PRIMO MAGGIO A TARANTO: L’EDITORIALE DI MARCO TRAVAGLIO IN EVIDENZA
Era Marco Travaglio l’ospite d’eccezione dell’uno maggio di Taranto, “un colpaccio” come ha più volte affermato il direttore artistico Michele Riondino. Invitato dal Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, il direttore del Fatto Quotidiano ha raccontato l’evoluzione dei sette decreti “Salva Ilva” per Taranto
«A Taranto succede che la politica decide di farne una specie di discarica d’Italia buttandoci l’Italsider, l’Eni e tutte le fonti più inquinanti. Per decenni nessuno fa nulla: i giornali non denunciano perché son pagati con la pubblicità; i politici non parlano perché sono pagati dai proprietari delle aziende che finanziano le loro campagne elettorali; i magistrati negli anni 60 e 70 erano soliti voltarsi dall’altra parte e applicare solo una parte del codice pensale». Inizia così l’editoriale di Marco Travaglia sull’Ilva e su Taranto.
«Le cose cambiano nel 2010 quando il numero dei malati di tumore a causa dell’inquinamento diventa talmente clamoroso che la magistratura inizia ad indagare. – prosegue e la città lo segue con entusiasmo- La risposta della politica è il primo decreto Salva Ilva, sotto il Governo Berlusconi, con la ministra Prestigiacomo».
Con il primo decreto, in sostanza, «si alza il livello di benzoapirene per consentire all’Ilva di continuare ad ammazzare». Nel 2012, parte ufficialmente l’inchiesta “Ambiente Svenduto” della Procura di Taranto, con il procuratore Franco Sebastio, «un uomo coraggioso che va ricordato». Si chiede il sequestro dell’area a caldo degli stabilimenti dell’Ilva. Il giudice per le indagini preliminari è Patrizia Todisco, «una donna anche lei coraggiosissima, che concede e dispone il sequestro della fabbrica».
Da quel momento in poi, «si scatenano attacchi forsennati contro i magistrati da parte di politici di destra, di centro e di sinistra, e dei giornali, tutti in qualche modo finanziati dalla famiglia Riva». Nel 2012, sotto il Governo Monti, viene emenato il secondo deccreto Salva Ilva, «anche se in realtà sono salva Riva, salva padroni, non salva operai e cittadini». Questo decreto «lo scrivono insieme il ministro dell’ambiente, lo so che è un ossimoro, Corrado Clini, poi finito in galera (perché per fortuna poi ci finiscono questi signori) per corruzione, e la ministra della giustizia Paola Severino».
La norma stanzia «la miseria di 300 milioni per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio, quando tutti sanno che non bastano 10 miliardi per fare la bonifica. Una presa in giro, che serve come zuccherino per indorare la pillola del terzo decreto che di fatto straccia il provvedimento di sequestro dei giudici». Si stabilisce infatti, «che l’Ilva può fottersene dei provvedimenti e continuare a produrre per i successivi tre anni in attesa della nuova Aia».
È un decreto, che «legalizza l’omicidio e l’inquinamento; da licenza di uccidere ai proprietari dell’Ilva». Poi al Governo si è insediato il centrosinistra con Enrico Letta che emana il quarto decreto Salva Ilva, firmato dal ministro della giustizia Orlando. Viene nominato commissario dell’Ilva, Enrico Bondi, lo stesso in un rapporto scrive che «l’abnormità del numero dei tumori è dovuta a certe strane usanze che ha la popolazione di Taranto: che beve troppo alcolici, fuma troppe sigarette ed è troppa povera».
Con Letta c’è anche il quinto decreto, con il quale «si può aumentare il capitale dell’Ilva coi soldi dei Riva, ricorrendo se necessario ad investitori esterni, oppure utilizzare il miliardo trovato in Svizzera e sequestrato». Niente di più falso, perché «la confisca potrà avvenire solo se i Riva saranno condannati in via definitva. Questo miliardo, perciò, non potrà mai essere utilizzato per bonificare l’Ilva».
Enrico Letta emana anche il sesto decreto sottoforma di emendamento al precedente, per lo smaltimento dei rifiuti. Poi nel 2014 arriva Matteo Renzi, che alla vigilia del Natale prepara il settimo decreto Salva Ilva, che lui chiama “Salva bimbi”.In questo, si dichiara che l’Ilva va in amministrazione controllata; che il commissario è Gnudi e che per rispettare le prescrizioni Aia ci sono altri mesi di proroga, «durante i quali si continuerà ad avvelenare l’ambiente, gli animali e gli abitanti» e delle 95 prescrizioni si potrà togliere circa il 20% «ovvero gli interventi più urgenti e costosi». In più, «i commessari potranno commettere reati senza risponderne alla magistratura».
Travaglio poi, ricorda i politici «che prendono i soldi dall’Ilva e non li hanno ancora restituti».
Oltre alla Prestigiacomo e a Bersani, è stato citato l’onorevole Vico «un parlamentare di cui ci eravamo liberati perché il primo dei non eletti ma con le dimissioni del ministro Bray ora, Vico è tornato in Parlamento, nonostante fosse stato intercettato». Non si dimentica di menzionare nemmeno i sindacati «che si sono beccati 9 milioni a rata di 400 mila euro all’anno».
Tuttavia, ci sono anche i politici onesti, «che fanno politica davvero, possibilmente gratis, come per esempio gli ambientalisti come Bonelli, che denunciano gli scempi contro la vita delle persone». A fronte di ciò non tutti in città, hanno chiuso la bocca. Molti giornalisti hanno invece fatto il loro lavoro egregiamente. Il riferimento è a Luigi Abbate «un giornalista importuno che contrariamente a quanto fa la stampa nazionale, dopo aver rivolto domande scomode ad Emilio Riva, è stato allontanato da Archinà che gli ha strappato il microfono».
Marco Travaglio ha concluso il suo intervento, con una breve ricostruzione sui sindaci che hanno amministrato la città di Taranto, a cominciare da Giancarlo Cito «il padrone di Taranto per tanti anni, fino a quando non è stato arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa».
Poi è stata la volta di Rossana Di Bello, «che ha certificato il fallimento della città di Taranto, con 900mila euro di buco finanziario».
Adesso la città è amministrata dal sindaco Ippazio Stefàno, «quello con la pistola, l’amico di Nichi Vendola».
Insomma, la città di Taranto li ha provati tutti, «ma ne avesse trovato uno buono».
A detta del direttore Travaglio, «questa carrellata basta e avanzi per poter dire che Taranto e tutti voi tarantini meritate la medaglia d’oro alla resistenza».
Emanuela Perrone
FONTE
cronachetarantine.it