto questo. E’ solo poesia? No, è diventata anche economia.
Oltre al tubo a San Foca, ci sarà da fare il collegamento con la rete nazionale a Mesagne
“L’impatto residuale sarà comunque oggetto di compensazione”, ribadisce Tap. Ma sono soldi che, forse per una delle prime volte in questa terra, paiono avere meno valore di quanto si andrà a perdere frammentando, scomponendo un puzzle mozzafiato. Senza contare, inoltre, che daMelendugno Snam dovrà proseguire i lavori fino a Mesagne, in provincia di Brindisi, per il collegamento alla rete nazionale. E’ a 800 metri dal litorale di San Foca che, a 18 metri di profondità, si infilerà un “microtunnel” largo tre metri e lungo due chilometri. Così come descritto nel progetto definitivo stilato da Saipem, all’imboccatura, sul fondale, sarà costruito un terrapieno incalcestruzzo cementizio, proprio di fronte alla spiaggia che per il quarto anno consecutivo ha conquistato la bandiera blu. Il tubo scaverà come una talpa il sottosuolo, per riemergere, al di là della pineta a ridosso della litoranea, in un pozzo artificiale, da dove prosegue per otto chilometri nell’entroterra. Lungo quel percorso interrato di un metro, saranno abbattuti 1.900 ulivi, da sistemare altrove o tramutare in legna da ardere.
La centrale di depressurizzazione: un ecomostro tra ulivi e muretti a secco
C’è un vociare di cicale assordante nella campagna dove, tra masserie e trulli, subito fuori il centro abitato, dovrà essere costruita la centrale di depressurizzazione. Sarà estesa su dodici ettari, abbellita sì da arbusti e pietre locali, ma ospiterà due macchine termiche a gas della potenza di 3,5 megawatt, con due camini alti dieci metri per smaltire i fumi delle combustioni. E’ il motivo fondamentale per cui in campo contro la realizzazione dell’opera è scesa anche la Lilt: il Salento, che detiene l’anomalo primato italiano per tumori al polmone negli uomini, non può permettersi di inalare altre emissioni.
Tra cinquant’anni le opere saranno abbandonate sul territorio
Poi, c’è il capitolo dismissione: a fine vita, tra cinquant’anni, si prevede che le condutture in terra e in mare siano lasciate in loco come opera persa. Arrivederci e grazie, Tap saluterà San Foca. Dove, però, resteranno ovvi “problemi di liberazione progressiva di polimeri, metalli, residui solidi del passaggio del gas naturale oltre che naturalmente gli altri problemi geomorfologici egeoidrologici, biologici e ecosistemici in genere legati alla presenza dell’infrastruttura”. E’ uno dei passaggi più delicati del controrapporto depositato dal Comune di Melendugno al Ministero dell’Ambiente ed elaborato da decine di tecnici, giuristi, docenti universitari, sotto il coordinamento di Dino Borri, ordinario di Ingegneria del territorio al Politecnico di Bari. E’ alla luce di tutte le considerazioni tecniche e della conoscenza vera del contesto in cui andrà a incunearsi che, più che un tubicino, Tap torna ad assumere i contorni di quello che è: un’opera di ingegneria industriale dall’impatto ambientale non indifferente.
Aspetto occupazionale: 50 posti di lavoro, ma è difficile che vadano agli italiani
Servirà a portare “sviluppo”? Durante il cantiere, tra il 2016 e il 2019, impiegherà a tempo determinato circa cinquanta persone, che saranno ridotte a una decina nella fase di esercizio. Per ammissione della stessa società (Rapporto di Via, Allegato Impatti e Mitigazioni), non si potranno assumere preferenzialmente lavoratori locali o italiani rispetto ad altri candidati maggiormente qualificati. Anzi, nel documento Esia si parla chiaramente di “aspettative disattese in termini di occupazione di forza lavoro locale”. Ci sarà posto, magari, per qualche vigilante o giardiniere. E “saranno meno di quanti una buona pasticceria sa impiegare già in zona”, ha sottolineato Borri. Certo, ci sarà anche l’indotto. Ma è poca cosa rispetto a quello che si ha già e si potrebbe avere ancora: solo nell’estate 2013, San Foca è stata in grado di calamitare circa 400mila presenze turistiche stimate. Il gasdotto servirà all’Italia? I dubbi non mancano, dati i consumi in continuo calo e la sovrabbondanza di metano ora esistente, per quanto si abbia l’ambizione di diventare l’hub del gas per l’Ue. Tap servirà, dunque, all’Europa? E’ considerata “opera strategica” da Bruxelles. Di sicuro, però, da sola non basterà a compensare il fabbisogno ora coperto da Gazprom e a sganciarsi dalla Russia. Servirà, quindi, solo all’Azerbaijan e alla stessa multinazionale?
FONTE
ilfattoquotidiano.it