TARANTO. Legambiente: “Aria migliore non è ancora aria buona”
“Quanti veleni abbiamo assorbito allora? Quanti sono già stati i malati e i morti provocati da quei veleni?”
Colpiscono, nelle Conclusioni generali dello studio di biomonitoraggio e tossicità degli inquinanti presenti nel territorio di Taranto dell’Istituto Superiore di Sanità, le reiterate indicazioni circa la presenza di sostanze tossiche con conseguenze dannose sulla salute dei cittadini unite alla mancanza di una specificità tarantina rispetto ad altre realtà urbane inquinate.
Lo studio, diviso in quattro parti, è scaricabile dagli allegati; ne riportiamo alcuni passaggi “… i risultati dei test in vitro di immunotossicità, potenziale pro-infiammatorio e genotossicità confermano la presenza di sostanze genotossiche, immunotossiche e con potenziale pro-infiammatorio nel particolato aerodisperso delle aree urbane ma non evidenziano specificità per la città di Taranto rispetto ad un altro sito urbano di riferimento“
“…le concentrazioni di PCDD, PCDF (diossine) e PCB nel siero sono in linea con i valori osservati in un recente studio su gruppi di donne della popolazione generale italiana con caratteristiche confrontabili a quelle del presente studio…si osserva come a un aumento dei livelli ematici di diossine e PCB sia associato un contenuto incremento di rischio di endometriosi“
“… lo studio ha permesso di rilevare una situazione di potenziale presenza di disturbi clinici e preclinici del neurosviluppo nell’area di Taranto, non riconosciuti e non adeguatamente sottoposti ad interventi preventivi, terapeutici e riabilitativi…. un risultato in linea con i dati epidemiologici mondiali sulle patologie del neurosviluppo comprendenti autismo, ADHD, disturbi dell’apprendimento e del comportamento, che interessano il 10-15% delle nascite…”
Sono la conferma di quanto sosteniamo da tempo: la qualità dell’aria di Taranto, in corrispondenza della forte riduzione di produzione operata dall’ILVA e delle modifiche operative adottate nella gestione degli impianti per dare seguito ad alcune delle prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, è oggi notevolmente migliore di quella che abbiamo respirato per anni, quando l’Ilva dei Riva arrivava a produrre 10 milioni di tonnellate/anno di acciaio e le esigenze della salute e dell’ambiente sembravano non interessare nessuno.
Quanti veleni abbiamo assorbito allora? Quanti sono già stati i malati e i morti provocati da quei veleni? Quanti saranno ancora, in futuro, sapendo che taluni effetti si manifestano anche dopo molto tempo?
Sono domande che sorgono spontanee specie dopo aver letto nello studio dell’ISS, che nelle aree di Tamburi, Paolo VI, Statte si rileva aumento di iperattività e tratti psicopatologici (ansia e depressione), riduzione dell’attenzione, alterazione del comportamento sociale, potenziale aumento di patologie del neurosviluppo, quali ritardo intellettivo, ADHD, autismo, rispetto alle aree a maggiore distanza dalle sorgenti di emissione e che quindi “I disturbi osservati sono maggiormente evidenti nelle aree in prossimità delle emissioni industriali considerate ed in funzione inversa rispetto alla distanza dalle sorgenti, calcolata in riferimento ai camini di emissione dell’ILVA, nelle cui adiacenze insistono anche una raffineria ed un cementificio“.
Sono domande che devono aver attraversato la mente degli stessi estensori dello studio quando hanno scritto che “E’ opportuno comunque evidenziare alcune limitazioni dello studio che risiedono fondamentalmente nella dimensione campionaria e nella non disponibilità di dati di monitoraggio biologico relativi ad epoche pregresse, caratterizzate da prevedibili livelli più elevati di emissioni industriali, relative soprattutto all’epoca prenatale e postnatale dei soggetti esaminati in cui si realizza una maggiore vulnerabilità durante lo sviluppo delle funzioni nervose.
Ma il fatto che ora l’aria sia migliore non significa che sia buona: i cittadini di Taranto, su cui grava già il peso dell’inquinamento assorbito in passato, si trovano comunque oggi, secondo lo studio, nelle condizioni degli abitanti di altre città inquinate, come Roma. Una condizione che nel nostro Paese ha già portato negli anni passati a provvedimenti anche drastici di limitazione del traffico automobilistico nel tentativo di porre un argine alla cappa di smog che avvolgeva molte città italiane con conseguenze sanitarie e ambientali gravi: si calcola che in Italia siano circa 60 mila all’anno le morti da polveri sottili.
Anche quest’anno sono già tante le città fuorilegge per la qualità dell’aria, perché oltre la soglia limite per i valori di polveri sottili Pm10 (per legge sono consentiti 35 giorni di sforamenti all’anno, con una concentrazione superiore ai 50 microgrammi per metrocubo). Secondo i dati di Legambiente aggiornati al 6 dicembre, Torino aveva già 62 giorni di sforamenti, Frosinone 59 giorni, Venezia 53, Milano 52 .
Ma oltre i limiti ci sono anche Mantova (45), Padova (45), Treviso (44), Vicenza (43). In Lombardia il livello delle polveri sottili ha superato qualche giorno fa il limite di 50 microgrammi per metro cubo in 10 province su 12: a Monza le centraline dell’Arpa hanno segnato quota 92, a Milano 89, Pavia 84 e Brescia 76. In Piemonte tutta l’area metropolitana torinese ha superato i 7 giorni consecutivi con ‘polveri sottili’ in concentrazione superiore a 50 microgrammi: la concentrazione di pm10 a Torino ha toccato i 107 mcg/m3. Una situazione che ha fatto scattare misure in diversi Comuni, come la circolazione ridotta o vietata in determinate fasce orarie e le targhe alterne, da Torino a Milano, da Napoli a Roma, o il divieto di combustione di legna in caminetti aperti e stufe, sul territorio comunale di Pistoia.
Ma se in molte città italiane il problema è costituito dal traffico veicolare e dal riscaldamento domestico, e le zone più esposte sono quelle del nord e centro nord come Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, parte della Toscana e delle Marche, a Taranto l’origine dell’inquinamento è prevalentemente industriale e, considerate le dimensioni e la tipologia dei processi produttivi, ascrivibile per molta parte all’Ilva e per ogni incremento di 10 microgrammi di PM si registra un aumento dello 0.69 % di mortalità contro lo 0.31 % di altre città italiane (secondo lo studio MISA).
ARPA Puglia, nella sua Valutazione del Danno Sanitario del 2013, ha già evidenziato il persistere di rischi sanitari sulla popolazione di Taranto, anche ad A.I.A. Ilva completamente attuata, nel caso si raggiungesse la capacità produttiva autorizzata di otto milioni di tonnellate/anno di acciaio con gli attuali impianti basati sul ciclo integrato e, quindi, sull’utilizzo del carbone, indicando che “La valutazione del rischio cancerogeno inalatorio prodotto dalle emissioni in aria dello stabilimento ILVA di Taranto ha evidenziato, per lo scenario successivo all’adempimento all’AIA, una probabilità aggiuntiva di sviluppare un tumore nell’arco dell’intera vita superiore a 1:10.000 per una popolazione di circa 12.000 residenti a Taranto (situazione post‐AIA)“.
Rileggere quanto scritto allora da ARPA e, oggi nel rapporto dell’ISS, dei danni al potenziale cognitivo dei bambini dei Tamburi in primis e, poi, di Statte e Paolo VI, dà i brividi.
Oltretutto, se è vero che attualmente la produzione Ilva si colloca intorno ai sei milioni di tonnellate/anno. è anche vero che l’A.I.A. è ancora inattuata in parti essenziali e che molti impianti, a partire dalle cokerie e dai parchi minerali , debbono quindi ancora essere oggetto degli interventi previsti, gli unici capaci di abbatterne effettivamente il carico inquinante.
Tocca al nuovo governo, e al suo Ministro dell’Ambiente in primo luogo, non aggiungere ritardi a ritardi e, con essi, altri danni alla salute dei tarantini.
Noi chiediamo che si proceda in una direzione che segni una netta discontinuità con la fabbrica dei Riva avviando il passaggio ad una produzione di acciaio che non faccia ricorso al carbone e che da subito riduca la capacità produttiva riveniente dai vecchi impianti a ciclo integrale ben al di sotto degli otto milioni di tonnellate/anno autorizzati dall’A.I.A. del 2012.
Lo strumento può essere il nuovo Piano Ambientale Ilva, quello cui il comitato degli esperti nominato con l’ultimo decreto ha lavorato sulla base di quanto proposto dalle due cordate in lizza per l’acquisizione dell’azienda, e la cui istruttoria dovrebbe aver trasmesso, secondo la legge, da quasi un mese, proprio al Ministro dell’Ambiente cui tocca esprimere il proprio parere, proponendo eventuali integrazioni o modifiche alle proposte dei soggetti offerenti, i quali, dovranno poi presentare le offerte vincolanti definitive conformando i relativi piani al parere del comitato degli esperti a pena di esclusione.
Inutilmente abbiamo sollecitato a fine novembre il Ministro Galletti a fornire notizie circa il nuovo Piano Ambientale Ilva che potrà avvalersi, se non sorgeranno difficoltà, della dotazione di un miliardo e trecento milioni riveniente dalla conclusione della negoziazione con la famiglia Riva. Ci auguriamo chela sua adozione sia uno dei primi atti del nuovo governo, e che i suoi contenuti vadano nella direzione da noi auspicata: proprio lo studio dell’ISS, a nostro avviso, ne conferma implicitamente la necessità e l’urgenza.