TARANTO. “A proposito dell’efferato duplice omicidio (parricidio e uxoricidio) e poi suicida Luigi Alfarano”

TARANTO. “A proposito dell’efferato duplice omicidio (parricidio e uxoricidio) e poi suicida Luigi Alfarano”

Nota stampa di Giuseppe Malatesta, coordinatore del circolo UAAR (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti) di Taranto

Gentile redazione, Vi scrivo per  esprimere alcune riflessioni sui fatti che hanno coinvolto i rappresentanti dell’ANT di Taranto e in particolare la Presidente, Maria  Letizia Zavatta Prete, e suo figlio Luigi Alfarano, coordinatore delle attività promozionali, autore dell’efferato duplice omicidio (parricidio e uxoricidio) e poi suicida.

Le nostre perplessità riguardano prima di tutto l’aspetto relativo alla funzione religiosa che non critichiamo a prescindere, come sarebbe facile aspettarsi da un’associazione di non credenti, in quanto chi professa una qualsiasi religione ha diritto di ricevere l’estremo saluto secondo i propri precetti. Tuttavia riteniamo offensive ed immorali le modalità con cui è stata condotta la cerimonia funebre.

Lo “spettacolo” messo in opera da padre Tonino Maria Nisi, che ha officiato la messa nella chiesa San Pasquale di Taranto, ci sembra oltreché assurdo, assolutamente fuori luogo, in quanto Luigi Alfarano, il pluriomicida, ha avuto comportamenti tali che contraddicono la vocazione cristiana; quindi siamo davanti a “peccatori manifesti, ai quali non è possibile concedere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli” (canone 1184, §1 del codice di diritto canonico), anche perché Alfarano si è ucciso e questo avrebbe dovuto essere un motivo in più per negare le esequie religiose come spesso avviene per altri suicidi.

Padre Tonino Nisi è andato ben oltre tutto questo: ha sostenuto che Luigi, per il lavoro che faceva, aveva tutte le carte in regola per poter entrare in Paradiso e forse per questo che ha invitato i fedeli all’applauso dell’omicida suicida. Insomma ha disegnato un quadretto di questa “splendida” famiglia (come da lui dichiarato) persino migliore di una soap-opera in cui vedeva, a suo dire, mano nella mano i coniugi e il figlioletto tra le braccia incamminarsi verso il paradiso!

Si può consentire ad un uomo ed a un ministro di culto di minimizzare un fatto di questa gravità? Ci chiediamo perché, tante altre persone, non hanno avuto lo stesso trattamento o addirittura sono state discriminate, pur non essendosi macchiate di nessun delitto?

Il nostro pensiero va, ad esempio, a Piergiorgio Welby che ha soltanto voluto porre fine ad una vita fatta di sofferenze per lui ed i suoi cari. Oppure a Peppino Englaro che per l’eutanasia legale per sua figlia è stato costretto ad andare in Svizzera giacché in Italia gli è stato impedito, sebbene le sue ragioni fossero state riconosciute da una sentenza della Suprema Corte di Cassazione.

Ma andiamo oltre, lo stesso autore della strage familiare, in passato non era stato proprio una persona esemplare visto che aveva patteggiato (quindi ammettendo le sue responsabilità) una pena di 20 mesi di reclusione (con sospensione della pena e non menzione nel casellario giudiziario) per violenza privata e molestie sessuali ai danni di una diciannovenne, abusando del suo ruolo all’interno dell’ANT.

Un’associazione che, leggendo il suo codice etico, considera la vita umana un bene supremo, ha comprensione e solidarietà verso chi soffre e pratica l’umiltà.

Si consideri, inoltre, che quel ripugnante reato sessuale è stato consumato proprio nella villetta dove Alfarano ha ucciso suo figlio e se stesso.

Alfarano era il coordinatore delle attività promozionali dell’ANT, non un medico, ma le prime notizie della stampa, diffuse subito dopo l’accaduto, indicavano l’assassino come medico. Non solo: a causa della sua condanna, la madre, la sig.ra Zavatta, Presidente della stessa associazione, ha persino prodotto una relazione dell’ANT di Bologna, sulle qualità del figlio per tentare di alleggerire l’accusa, mentre nessuna parola di conforto (come vorrebbe il codice etico dell’ANT) ha speso nei confronti della ragazza abusata.

Ci si sarebbe aspettato il licenziamento del responsabile o almeno un cambio di incarico, anche a tutela dell’immagine dell’ANT e dei suoi valori, invece nulla è accaduto e così, ancora una volta, il nepotismo sembra prevalere ai danni della meritocrazia.

Due anni dopo aver commesso un crimine abietto a danno di una donna giovanissima, Alfarano picchia e uccide un’altra giovane donna, sua moglie, poi spara suo figlio e se stesso.

Forse sbagliamo noi a pensar male, forse l’assassino suicida è proprio lui la vittima del fato o meglio, secondo la tesi proposta dalla psicoterapeuta e analista transazionale Dora Schinaia riportata sulla La Gazzetta del Mezzogiorno del 12 giugno 2016, il demone è dentro ognuno di noi, metterlo fuori o no, dipende da come ci è stato  insegnato a scegliere la vita piuttosto che la morte”.

Forse si voleva appoggiare la spiegazione  religiosa data da padre Tonino Nisi all’omelia, quando ha affermato “che il diavolo che ci ha messo la coda”, ma è un’analisi che sembra uscita dalle labbra di una sacerdotessa vecchio stampo o da un commento popolare del medioevo.

L’Ordine degli Psicologi potrebbe avere qualche obiezione su questa tesi che ricorda più il VII cerchio dell’inferno di Dante che non i manuali scientifici dell’ultimo secolo. Comunque, consci che il codice penale non configura il concorso in omicidio per “il demone” dentro di noi, abbiamo chiesto alla dott.ssa Paola Pagano, psicologa, un commento sulla prospettazione della dott.ssa Schinaia.

A fronte di una richiesta di separazione, un uomo uccide la moglie, il figlio e poi se stesso. Si interpella la psicologia per aiutare a comprendere questa drammatica vicenda che ha sconvolto l’opinione pubblica lasciando tutti attoniti.

Nel parere della psicoterapeuta ci confrontiamo con due questioni complesse, non scontate: il riferimento al demone che sembra evocare metaforicamente il male e il richiamo al Vangelo, utilizzato come evocazione della relazione terapeutica.

Nel riferimento al demone si può rintracciare il concetto di daimon rispetto al quale vi sono interessanti concettualizzazioni in letteratura che rimandano almeno a due ambiti differenti: da un lato, la storia delle religioni e delle credenze popolari, dall’altro, la psicologia.

Più avanti si afferma che “il Vangelo è il primo libro, e Gesù è il primo terapeuta”. Nel Vangelo, Gesù assume la funzione del predicatore e, attraverso i miracoli, quella del guaritore, entrambe molto distanti dalla quella psicoterapeutica, laddove lo stesso concetto di guarigione è utilizzato solo come metafora. Il Vangelo, per quanto sia un testo affascinante, non fornisce categorie psicologiche utili a comprendere la vicenda in questione.

Pertanto si ricorre a metafore, emozionalmente  suggestive, ma poco utili a rendere comprensibile quanto è accaduto. Le evocazioni generano una confusione tra psicologia e religione che non consente di dare senso ad una vicenda così drammatica, né a capire quali complesse dinamiche emozionali organizzavano i rapporti in quella famiglia e come mai quell’uomo è giunto a mettere in atto una distruttività tale da annientare in pochi istanti tre vite umane.

Si rimanda ad un problema di educazione familiare e scolastica, quasi a dire che i rapporti passati sono chiamati, quasi deterministicamente, a spiegare i rapporti presenti, ma questi ultimi, di fatto, restano non conosciuti.

È evidente che la fede potrebbe coprire ogni nefandezza, ma i crimini restano tali per credenti e non al di degli applausi, dei demoni che ci mettono la coda e della psicologia dantesca”.

viv@voce

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