A colpi di pagaia verso Rio e la felicità: «Senza gambe sono migliore»
Pier Alberto Buccoliero, 26 anni, è rimasto paraplegico dopo un incidente all’interno dell’Accademia Navale nel 2009: “In canoa sfido quello che ero prima e lo batto”
LIVORNO. Voleva l’acqua e se l’è presa. Comunque. Fa niente se lo ha fatto senza sentire più le gambe o senza indossare la divisa di ufficiale dell’Accademia Navale. Invece di una nave gli è bastata una canoa polinesiana per andare alla ricerca della felicità. E alla fine trovarla, anche più forte di quella che aveva conosciuto in passato.
Da aspirante guardiamarina, futuro navigatore dei settemari, ad aspirante olimpionico di paracanoa dall’altra parte del mondo, a Rio 2016, a caccia di una medaglia. Il suo sogno Pier Alberto Buccoliero, 26 anni, nato a Sava, provincia di Taranto, ma cittadino della Toscana da anni, lo sta prendendo a pagaiate. Il primo colpo l’ha dato il giorno dopo il volo di sei metri da un lucernaio dentro all’Accademia Navale di Livorno che lo ha paralizzato dal bacino in giù: «Di quella notte ricordo solo il dolore, fortissimo e il fatto che non sentissi più le gambe. Tutto il resto è svanito subito», racconta al termine dell’allenamento quotidiano nella palestra della Canottieri comunali Firenze, società per la quale gareggia.
Quando ha riaperto gli occhi, era il 23 gennaio del 2009, era sdraiato in un letto di ospedale e avrebbe potuto fare l’invalido: congedato dalla divisa e dalla vita. «Non sono mai stato uno sportivo prima di allora – ammette – in Accademia il comandante mi chiedeva spesso se la mia disciplina fosse quella del lancio di coriandoli. È stata una sfida personale: volermi mettermi in gioco per vedere fino a che punto potessi fare cose che prima dell’incidente non sarei mai stato capace di fare. Volevo superare l’altro me stesso. Volevo essere migliore di quello che ero prima».
Comincia con una sfida personale la seconda vita sull’acqua di Alberto. «Per due anni ho fatto canottaggio ma nonostante gli sforzi non sono mai riuscito ad avere una maglia da titolare in nazionale. Così sono passato alla paracanoa: all’inizio gareggiavo nel kajak, in una categoria di disabilità di mezzo, poi quando ho visto gli standard di qualificazione per le parolimpiadi, sono passato al “Va’a”, un tipo di armo polinesiano senza timone, una sorta di “canadese” per i normodotati».
Lo scorso anno al debutto in questa categoria Alberto ha vinto sia gli Europei che i Mondiali. Due successi che gli hanno spalancato le porte verso il Brasile. «Le tappe per Rio sono complicate, quest’anno devono delinearsi gli standard per la qualificazione che saranno decisi entro febbraio. Poi a maggio ci saranno gli Europei, poi una tappa di Coppa del Mondo e infine i Mondiali a metà agosto all’Idroscalo, dove giocherò in casa. È attorno a queste tre competizioni che si deciderà la qualificazione. Da parte mia posso solo dire che darò il tutto per tutto in questi Mondiali».
Dici disabilità, olimpiadi e pensi a due nomi e a due destini che hanno fatto la storia dello sport per disabili: Oscar Pistorius e Alex Zanardi. «Pistorius è e sarà sempre un atleta parolimpico che resterà nella storia. Quello che gli è capitato fuori dalla pista è un’altra cosa. Pensate cosa significa qualificarsi con i normodotati in una Olimpiade: una cosa riuscita a pochissimi. Zanardi pure lui ha fatto cose incredibili, l’ironam completato è un’impresa straordinaria».
Tutti e due hanno qualcosa in Comune con Alberto, non essendo toscani hanno scelto la nostra regione: Pistorius si è allenato per anni a Grosseto, Zanardi è di casa a Castiglion della Pescaia. «La Toscana mi ha offerto molto – dice – soprattutto la possibilità di fare lo sport a un livello di élite. Difficilmente in altre società avrei potuto raggiungere gli stessi risultati». Prestazioni che lo hanno portato ad essere inserito nella lista dei dieci finalisti per il “Pegaso d’oro”, la massima onorificenza sportiva della Regione.
«Negli ultimi due anni – sorride – ho preso due pegasini di consolazione, spero che quest’anno sia l’anno giusto. Devo dire però che sono in lizza con gente di grande livello e con avversari così a perdere non ci resto male. Ma state sicuri che se non sarà per questa volta ci riproverò».
Alberto a forza di pagaiare ha scoperto anche una filosofia nuova, quella del campione. «Non pretendo di arrivare sempre primo – insiste – so che è più difficile rimanere in vetta che scalarla. Da campione del mondo è tutto più duro, ti fai tante domande: sto facendo del mio meglio? Posso fare di più? Ora spero solo di andare a Rio, poi penserò a studiare e a laurearmi in Scienze motorie. Ma comunque andrà a finire so che sono migliore e più felice di quando sentivo le gambe. Perché ho capito che nel mondo di oggi ci si affatica a pensare a un milione di cose e solo quando ti succede qualcosa di grave capisci quello che è davvero importante».
Federico Lazzotti
FONTE
iltirreno.gelocal.it