Amarcord. SAVA. Bruno Campa, la maschera dei cinematografi savesi

Amarcord. SAVA. Bruno Campa, la maschera dei cinematografi savesi

Una figura imponente, metteva a tacere la nostra effervescenza giovanile

Ci sono persone, nel nostro paese, che hanno segnato la nostra adolescenza. Figure senza carisma particolare ma che avevano dalla loro quello sguardo che ti metteva subito a sedere. E questo era Bruno Campa (Cuculoni), famosissima maschera dei Cinema savesi. Aveva lavorato in tutti i Cinema. Dal Miccoli al Moderno, dall’Arena Giardino al Cinema Vittoria. Insomma, era l’uomo che le proprietà delle sale mettevano nella sala a calmare, o a smorzare, chi recava fastidio agli altri. E Campa ci riusciva. E di che maniera pure.

Da piccoli, oggi che abbiamo superato alla grande i 50 anni, ha seguito i nostri sogni: dai cowboy ai film di karatè, fino ai film a luci rosse. E lui era sempre lì, con quel suo sguardo non particolarmente minaccioso ma alla sola idea di puntarti gli occhi addosso ti faceva sentire piccolo piccolo. Molto più piccolo, anche dell’età che allora avevamo. Rannicchiati nelle sedie dei Cinema savesi (allora erano fatte di legno a fasce strette) ci toglieva quasi il respiro. E di rimando, era pronto il nostro silenzio con rossore del viso compreso.

Ma quest’ultimo non si vedeva al buio! Nell’intervallo poi tornava e ci riguardava. E noi, ennesimamente piccoli piccoli! Bruno Campa era l’omaccione che le proprietà dei cinema del nostro paese avevano quasi come un cane da guardia, il quale doveva difendere all’interno della sala cinematografia, il silenzio e il rispetto per gli altri che avevano pagato il biglietto e che volevano vedersi il sacrosanto film in pace. E Campa garantiva questo. Quando lo incontravamo per strada, lui e la sua immancabile bicicletta, avevamo paura che potesse riconoscere qualcuno di noi che, quanto a tranquillità nei Cinema, lasciava a desiderare. Questo era Bruno.

E all’ondata di film del genere sexi degli anni ’70 del tipo, copioso, “Decamerone 1” e poi 2  e poi 3 e via seguire con il 4, ci vedeva lì davanti al portone dei cinema e lui era categorico: “Non è film per voi. Aria”. E non ammetteva tolleranza. Niente. “Siete troppo piccoli. Tornate a casa”. Invidiavamo quelli più grandi di noi che, dal punto di vista anagrafico, potevano avere il libero accesso alla visione di tette, culi e pubi femminili! Troppo piccoli, anche se avvertivamo la curiosità morbosa della conoscenza del corpo femminile al nudo. Era l’inizio degli anni ’70.

Con il tempo siamo cresciuti, ci siamo fatti grandi, anagraficamente, e quando lo incontravamo Bruno Campa ci compariva il sorriso sulle labbra. “Bruno?” E lui “Salute!” era questo il ricambio al saluto. A volte lo guardavo attentamente e non mi metteva più paura. Mi dicevo: quanti sogni ha accompagnato quest’uomo. Quante passioni ha seguito nelle sale cinematografiche del paese. Quanti sogni sono passati in quelle sale.

Tantissime coppie di innamorati hanno incentivato il loro amore alla visione di film d’amore, tante famiglie, tantissimi giovani baldanzosi hanno lasciato il segno del loro passaggio sotto il rigido controllo di Bruno Campa. E infine noi, giovani frizzanti che alla sola idea di vederci puntare gli occhi di Bruno Campa cambiavamo il nostro comportamento.

Ciao Bruno … non è che arrivato nell’ipotetico azzurro del cielo ti metti a intimorire gli angioletti impertinenti nel cinema dell’Eden?  

Giovanni Caforio







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