Migranti e Bonus bebè: INPS discriminando lo nega, Tribunale di Milano ordina “Hanno diritto come le italiane anche le extracomunitarie che hanno un permesso per lavorare”

Migranti e Bonus bebè: INPS discriminando lo nega, Tribunale di Milano ordina “Hanno diritto come le italiane anche le extracomunitarie che hanno un permesso per lavorare”

Discriminatorio lo stop deciso dall’Inps perché l’assegno di natalità costituisce una prestazione di sicurezza sociale secondo i principi eurounitari: va applicato il principio di parità di trattamento

Il Tribunale di Milano accoglie il ricorso di una mamma extracomunitaria e boccia il requisito della carta di soggiorno: “Discriminatorio, va contro le norme europee”. La carta di soggiorno non serve. Anche le mamme o i papà stranieri che hanno in tasca un “semplice” permesso di soggiorno, purché consenta di lavorare, hanno diritto al bonus bebè. Discriminatoria così è la condotta dell’Inps che nega il bonus bebè alla mamma extracomunitaria titolare di un permesso unico di lavoro della durata di due anni: l’assegno di natalità di cui al comma 190, articolo 1, della legge 190/14 costituisce infatti una prestazione di sicurezza sociale che rientra nell’ambito di applicazione del regolamento europeo 883/04: si deve dunque applicare il principio di parità di trattamento previsto dell’ordinamento eurounitario.

È quanto emerge dall’ordinanza 32195/146, pubblicata il 21 dicembre dalla sezione lavoro del tribunale di Milano (giudice Giulia Dossi).          

Accolto il ricorso della donna: sono riconosciuti arretrati per 1.760 euro alla donna salvadoregna che si è rivolta alle associazioni Asgi e Anolf e ora ottiene soddisfazione.

La signora si era vista rifiutare dall’Inps la domanda di assegno di natalità sul rilievo che non risultava in possesso di un «utile titolo di soggiorno», vale a dire del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo. Il fatto è che la cittadina del Paese centroamericano risulta comunque titolare di un’autorizzazione che le consente di lavorare in Italia. E dunque le va riconosciuto il diritto al bonus bebè venendo trattata come le altre mamme italiane, a parità di reddito Isee.

L’Inps dovrà dunque corrispondere alla signora le ulteriori quote mensili fino a quando resteranno le condizioni reddituali, con interessi legali dalle scadenze al saldo. All’Inps non resta che pagare, anche le spese di lite.

Secondo Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”,è in arrivo insomma uno stillicidio di sentenze contro l’esclusione degli immigrati dal bonus bebè. Il governo e il Parlamento avrebbero potuto evitarlo, ora si muovano ad adeguare la legge alle norme comunitarie di Bruxelles.

Nel 2016 l’Inps con una circolare aveva ribadito che le domande di chi non ha la carta di soggiorno vanno rigettate.

La decisione del Tribunale di Milano demolisce quella presa di posizione e apre la strada, oltre che ad altri ricorsi, alla presentazione delle domande da parte di chi finora credeva di non avere i requisiti.

viv@voce

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