La musica preferita agisce come l’LSD

La musica preferita agisce come l’LSD

Secondo uno studio dell’Università di Zurigo entrano in azione nel cervello gli stessi recettori cui si legano le sostanze allucinogene

I ricercatori dell’università di Zurigo, coordinati da Katrin Preller, hanno scoperto che se attribuiamo un significato particolare a una canzone o a un odore, questo accade perché entrano in azione nel cervello gli stessi recettori cui si legano le sostanze allucinogene, come l’LSD.

Il risultato dello studio è stato pubblicato sulla rivista Current Biology. La scoperta è stata possibile grazie a un esperimento, condotto su un gruppo di volontari, che ha indagato come l’LSD influenza il modo in cui si percepisce l’ambiente e si attribuisce un significato alle cose.

Nell’esperimento, ad alcuni volontari è stato dato l’LSD, seguita da un farmaco chiamato ketanserina che ha bloccato la capacità dell’LSD di agire sui recettori dell’ormone del buon umore, cioè la serotonina; ad altri è stato dato invece un placebo.

Dopo l’assunzione di queste sostanze è stato chiesto ai partecipanti di ascoltare alcune canzoni ed è stato scoperto che i brani musicali che in precedenza, per i partecipanti, erano privi di significato, ne hanno assunto uno particolare sotto l’effetto dell’LSD. Tale effetto però è diminuito quando i partecipanti hanno assunto il secondo farmaco. Questo, inoltre, ha anche cancellato gli effetti psichedelici noti dell’LSD su stato di coscienza, umore, e ansia.

«Ora – ha osservato Preller – sappiamo quali regioni del cervello e quali recettori sono coinvolti quando percepiamo il nostro ambiente come significativo».

I ricercatori hanno così scoperto che il significato speciale che si attribuisce alle cose è legato agli stessi recettori che si legano all’LSD e, grazie alle immagini ottenute con la risonanza magnetica, è stato visto che il meccanismo coinvolge le strutture della linea mediana del cervello, che sono le stesse coinvolte nell’esperienza legata al significato che si dà a se stessi.

La scoperta, spiega Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, potrebbe aiutare a mettere a punto nuove cure per il trattamento di malattie psichiatriche o fobie, che causano anomalie nel significato che si dà alle cose.

viv@voce

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