Lettera aperta al Direttore … Si stava meglio quando si stava peggio?
Italia, declino inevitabile: dove andremo a finire?. Lettera dello scrittore Antonio Giangrande al nostro giornale
Sig. Direttore, chi meglio di un giornalista come lei può dare una risposta esauriente.
A leggere i giornali od a seguire i Tele Giornali o i talk show in tv cerco di carpire qualche notizia che parli di me: di me cittadino. Cerco qualcuno che parli dei miei problemi.
La pagina politica parla delle solite promesse, dei soliti sprechi e dei soliti privilegi.
La pagina della giustizia parla dei soliti morti, dei soliti arresti e delle solite condanne, oltre che della solita mafia: una rassegna dei successi di magistrati e forze dell’ordine, insomma.
La pagina degli esteri parla delle solite guerre e dei soliti cattivi da eliminare.
La pagina finanziaria parla di default, tasse e soldi per lo Stato che non bastano mai e della ovvia evasione fiscale dei soliti ricchi.
Per lo spettacolo e lo sport la solita rassegna di pettegolezzi di star e starlette senza arte né parte.
A parer dei media sembra che la vita scorra monotona lungo questi binari, salvo qualche problema che, però, a parer dei lettori e telespettatori, appare colpire solo gli altri.
Ma non è così. A spulciare nelle notizie, c’è tutta una quotidianità di cui nessuno parla: la lotta alla sopravvivenza delle famiglie italiane nella assoluta solitudine e nel generale sottaciuto abbandono.
Chi ha qualche anno di vita, (chi troppi, chi pochi) ricorda che:
prima il potere era del popolo: oggi non più, il potere è delle mafie, delle caste, delle lobbies e delle massonerie deviate;
prima c’era meno illegalità, meno obblighi, meno sanzioni e c’erano meno leggi da rispettare, specie quelle a carattere emergenziale: oggi anche un giurista insigne pecca di ignoranza giuridica;
prima nel nome della legalità c’era meno illegalità ed iniquità: oggi l’ingiustizia abbonda e gli abusi di potere strabordano;
prima c’era più rispetto e credibilità negli anziani, nei magistrati e nelle istituzioni: oggi non ci sono più esempi degni da seguire e non abbiamo stima nemmeno per noi stessi;
prima pur con tangentopoli, c’era meno ladrocinio e le mafie non avevano invaso l’Italia: oggi la corruzione e l’abuso di potere è la normalità e la mafia è dappertutto;
prima l’usuraio era l’amico: oggi non più, usuraio è lo Stato o le banche;
prima si pagava un decimo di tributi rispetto ad oggi e si otteneva 10 volte tanto in termini di servizi;
prima nella disgrazia potevi parlare con il politico che votavi ed il minimo che succedeva era che ti ascoltava ed il favore lecito, spesso, ci scappava: oggi non è più così, perché i politici sono tutti degli emeriti sconosciuti e se ti rapporti con loro disattendono il loro mandato;
prima nell’errore speravi nella coscienza delle istituzioni e tutto si aggiustava secondo equità: oggi non è più così, perché più che il principiò di legalità vale l’interesse estremo a punire, per salvaguardia finanziaria del proprio status di sanzionatore;
prima c’era più Empatia, ci si metteva nei panni dell’altro, si condividevano sentimenti, emozioni e sofferenze: oggi non più, c’è più Dispatia, ovvero l’incapacità o il rifiuto di condividere i sentimenti o le sofferenze altrui, ovvero più c’è più Alessitimia, ossia il disturbo specifico nelle funzioni affettive e simboliche che spesso rende sterile e incolore lo stile comunicativo delle persone;
prima nell’avversità c’era qualcuno che pubblicamente denunciava sui giornali la tua questione: oggi la notizia è omologata nella censura e se, al contrario, è resa pubblica, lo scandalo non produce effetti;
prima nell’avversità c’era una famiglia, spesso numerosa e con genitori pensionati, che ti sosteneva: oggi siamo soli nell’indifferenza, nell’indisponenza, nell’insofferenza e gli anziani non hanno più figli al capezzale ma solo badanti straniere;
prima si era più ricchi di affetti e di beni materiali: oggi amici non ne hai ed i parenti meglio non averli e se hai un bene materiale te lo toglie la criminalità o lo Stato;
prima nel bisogno il lavoro era tutelato e comunque si trovava, anche negli uffici di collocamento, o addirittura anche a nero o sottopagato: oggi non più assolutamente, nonostante i centri per l’impiego e le agenzie interinali;
prima a veder un clandestino era un’eccezione, oggi è la regola;
prima gli unici ad essere discriminati erano i meridionali: oggi si discrimina tutto e tutti e si uccide per questo (religione, razza, sesso, ideologia politica, tifo sportivo, gusti sessuali, ecc.);
prima si era più sinceri e diretti: oggi si è politicamente corretti, perbenisti e buonisti, ossia più demagoghi, utopistici, falsi e bugiardi;
prima nell’intraprendenza l’agricoltura, l’allevamento, la pesca, nonostante i disastri meteorologici, erano attività in cui si riusciva ad andare avanti: oggi le campagne sono abbandonate, troppi, cavilli, oneri e spese;
prima nel rischio le imprese, grandi o piccole, riuscivano a produrre reddito: oggi non più, perché sono vessate dallo Stato da controlli, oneri, cavilli e balzelli e tributi e comunque da questo Stato non tutelate dalla competitività estera, o taglieggiate dalla criminalità, o sequestrate e portate al fallimento dallo stesso Stato perché accusate di essere colluse con la criminalità, o, seppur operanti da decenni, chiuse ora perché inquinanti;
prima le professioni si potevano esercitare: oggi non più, perché hanno chiuso gli ospedali ed i tribunali ed impediscono di esercitare. Prendiamo per esempio la professione di avvocato. Hanno chiuso moltissimi tribunali. Hanno impedito la tutela legale per i sinistri stradali e le sanzioni amministrative. Settori utili per i neo professionisti. Non sono certo, però, diminuite, come promesso, le polizze assicurative. Hanno eliminato di fatto il gratuito patrocinio, con condanne inevitabili per gli indigenti, ed in generale il ricorso all’autorità giudiziaria, con il contributo unico unificato elevato. Tra Giudici onorari di Tribunale, Giudici di Pace, Conciliazione obbligatoria e Negoziazione assistita hanno eliminato quasi tutto il lavoro dei magistrati togati, impegnati come sono a fare esclusivamente politica, ma la lentezza della giustizia è rimasta. Hanno imposto ai giovani avvocati in tempo di crisi l’iscrizione alla Cassa Forense ed imposto in tempo di vacche magre l’esercizio della professione legale in maniera continuativa e prevalente. Ecco i punti fissati dal Governo:
a) la titolarità di una partita Iva;
b) l’uso di locali e di almeno un’utenza telefonica destinati allo svolgimento dell’attività professionale, anche in forma collettiva (associazione professionale, società professionale, associazione di studio con altri colleghi);
c) la trattazione di almeno 5 affari per ogni anno dei 3 presi in considerazione, anche se l’incarico è stato inizialmente conferito ad altro legale;
d) la titolarità di un indirizzo Pec comunicato al Consiglio dell’ordine;
e) l’avere assolto l’obbligo di aggiornamento professionale secondo modalità e condizioni stabilite dal Cnf;
f)la stipula di una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile che deriva dall’esercizio della professione;
g)la corresponsione dei contributi annuali dovuti al Consiglio dell’ordine;
h) il pagamento delle quote alla Cassa di previdenza forense.
Sig. direttore, lei, meglio di me, sa che prima si poteva criticare e protestare: oggi non più perché abbiamo un bavaglio. Tra la legge sulla privacy e lo spauracchio delle norme penali sulla diffamazione tutto ciò è impedito.
Oggi non puoi nemmeno recriminare con una imprecazione: “Italia di Merda” perchè segue una condanna certa.
Allora sig. direttore…si stava meglio quando si stava peggio? E dove andremo a finire? E comunque, per gli italiani perché non vale la teoria sull’evoluzione migliorativa naturale della specie?
Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
www.controtuttelemafie.it e www.telewebitalia.eu
099.9708396 – 328.9163996