L’Associazione Salam sul Decreto Minniti. “I cambiamenti nefasti del DL sulla vita dei richiedenti asilo politico”

L’Associazione Salam sul Decreto Minniti. “I cambiamenti nefasti del DL sulla vita dei richiedenti asilo politico”

Storie di ricorsi e riconoscimenti

In merito al Decreto Legge 17 febbraio 2017, n. 13 (Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale), l’Associazione Salam condivide le critiche mosse da ANM sulla legittimità del provvedimento e del Primo Presidente della Cassazione che ha dichiarato “La semplificazione delle procedure non può significare soppressione delle garanzie”.

Il nostro lavoro che quotidianamente svolgiamo di supporto legale ai richiedenti asilo ospiti nelle nostre strutture (prima accoglienza e Sprar) e che si rivolgono ogni giorno al Centro Interculturale Nelson Mandela, ci impone una profonda riflessione sulle conseguenze ed esiti del decreto Minniti Orlando, che con la motivazione di rendere più snelle le pratiche di richiesta di asilo, prevede di togliere un grado di giudizio in caso di diniego.

Sono tanti i casi a supporto delle nostre preoccupazioni. Tra questi l’ordinanza con cui il Giudice Colamartino del Tribunale di Lecce ha riconosciuto la protezione sussidiaria ad un richiedente asilo tunisino. Il ricorrente, che è stato accolto presso un centro di prima accoglienza dell’Associazione Salam e seguito dall’Avvocato Immigrazionista Mariagrazia Stigliano, aveva ricevuto, alla richiesta d’asilo, diniego da parte della Commissione Territoriale, la quale aveva ritenuto il racconto del richiedente inattendibile. Secondo il suo racconto, il ricorrente lasciò la Tunisia a seguito di una convocazione dell’Ufficio antiterrorismo della Polizia di Tunisi.

All’ufficio antiterrorismo non si presentò mai perché temeva di essere accusato ingiustamente di collaborare con gli scafisti, e quindi di essere incarcerato, e torturato. Con l’ordinanza il giudice ha riconosciuto al ricorrente tunisino protezione sussidiaria, perché ha ritenuto il racconto “sufficientemente dettagliato e globalmente credibile”, e sussistente il “concreto rischio di atti di tortura o altri trattamenti inumani o degradanti” nel caso in cui venisse rimpatriato.

I timori del richiedente – si legge nell’ordinanza – “appaiono giustificati”: nello specifico e sotto il profilo dei rischi si fa menzione del Rapporto Amnesty International 2015/2016 riferito alla Tunisia, in cui si denuncia l’esistenza di una legge, che ha sostituito una precedente normativa del 2003 utilizzata dall’amministrazione di Ben Ali per reprimere l’opposizione politica, e ha introdotto ulteriori limitazioni ai diritti fondamentali.

E sempre dal rapporto di Amnesty si estrapolano le segnalazioni di maltrattamenti commessi da agenti della sicurezza, a detenuti soprattutto durante la fase dell’interrogatorio nei giorni immediatamente successivi all’arresto, come anche le notizie di maltrattamenti delle famiglie dei sospetti terroristi, ed ancora denunce di tortura.

Se il ricorso seguito dall’Avvocato Stigliano fosse stato “trattato” così come vuole l’attuale decreto, molto probabilmente lo stesso ricorrente non avrebbe ricevuto la protezione sussidiaria che invece merita. In più, se si considera che paesi come quali l’Italia, la Germania e il Belgio spingono affinché la Tunisia venga inserita nella lista dei Paesi “sicuri”, gran parte delle richieste d’asilo presentate soprattutto dai tunisini non verrebbero molto probabilmente accolte così come accade oggi.

Questa storia di un “diniego” che si è tramutato in “protezione sussidiaria” è molto simile a quella di Mahmood cittadino pachistano nato e vissuto in un villaggio nel Punjab, anche lui seguito dall’avvocato Stigliano ed ospite dello Sprar di Martina Franca.

Dopo aver ricevuto il diniego da parte della Commissione Territoriale, il Giudice del Tribunale di Lecce gli ha riconosciuto con un’ordinanza del 20 febbraio la protezione sussidiaria per l”“attuale situazione di insicurezza anche della provincia del Punjab pachistano” comprovata dai dati forniti da autorevoli istituti, organismi internazionali e centri di ricerca tra cui figura anche l’Easo (Ufficio europeo di sostegno per l’Asilo), COI (Country of origin information), il PIPS (Pakistan Institute for Peace Studies), il Satp (South Asia Terrorism portal), il CRSS (Centre for research and security studies), e dai dati forniti dal Ministero dell’Interno – Commissione Nazionale per il diritto d’asilo (documento denominato Pakistan – Punjab datato 23.03.2015).

Questi casi di riconoscimento della protezione sussidiaria successivi al diniego – ”non sono casi isolati” rivela l’Avvocato Stigliano. Si pensi che su 13 ricorsi contro i dinieghi delle Commissioni sono seguiti 13 accoglimenti da parte del Tribunale. Dietro questi “numeri” ci sono “speranze”, “attese”, “aspettative”, ed un lavoro instancabile fatto non solo di carte e documenti da produrre,ma di un carico di responsabilità proporzionato al reale valore del “pezzo di carta”. Un valore immenso, inestimabile considerato poi che per un richiedente asilo quel “riconoscimento” significa a tutti gli effetti “libertà”.

Si ritiene pertanto quel decreto un condensato di misure restrittive per quanto riguarda il diritto d’asilo; discutibile anche la videoregistrazione in sede di Commissione… Si delinea un nuovo modello processuale basato sul rito camerale che delimita i casi nei quali si prevede l’udienza orale e riduce da 6 a 4 mesi il termine entro il quale è definito il procedimento con un decreto non reclamabile, ma ricorribile esclusivamente in Cassazione.

Ma la misura più nefasta è sicuramente l’eliminazione del grado di appello che rende difatti monco il nostro ordinamento processuale che si basa sul doppio grado di giudizio. Per non parlare poi dell’istituzione delle 14 sezioni specializzate che porteranno a un ulteriore ingolfamento degli uffici giudiziari, già oberati. Timori già manifestati da ANM e dal Presidente Canzio e che ci sentiamo di condividere.

viv@voce

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