Ilva di Taranto, il gip spedisce il decreto alla Consulta: “Viola 6 articoli della Carta”

Ilva di Taranto, il gip spedisce il decreto alla Consulta: “Viola 6 articoli della Carta”

Il giudice accoglie la richiesta della Procura sulla questione di legittimità delle norme approvate dal governo Renzi: “C’è una siderale divergenza” rispetto ai principi costituzionali. Sarebbero violati, tra gli altri, secondo il magistrato, i diritti inviolabili dell’uomo

L’ottavo decreto Salva Ilva varato dal governo Renzi il 4 luglio viola ben 6 articoli della Costituzione. È quanto sostiene il gip di Taranto Martino Rosati che, su richiesta della Procura, ha sollevato la questione di legittimità dinanzi alla Consulta non lesinando una serie di “censure” all’operato dell’esecutivo che ha varato un provvedimento per scongiurare il sequestro dell’Altoforno 2, l’impianto nel quale ha perso la vita l’operaio Alessandro Morricella, e il conseguente fermo dell’intera fabbrica.

Secondo il giudice Rosati il nuovo provvedimento collide con sei articoli tra i quali l’articolo 2 e 4 della Costituzione. L’articolo 2 della Costituzione impegna lo Stato a garantire i diritti inviolabili dell’uomo, ma il nuovo decreto consente “l’esercizio dell’attività d’impresa – scrive il giudice – pur in presenza di impianti pericolosi per la vita o l’incolumità umana senza pretendere dall’azienda l’adeguamento degli stessi alle più avanzate tecnologie di sicurezza”.

Il magistrato, inoltre, ha sottolineato che vi sono “dubbi di legittimità” anche rispetto all’articolo 4 della Costituzione che “riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”: ma la nuova norma varata dal Consiglio dei ministri avrebbe dovuto tener conto del principio per cui il diritto al lavoro non è da intendersi come “un’attività lavorativa, quale che essa sia e quali che siano le condizioni in cui la stessa si svolga”, ma anzi proprio quel diritto “impone, in primo luogo e quale presupposto essenziale e inderogabile, che il lavoratore operi in condizioni di massima sicurezza”. 

L’Altoforno 2, invece, anche per ammissione della stessa Ilva è priva di una serie di dispositivi di sicurezza che mettono a rischio l’attività dei lavoratori come dimostrato anche da un altro evento anomalo che si è verificato pochi giorni dopo l’incidente che ha ucciso il 35enne tarantino.

Ma a queste violazioni, inoltre, vanno aggiunte una serie di lacune che secondo il gip di Taranto sono presenti nel provvedimento del Governo varato “in tutta fretta” solo con l’obiettivo di “neutralizzare gli effetti del sequestro dell’altoforno Afo 2 della stabilimento”.

La norma prevede che in presenza di sequestro gli stabilimenti di interesse strategico nazionale possano continuare a produrre anche se gli impianti non rispettano le norme di sicurezza semplicemente presentando entro 30 giorni di tempo un piano di interventi e possono operare per 12 mesi in attesa di adeguarsi a quel piano. Il decreto 92, per il giudice Rosati, presenta una “siderale divergenza” rispetto ai vari principi costituzionali che solo una serie di emendamenti del Parlamento in fase di conversione in legge può ridurre. Una norma, quindi, frutto della fretta che contiene uno “sbrigativo” richiamo alla precedente legge che autorizzava Ilva a produrre acciaio in attesa di adeguarsi alle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale pur continuando a diffondere emissioni nocive per la salute degli operai e dei cittadini di Taranto.

Ma è proprio nel raffronto con quella normativa che il gip Rosati ha puntato il dito contro l’operato dell’esecutivo spiegando che quest’ultimo decreto che riguarda la sicurezza dei lavoratori a differenza del precedente che invece riguardava le violazioni ambientali non contiene alcuna sanzione per la fabbrica. Non solo.

Il piano di interventi dovrebbe essere presentato a vigili del fuoco, Inail e Asl “senza nessuna forma di controllo”. Per il magistrato, quindi, potrebbe verificarsi che il decreto “risulterebbe rispettato, con conseguente diritto alla prosecuzione dell’attività produttiva” anche in presenza di misure di intervento inadeguate o insufficienti. 

“È oggi consentito per legge” conclude il giudice tarantino “che un’azienda, se d’interesse strategico nazionale, possa continuare a svolgere la propria attività anche quando tale esercizio sia suscettibile di aggravare o protrarre le conseguenze di un reato, se non addirittura costituisca esso stesso reato, e che ciò essa possa fare per un anno, soltanto limitandosi a predisporre e comunicare un piano di interventi ad alcuni enti pubblici, che non possono nemmeno sindacarne contenuti ed attuazione”.

Per la seconda volta nel giro di tre anni, quindi, sarà la Corte Costituzionale a dover decidere sulla legittimità di una legge scritta su misura per l’Ilva. Ora resta da capire quali saranno le mosse dell’azienda dato che la sospensione disposta dal gip non consente di utilizzare l’altoforno sequestrato fino a quando non si sarà pronunciata la Consulta.

L’Ilva, quindi, resterebbe solo con l’altoforno 4 che, però, non può funzionare da solo dato che non produrre sufficienti gas che vengono riciclati per mantenere attiva la centrale della fabbrica. E c’è già chi sostiene che il Governo potrebbe varare modificare il decreto per consentire alla fabbrica di utilizzare quell’impianto anche prima della decisione dei giudici delle leggi.

Francesco Casula

FONTE

ilfattoquotidiano.it

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