ARTICOLO 18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI
Vietare un licenziamento illegittimo causa la crisi economica?
Lo Statuto dei Lavoratori, legge n.300 del 20 maggio 1970, riconobbe finalmente la tutela della dignità dei lavoratori di fronte al potere, quasi assoluto, del datore di lavoro. Vennero per la prima volta regolate le condizioni di lavoro che lecitamente, prima di allora, erano nella realtà, a discrezione padronale, nonostante le indicazioni della Costituzione Italiana.
Le conquiste delle lotte operaie del 68, finalmente, riuscirono ad entrare a pieno titolo in una serie di articoli di legge dello Stato che decideva di garantire l’attività sindacale. Furono definite con chiarezza le tutele che avrebbero regolato i rapporti sindacali nell’ambito dell’organizzazione produttiva; lo Stato cercava di legittimare l’azione sindacale concreta a vantaggio dei lavoratori, non tutti per la verità, perché furono esclusi quelli appartenenti ad aziende con meno di 15 dipendenti.
Nel contratto di lavoro, nella stessa definizione giuridica, il lavoratore è ritenuto il contraente più debole e dunque bisognoso di maggior tutela. Ed ecco dunque che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori al centro di una paradossale querelle negli ultimi anni, disciplinava i casi di licenziamento illegittimo, affermando che il licenziamento è possibile solo nei casi in cui avviene per giusta causa o giustificato motivo (notevole inadempimento degli obblighi contrattuali).
In mancanza di questi presupposti il lavoratore può fare ricorso. Prima della riforma Fornero del 2012 , il giudice riconosciuta l’illegittimità del licenziamento era obbligato ad ordinare la reintegrazione del lavoratore con un risarcimento della retribuzione oltre che il mantenimento del medesimo posto precedentemente avuto. In alternativa il lavoratore poteva ottenere un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultimo stipendio o un’indennità crescente con l’anzianità di servizio.
La riforma Fornero nel 2012 ha, in qualche modo, reso non obbligatorio il reintegro tranne nei casi in cui il fatto imputato non sussiste ed ha reso farraginosa l’interpretazione dei vari casi e condizioni elencate, creando ulteriori complicazioni e rendendo meno semplice la tutela reale, dando invece prevalenza alla tutela indennitaria. Risultato: si sono aggravate le difficoltà giudiziali aumentando dunque i cavilli e le incertezze senza aver favorito minimamente l’occupazione. Già l’occupazione! Ma perché questa dovrebbe essere favorita da una limitazione di alcuni diritti fondamentali che tutelano la dignità del lavoratore?
L’articolo 18 tutela 7 milioni di lavoratori. Le parti in causa che ritengono giusta la sua abolizione, utilizzano la tesi secondo cui, ormai il mondo del lavoro è precario e certo tali garanzie di fatto appartengono a pochi; dunque diventa importante che gli imprenditori siano liberi di licenziare per motivi economici anche individualmente. Secondo “il loro modesto parere” diventerebbe più semplice assumere; meno obblighi creerebbero meno reticenza ad assumere. Ma davvero questa può essere la motivazione di una crisi del sistema economico italiano? Davvero porre un freno alle eventuali discriminazioni crea ostacolo all’accelerazione produttiva?
Il mondo del lavoro, è vero, oggi è completamente diverso e drammaticamente precario, ma i garantiti che restano, come gli statali ed i pensionati, da soli stanno reggendo un’economia che vacilla grazie ad una politica governativa che risponde unicamente alla BCE. Draghi ordina, la politica obbedisce.
Le cause della crisi di disoccupazione sono tante: l’assenza di innovazione, le troppe tasse che stanno portando il Sud al totale fallimento e la burocrazia. “Secondo dati Istat ed Isfol, dal 2008 al 2012, i più colpiti sono artigiani ed operai specializzati con la perdita di 555.000 operai ed artigiani”.
Ma anche i gruppi dirigenti ed imprenditoriali sono in discesa. C’è poca innovazione tecnologica nel sistema produttivo italiano, manca totalmente una politica industriale seria.
Ma la lacuna più grande è prettamente politica. Un partito come il PD, un tempo fautore dei diritti dei lavoratori, ora è lacerato al suo interno, perché sta cercando di precarizzare quei pochi lavoratori garantiti rimasti. Alfano ribadisce le posizioni della destra di sempre, ma la sinistra ha già da tempo abdicato alla sua dignità.
MARIA LASAPONARA