MANDURIA. Verdi. “DOCUMENTO PER IL ‘NO’ NEL REFERENDUM SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE E SULLA CONNESSA LEGGE ELETTORALE”
Nota stampa dei Verdi messapici
I Verdi italiani che sottoscrivono il presente documento ritengono sbagliato e inaccettabile che il referendum sulla riforma costituzionale, previsto per il 4 dicembre 2016, venga tramutato in una sorta di plebiscito a favore del Presidente del Consiglio Renzi e del suo Governo. Qualunque sia il giudizio che qualunque forza politica e qualunque cittadino o cittadina abbia nei confronti del Governo Renzi, che può essere positivo o negativo o anche articolato rispetto ai singoli provvedimenti del suo programma, nel referendum deve prevalere esclusivamente il giudizio sull’insieme della riforma costituzionale approvata dalla maggioranza del Parlamento secondo le procedure previste dall’art. 138 della Costituzione.
Il quale art. 138 prevede anche la possibilità di promuovere un referendum (senza quorum di validità) su ogni legge di revisione costituzionale, qualora tale legge non sia stata approvata nell’ultima lettura da entrambe le Camere con i due terzi dei propri componenti. La riforma costituzionale è stata approvata con maggioranze di poco superiori al 50% e condizionate anche dagli effetti “drogati” determinati dalla legge elettorale “Porcellum”, poi dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale.
Il prossimo referendum è stato promosso tanto dalle forze politiche di opposizione, quanto dalle forze politiche di maggioranza: nel primo caso si tratta di un referendum “oppositivo” e nel secondo caso di un referendum “confermativo”, a seconda delle intenzioni politiche dei proponenti.
I Verdi che sottoscrivono il presente documento condividono la necessità del referendum, ma intendono esprimersi soltanto sulla materia costituzionale, e sulla strettamente connessa (anche se non sottoposta a referendum) legge elettorale per la Camera dei deputati (il cosiddetto “Italicum”), che ne costituisce il logico completamento, anche se si tratta di legge ordinaria e non di legge costituzionale.
Noi riteniamo che una riforma costituzionale non debba mai essere legata alle sorti di alcun Governo “pro tempore”, perché la Costituzione, anche se riformabile e riformata, è la legge fondamentale che riguarda tutti i cittadini e le cittadine e anche tutte le forze politiche, a prescindere dalle transeunti maggioranze politiche che sostengono di volta in volta uno specifico Governo, e deve avere la capacità e possibilità di una lunga durata e validità, al di là delle singole contingenze politiche.
Il popolo sovrano si è già pronunciato due volte con un referendum popolare su complesse riforme costituzionali. Nel 2001 il referendum ha confermato la riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione proposta dal centrosinistra, mentre nel 2006 il referendum ha bocciato la più ampia riforma costituzionale proposta dal centrodestra nel 2005.
Nel primo caso la riforma era stata votata dal Parlamento durante il Governo Amato e confermata nel referendum durante il Governo Berlusconi. Nel secondo caso la riforma era stata votata dal Parlamento durante il Governo Berlusconi ed era stata bocciata nel referendum durante il secondo Governo Prodi. In nessuno dei due casi precedenti, dunque, il pronunciamento referendario ha avuto alcuna ripercussione sulle sorti dei Governi in carica.
La riforma elettorale, approvata con ripetuti voti di fiducia ed entrata in vigore il 1° luglio 2016, è strettamente connessa alla riforma costituzionale pur se attualmente non sottoposta a referendum, mentre nel prossimo futuro, dopo il referendum, sarà sottoposta al giudizio della Corte costituzionale anche alla luce della sentenza n. 1 del 2014 sulla incostituzionalità di alcuni aspetti essenziali della precedente legge elettorale (il cosiddetto “Porcellum”). Noi riteniamo che l’”Italicum” sia una legge inaccettabile sotto diversi profili. In particolare riteniamo sbagliato:
che il premio di maggioranza possa essere dato anche a chi non ha raggiunto il 50% dei voti espressi e quindi non condividiamo il doppio turno, che permetterà di ottenere il premio di maggioranza anche sulla base del consenso di una ristretta minoranza di elettori (nell’attuale sistema tripolare e con i crescenti tassi di assenteismo, potrebbe realisticamente trattarsi anche solo del 20-25% degli aventi diritto al voto);
che sia esclusa la possibilità di formare coalizioni, come invece è previsto sia per le elezioni regionali che per le elezioni comunali, senza che questo abbia comportato problemi di governabilità a livello regionale e locale, permettendo anzi una più ampia rappresentatività e un più ampio pluralismo sia tra le forze di governo che tra quelle di opposizione;
che siano previsti i capilista bloccati decisi dalle segreterie dei partiti, senza possibilità per gli elettori e le elettrici di esprimere su di loro il voto di preferenza, e che per di più sia prevista per i capilista la possibilità di candidature plurime (fino a dieci!), mettendo in questo modo esclusivamente nelle mani dei segretari di ciascun partito la scelta verticistica e autocratica degli eletti, espropriando le elettrici e gli elettori di ogni possibilità di scelta e ritornando a realizzare conseguentemente una Camera dei deputati in grande prevalenza di “nominati” e non di eletti;
che tutto questo comporti di fatto una modificazione surrettizia della forma di Governo, arrivando ad una “democrazia di investitura” ed espropriando sostanzialmente il Presidente della Repubblica del potere di scegliere il Presidente del Consiglio incaricato, come previsto dalla Costituzione, arrivando invece ad una sorta di “investitura” obbligata al “capo” sulla base dei risultati consentiti dalla legge elettorale.
Per quanto riguarda la riforma costituzionale, riconosciamo che un giudizio analitico può far emergere sia luci che ombre, ma riteniamo che, nel suo insieme, si tratti di una riforma non condivisibile per il suo impianto complessivo. Tra gli aspetti positivi possono essere citati, ad esempio, la più rigorosa disciplina della decretazione d’urgenza (inflazionata in modo crescente anno dopo anno e ormai giunta a livelli inaccettabili anche col Governo Renzi) e la soppressione del CNEL, organismo ormai totalmente obsoleto per una classe politica, sindacale e imprenditoriale “a fine carriera”, divenuto irrilevante rispetto alle finalità originariamente immaginate (ma mai pienamente realizzate) per un simile organismo.
Tuttavia entrambi gli obiettivi avrebbero potuto essere raggiunti con singole leggi costituzionali “ad hoc”, che avrebbero realisticamente trovato il consenso della quasi totalità del Parlamento e comunque, in caso di vittoria dei NO nel referendum, potranno essere realizzati nel prossimo futuro appunto con singoli provvedimenti di natura costituzionale, anche nell’ambito temporale dell’attuale legislatura.
Tuttavia le ombre e gli aspetti critici della riforma prevalgono nettamente sui pochi aspetti positivi. Il superamento del bicameralismo perfetto o paritario, obiettivo pur condivisibile, è stato realizzato in modo confuso e pasticciato, sia sotto il profilo della composizione del futuro Senato, sia sotto il profilo delle sue competenze legislative e del suo rapporto con la Camera dei deputati e con il Governo.
Appaiono inaccettabili e contradditorie tanto le modalità di elezione indiretta, del resto demandate ad una futura legge ordinaria di cui non si conoscono le caratteristiche, quanto la sua natura politica: i futuri senatori rappresenterebbero le rispettive forze politiche e non certo i territori.
E per di più i cittadini e le cittadine sarebbero espropriati del loro potere sia di elettorato attivo che di elettorato passivo. Inoltre la ripartizione delle competenze legislative tra Camera e Senato è stata effettuata, con il nuovo art. 70, in modo talmente confuso e complesso, da rendere incomprensibile il testo alla grande maggioranza dei cittadini e da rendere probabili innumerevoli conflitti di competenza difficilmente risolubili se non ricorrendo alla Corte costituzionale.
Per quanto riguarda l’altro fondamentale aspetto della riforma, e cioè la modifica del Titolo V in materia di autonomie regionali, anziché individuare alcune limitate e specifiche correzioni rispetto alla riforma introdotta nel 2001 dalla maggioranza di centrosinistra e confermata dal referendum popolare, si è scelta la strada di un totale stravolgimento dell’impianto precedente.
Anziché arrivare ad una forma di federalismo o di regionalismo ben articolato ed equilibrato, si è arrivati ad una vera “controriforma” con una fortissima ricentralizzazione dei poteri in capo allo Stato, svuotando di poteri, competenze e responsabilità il sistema delle Regioni a Statuto ordinario, inserendo inoltre una “clausola di supremazia” e congelando invece gli effetti della riforma stessa per quanto riguarda le cinque Regioni a Statuto speciale. In questo modo si mette in discussione anche il dettato dell’art.5 della Costituzione, che ne è uno dei princìpi fondamentali.
Inoltre la riforma costituzionale triplica le firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare e riduce il quorum di validità per i referendum popolari solo a prezzo di un forte aumento (da 500.00 a 800.000) delle firme necessarie per la loro promozione, a fronte delle enormi difficoltà per la certificazione delle firme dei cittadini.
Complessivamente il combinato disposto del testo della riforma costituzionale e della complementare legge elettorale darebbe vita ad un assetto costituzionale e istituzionale fortemente squilibrato sul lato della presunta “governabilità” e a scapito della altrettanto essenziale, e fondamentale in democrazia, rappresentatività.
Non sarà la campagna demagogica e populista sui costi della politica a poter strumentalmente coprire gli squilibri politici e istituzionali, il surrettizio cambiamento della forma di Stato e della forma di Governo, le incoerenze e le numerose complicazioni del procedimento legislativo, le ripercussioni negative sul sistema delle garanzie costituzionali e dei “pesi e contrappesi”, che dovrebbero sempre caratterizzare una autentica democrazia politica e una democrazia costituzionale, quali erano state delineate dal disegno dei padri costituenti nella Costituzione vigente.
Per tutti questi motivi, i Verdi che sottoscrivono il presente documento decidono di prendere posizione per il NO nel referendum costituzionale, fermo restando che i referendum chiamano in causa in primo luogo il voto delle cittadine e dei cittadini nella loro autonomia di scelta, mentre il ruolo delle forze politiche dovrebbe essere principalmente di informazione e di orientamento verso il voto popolare.
In ogni caso, noi eviteremo di schierarci in organismi e comitati, pur legittimi, che perseguano il duplice obiettivo della vittoria dei NO nel referendum (obiettivo ovviamente da noi condiviso per le motivazioni indicate), ma anche della caduta del Governo Renzi. A livello nazionale e locale, noi parteciperemo liberamente a quei comitati per il NO che si caratterizzino esclusivamente per la presa di posizione critica, informata e motivata sul merito della riforma costituzionale e della connessa legge elettorale.
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, e con lui la Ministra Boschi, a nostro parere sbagliano radicalmente nel mettere sullo stesso piano l’esito del referendum del prossimo 4 dicembre e le sorti del Governo. Se il Governo dovesse dimettersi, sarà per sua autonoma e discutibile scelta, non per la volontà delle elettrici e degli elettori, che sono chiamati a pronunciarsi sul merito della riforma costituzionale e non sulla ipotizzata sconfitta del Governo.
In ogni caso, se per propria decisione cadesse il Governo Renzi, non ci sarà alcun obbligo o automatismo di scioglimento delle Camere, essendo questa una esclusiva responsabilità del Presidente della Repubblica, il quale, per dettato costituzionale, dovrà eventualmente o rinviare l’attuale Governo alle Camere (non avendo ricevuto da esse la sfiducia) oppure, dopo opportune consultazioni parlamentari, individuare un altro Presidente del Consiglio.
Se prevarranno i NO, è falso inoltre affermare che si chiuderà il capitolo delle riforme. È invece un capitolo che si potrà tempestivamente riaprire già in questa legislatura, sia per quanto riguarda le leggi elettorali per la Camera e il Senato, sia con singole modifiche costituzionali per le parti più largamente condivise e, nella prossima legislatura, con un Parlamento più democraticamente legittimato rispetto a quello espresso dal “Porcellum”, con la capacità di elaborare una riforma più equilibrata, più condivisa e più largamente partecipata.
Questo documento è stato presentato e discusso nel Consiglio Federale Nazionale e sottoscritto dalle seguenti Federazione Verdi regionali: TRENTINO, LOMBARDIA, EMILIA ROMAGNA, PIEMONTE, LIGURIA, VENETO, FRIULI VENEZIA GIULIA, TOSCANA, UMBRIA, LAZIO, PUGLIA, CALABRIA, BASILICATA, SICILIA, SARDEGNA. (Abruzzo e Molise non sono federazioni formalmente costituite)
Firmatari:
Marco Boato (esecutivo nazionale), Luana Zanella (esecutivo nazionale), Angelo Bonelli (esecutivo nazionale), Natale Ripamonti (esecutivo nazionale), Paolo Galletti (ececutivo nazionale), Lorenzo Lombardi (esecutivo nazionale), Sauro Turroni (supplente esecutivo nazionale), Fulvia Gravame (esecutivo nazionale), Elena Grandi (esecutivo nazionale), Elisa Romano (esecutivo nazionale), Isabella Rotolo (esecutivo nazionale), Lucia Coppola e Maurizio Migliarini (coportavoce Verdi Trentino), Giuseppe Deleonibus (supplente esecutivo nazionale), Francesco Alemanni (supplente esecutivo nazionale), Gianfranco Mascia (Verdi Roma), Daniele Mariani (portavoce Verdi Marche), Ferdinando Bonessio e Teresa De Chiara (coportavoce Verdi Lazio), Raffaella Spadaro (supplente esecutivo nazionale), Carmelo Sardegna (portavoce Verdi Sicilia), Cecilia De Bartholomaeis (supplente esecutivo nazionale), Giuseppe Patti (Verdi Sicilia), Mimmo Lomelo (Verdi Puglia), Lia Giribone (supplente esecutivo nazionale), Elisabetta Patelli e Aldo Guastafierro (Coportavoce Verdi Lombardia), Luca D’Achille (provincia Monza e Brianza), Giovanni Spedicati (Verdi Calabria), Gregorio Mariggiò (Verdi Puglia), Giuseppe Campana (Verdi Calabria), Enrico Fedrighini (Verdi Lombadia), Dino Barrera (Verdi Piemonte), Roberto Copparoni (Verdi Sardegna), Rinaldo Sidoli (Verdi Lazio), Simona Simonetti (Verdi Liguria), Carmelo Alberto D’Addese (Verdi Emilia Romagna), Adelaide Conti (Verdi Sicilia), Beatrice Grasselli (Verdi Emilia Romagna), Matteo Badiali (Verdi Emilia Romagna), Cesare Troia e Lavinia Torre (coportavoce Verdi Puglia), Giovanni Mussuto (Verdi Basilicata), Federazione Verdi Portici Alexander Langer (Campania), Giovanni Rea (Verdi Campania), Marilena Schiano Lomoriello (Verdi Campania), Sabrina Palladino (Verdi Campania), Giovanni Di Giacomo (Verdi Campania), Mario Nicola di Dio (Verdi Basilicata), Attilio Mura (Verdi Sardegna), Rossano Bibalo (Verdi Friuli), Stefano Grillo (Verdi Piemonte), Sergio Castagna (Verdi Piemonte), Stefano Di Blasi (Verdi Sicilia), Angelo Spanò (Verdi Liguria), Maria Pia Galletti (Verdi Emilia Romagna), Fernanda Useri (Verdi Emilia Romagna), Umberto Granocchia (Verdi Umbria), Daniele Terzoni (Verdi Toscana), Giulio Mucci (Verdi Toscana), Andrea Fusari (Verdi Toscana), Carlo Bastiani (Verdi Toscana), Luciana Alterini (Verdi Toscana), Fabrizio Geri (Verdi Toscana), Cristina Alterini (Verdi Toscana), Leonardo Bastiani (Verdi Toscana), Andrea Nebbiai (Verdi Toscana), Paola Ermini (Verdi Toscana), Roberto Nicoli (Verdi Toscana), Damiano Ghiozzi (Verdi Toscana), Giovanna Marangoni (Verdi Toscana), Giovanni Colao (Verdi Toscana), Serena Gallicani (Verdi Toscana), Cristina Remoli (Verdi Toscana), Stanislao Graziano (Verdi Toscana), Marino Sichi (Verdi Toscana), Daniele Bartolini (Verdi Toscana), Elisabetta Giromella (Verdi Toscana), Luigi Pavesi (Verdi Toscana), Doumont Anne (Verdi Toscana), Bontempi Maria Chiara (Verdi Toscana), Blosi Amerigo (Verdi Toscana), 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