TARANTO. Legambiente: “Risarcire i cittadini di Taranto, ristabilire equità e giustizia”
Gli ultimi avvenimenti della complessa questione relativa allo stabilimento ILVA di Taranto stanno definendo un quadro in cui Legambiente ritiene sia necessario intervenire per ristabilire giustizia ed equità ed evitare che siano i cittadini di Taranto, già afflitti da anni di inquinamento, a subire ulteriori conseguenze negative
In questa sede non intendiamo far riferimento all’eccesso di morti e di malattie attestati sia dalla perizia epidemiologica disposta dalla procura di Taranto e alla base del processo per disastro ambientale in corso che dal recente Studio epidemiologico sugli effetti delle esposizioni ambientali sulla popolazione residente a Taranto, Massafra e Statte, ma ai danni economici arrecati ai cittadini e, più in generale, alla città di Taranto, e al diritto della comunità jonica ad ottenere, per essi, un risarcimento.
Per queste ragioni Legambiente ha presentato sue Osservazioni alla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati (scaricabili dagli allegati) volte a richiedere modifiche del D.L. 243/2016 che diano risposte alle richieste dei cittadini di Taranto e in particolare degli abitanti del quartiere Tamburi, che hanno subito i maggiori danni dall’inquinamento targato Ilva, e porre l’esigenza che il risarcimento della città di Taranto, la bonifica del suo mare e del suo territorio, su cui – è bene ricordarlo – insistono altre attività fortemente impattanti sotto il profilo ambientale, a partire dalla raffineria dell’Eni e dall’Arsenale e dalla base navale della Marina Militare, riconducibili anche alla responsabilità dello Stato italiano, siano una questione prioritaria su cui impegnare nei prossimi mesi e anni risorse adeguate.
Il “combinato disposto” di tutti i decreti “salva Ilva” emessi dai vari Governi che si sono succeduti dal 2012 ad oggi, e che hanno comportato anche sostanziali modifiche alla normativa della amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, e quindi dei decreti di ammissione di tutte le società del gruppo Riva alla procedura di Amministrazione Straordinaria, nonché degli atti delle procedure stesse pendenti presso la sezione fallimentare del Tribunale di Milano, nonché i “patteggiamenti” e le transazioni che stanno per essere conclusi tra la famiglia Riva, le Procure di Milano e di Taranto, il Governo e gli Amministratori Straordinari delle società del Gruppo Riva, stanno componendo un quadro che comporterà per i cittadini di Taranto la sostanziale impossibilità di ottenere un qualsiasi ristoro al danno che essi hanno subito per tutti gli anni di esposizione all’inquinamento ed all’imbrattamento dei propri immobili, ormai definitivamente accertato da sentenze passate in giudicato e da innumerevoli atti degli organi preposti al controllo.
Impossibilità di ottenere risarcimenti che risulta ancora più intollerabile se si pensa che sino alla vendita della ex Italsider alla famiglia Riva, e quindi per più di trent’anni, lo stabilimento ha inquinato la città e i cittadini di Taranto, senza che lo Stato Italiano, proprietario di IRI, sia mai stato chiamato a rispondere dei danni causati.
Molti cittadini di Taranto, la maggior parte dei quali residenti nel quartiere Tamburi, il più vicino all’area industriale Ilva, il Comune di Taranto e le sue partecipate AMAT e AMIU, hanno proposto azioni risarcitorie, per i danni connessi all’inquinamento ambientale proveniente dallo stabilimento ILVA, nei confronti di ILVA S.p.A. e della Riva Fire S.p.A. (holding del gruppo Riva), nonché (sulla scorta di precedenti sentenze di condanna passate in giudicato, per altri reati connessi all’attività industriale dello stabilimento Ilva di Taranto) dell’ex amministratore di Ilva S.p.A. e Riva Fire S.p.A. Emilio Riva.
Le domande dei cittadini residenti al quartiere Tamburi sono fondate generalmente sui danni sopportati per i maggiori costi connessi alla manutenzione degli stabili di proprietà, aggrediti dal cosiddetto “polverino” proveniente dai “parchi minerali” posti a ridosso del quartiere, oltre che per la riduzione delle possibilità di godimento dei propri immobili, nonché per il deprezzamento subito dagli stessi a causa dell’inquinamento proveniente dallo stabilimento Ilva.
Ovviamente esistono anche domande connesse al risarcimento di patologie che si ritengono riconducibili all’attività inquinante di Ilva, tuttavia, ad oggi, non ci sono sentenze che abbiano riconosciuto il “nesso di causalità” tra patologie ed attività dello stabilimento Ilva, se non nel caso di dipendenti che reclamavano il riconoscimento della “malattia professionale”. Per quanto riguarda il risarcimento da “imbrattamento”, riduzione del godimento degli immobili e loro svalutazione, le uniche due sentenze che sono state emesse dal Giudice Ordinario Civile prima della ammissione di Ilva S.p.A. alla procedura di Amministrazione Straordinaria (entrambe appellate dagli Amministratori Giudiziali di Ilva S.p.A. e quindi non divenute definitive), riconoscono un risarcimento in favore dei cittadini che hanno agito in giudizio, rapportabile, con valutazione equitativa, ad una somma pari al 20% del valore catastale degli immobili di proprietà.
La tipologia degli immobili, spesso case popolari, fa sì che ad oggi siano stati riconosciuti ai cittadini che hanno agito in giudizio, risarcimenti compresi tra i 5.000,00 e i 20.000,00 euro a famiglia.
La domanda risarcitoria avanzata dal Comune di Taranto ammonta complessivamente a circa tre miliardi e trecento milioni. La maggior parte di tale richiesta, 2 miliardi di euro, è relativa al danno ambientale; va precisato, a tale riguardo, che il Comune di Taranto, nell’inerzia del Ministero dell’Ambiente ha inteso surrogarsi ad esso per la promozione di tale azione, e che la stessa è necessariamente delimitata al danno conseguente ad atti e fatti inquinatori accaduti e commessi prima dell’entrata in vigore del T.U. Ambiente dell’aprile 2006.
La restante parte della domanda si riferisce per circa trecento milioni di euro a danni patrimoniali e per un miliardo di euro al danno all’immagine turistica lesa dalla grande rilevanza mediatica che la vicenda del sequestro e dei numerosi decreti salva Ilva ha avuto sulla stampa nazionale ed internazionale. La domanda di AMAT S.p.A. ammonta ad € 11.000.000,00 circa per danni patrimoniali per maggiori costi e danni ai propri beni. La domanda di AMIU S.p.A. ammonta ad € 14.000.000,00 circa per danni patrimoniali sempre per maggiori costi e danni ai propri beni.
Nelle more dei giudizi introdottisia dai singoli cittadini residenti al quartiere Tamburi che dal Comune di Taranto e dalle sue società partecipate, Emilio Riva è deceduto, con rinunzia degli eredi all’eredità e nomina di un curatore dell’eredità giacente, che risulta attualmente costituito nei giudizi pendenti, ed inoltre, prima l’Ilva S.p.A. e poi, recentemente, Riva Fire S.p.A. sono state ammesse alla procedura di Amministrazione Straordinaria.
Per quanto riguarda tali ultime procedure, le istanze dei creditori (tutti coloro che non hanno un titolo esecutivo passato in giudicato, cioè tutti i creditori) vengono valutate nell’ambito delle procedure concorsuali aperte presso il Tribunale di Milano, e, ove ammesse al passivo (ma ad oggi l’orientamento della difesa degli Amministratori Straordinari è di rigettare qualsiasi richiesta di insinuazione al passivo per quelle motivazioni), pagate in “moneta fallimentare”, ovvero distribuendo tra i creditori l’attivo eventualmente ricavato dalla vendita o la locazione dell’impianto e la riscossione di eventuali crediti verso terzi, con prevalenza dei creditori ammessi in “prededuzione” e di quelli muniti di privilegio e quindi con presumibile sostanziale impossibilità di recupero del credito risarcitorio (chirografario) di tutti i residenti nel quartiere Tamburi, nonché del Comune di Taranto, quale ente rappresentativo della collettività e con riferimento al danno patrimoniale subito dai propri immobili, e di AMAT S.p.A. ed AMIU S.p.A. per i danni patrimoniali rivendicati.
Attualmente restano in piedi i giudizi risarcitori ordinari solo nei confronti della curatela dell’eredità giacente di Riva Emilio, che allo stato non dispone di risorse tanto da essersi costituita in giudizio con il gratuito patrocinio. Eventuali risorse che sono già state ovvero dovessero ancora essere reperite presso “paradisi fiscali” e che fossero riconducibili a Riva Emilio, per decisione del Parlamento Italiano, non saranno rese disponibili per i creditori ma saranno utilizzate per la realizzazione delle opere di bonifica e di adeguamento all’A.I.A. dello stabilimento Ilva di Taranto, con la conseguenza di sottrarre ai cittadini del quartiere Tamburi, al Comune di Taranto e alle sue partecipate la possibilità di essere risarciti del danno subito in conseguenza dell’attività inquinante correlata alla produzione dello stabilimento siderurgico.
Va evidenziato che lo Stato italiano, in via del tutto astratta, risponderebbe, comunque, dell’attività inquinante connessa alla produzione dello stabilimento industriale di Taranto sino alla vendita al gruppo Riva e quindi sino al 1995, in quanto lo Stato italiano era proprietario, attraverso l’IRI, di Italsider, ed inoltre potrebbe (e dovrebbe) rispondere per il mancato controllo, attraverso i propri organi a ciò preposti, dell’attività inquinante svolta dal gruppo Riva sino al 2012, nonché della omessa azione di risarcimento del danno ambientale che è di competenza, dal 2006 esclusiva, del Ministero dell’Ambiente, e che il Comune di Taranto è stato costretto ad esercitare, in via surrogatoria, per tutti i danni connessi a fatti inquinanti commessi prima del 2006, in quanto la normativa dell’epoca consentiva la competenza in via sussidiaria da parte degli enti locali.
Giova infine ricordare che gli Amministratori Straordinari di ILVA S.p.A. in A.S. (da poco nominati Amministratori Straordinari anche di Riva Fire S.p.A., oggi Partecipazioni Industriali S.p.A.), nonché gli organi del Tribunale Fallimentare di Milano, nell’esprimere proprio parere negativo alle istanze di insinuazione al passivo dei cittadini residenti ai Tamburi, del Comune di Taranto e delle sue partecipate, hanno anche evidenziato la opportunità di evitare di sommergere il Tribunale di Milano con i giudizi di opposizione che saranno necessari in esito all’eventuale rigetto delle istanze di ammissione al passivo formulate (in caso di rigetto, infatti, è necessario procedere alla instaurazione di un giudizio di opposizione presso il Tribunale di Milano), ritenendo opportuno individuare “in sede politica” un percorso alternativo a quello giudiziario che possa portare i soggetti che ne hanno diritto ad ottenere una, seppure limitata, soddisfazione delle proprie richieste.
Una parziale ipotesi di soluzione potrebbe essere quella di far sì che la famiglia Riva renda disponibili per la curatela dell’eredità giacente – come era stato originariamente prospettato – somme che potrebbero essere utilizzate per risarcire, seppure parzialmente, nei limiti della disponibilità e previo piano di riparto da predisporsi a cura della curatela stessa e da sottoporre ai creditori, la maggior parte delle domande dei cittadini residenti che vantino titoli o abbiano promosso giudizi nei confronti di Emilio Riva e, eventualmente, quelle delle aziende partecipate del Comune di Taranto.
Resterebbe esclusa, in quella sede, la risarcibilità del danno reclamato dal Comune di Taranto, per il quale danno, ed in particolare per il danno patrimoniale e quello all’immagine turistica, andrebbe trovata una soluzione in altra sede.
Il danno ambientale potrà e dovrà trovare invece ristoro nelle attività di bonifica territoriale da concordare con il Ministero dell’Ambiente e per le quali segnaliamo da tempo sia l’esigenza che vengano effettivamente messe a disposizione risorse adeguate che la necessità di passare dalla fase degli studi, pure opportuni, alle concrete realizzazioni, in particolare per il mar Piccolo di Taranto, tenuto conto che – allo stato – gli unici interventi effettuati hanno riguardato il rifacimento di alcune scuole e la rimozione dello strato superficiale contaminato di alcuni terreni del quartiere Tamburi.
Altra ipotesi di soluzione, peraltro giustificabile a fronte della corresponsabilità dello Stato Italiano nella vicenda inquinatoria che ha interessato la città di Taranto ed in particolar modo il quartiere Tamburi che preesisteva allo stabilimento e che ne ha dovuto subire la costruzione, talvolta a poche decine di metri dall’abitato, potrebbe essere quella di un incremento degli importi resi disponibili nel D.L. 243/2016 per interventi alle famiglie in difficoltà economica dell’area di crisi industriale (Taranto, Statte, Massafra, Crispiano, Montemesola) attraverso la previsione di un contributo specificatamente destinato ai proprietari di immobili dei Tamburi per la riqualificazione del quartiere attraverso l’effettuazione di lavori di ristrutturazione delle facciate e degli impianti degli immobili.
A tale scopo il D.L. 243/2016 andrebbe modificato nel punto 8.5. “Il programma della procedura di amministrazione straordinaria e’ altresi’ integrato con un piano relativo ad iniziative volte a garantire attivita’ di sostegno assistenziale e sociale per le famiglie disagiate nei Comuni di Taranto, Statte, Crispiano, Massafra e Montemesola” inserendo un particolare riferimento ad interventi di risanamento degli immobili del quartiere Tamburi di Taranto ed indicando una specifica dotazione finanziaria ad essi destinata.
Con il medesimo intento potrebbe pensarsi a concedere facilitazioni alle società partecipate del Comune di Taranto, AMAT S.p.A. ed AMIU S.p.A., per l’ottenimento di finanziamenti pubblici a fondo perduto tesi alla riduzione dell’impatto inquinante del parco autoveicoli ed alla attivazione dei un programma per la raccolta differenziata dei rifiuti esteso a tutta la città.
Il Parlamento, sulla questione Ilva è andato “in deroga” a numerose norme sia nazionali che sovranazionali. Tra le conseguenze di queste “deroghe” vi è quella di aver sfavorito il diritto risarcitorio della comunità jonica, drammaticamente colpita dagli effetti dell’inquinamento dello stabilimento Ilva. Le “deroghe” che Legambiente richiede per evitare che siano proprio i cittadini di Taranto, già afflitti da un eccesso di morti e malattie, a subire altre conseguenze negative servono a ristabilire un minimo di giustizia ed equità.