IN RICORDO DI FEDERICO ALDROVANDI. “Caro Federico, auguri a te che non hai potuto compiere trent’anni”

IN RICORDO DI FEDERICO ALDROVANDI. “Caro Federico, auguri a te che non hai potuto compiere trent’anni”

Oggi avrebbe compiuto trent’anni. Oggi non ha compiuto trent’anni perché al ritorno da una serata in discoteca con i suoi amici si è fermato in un parchetto da solo prima di rincasare. E in quel parchetto sono arrivati quattro poliziotti

Non so cosa farebbe oggi Federico Aldrovandi all’alba della sua quarta decade. Non so cosa facesse il 17 luglio del 2005, quando raggiunse la maggiore età e non poteva immaginare che quello sarebbe stato l’ultimo compleanno.

Posso immaginare che farebbe qualcosa di simile a quello che fanno oggi i suoi amici. Quelli che passarono con lui l’ultima notte. Quelli che durante l’interrogatorio in questura venivano chiamati “drogati” o “tossici” e dipinti come “sciacalli” da un dirigente nazionale di un sindacato di Polizia.

Andrea si è sposato. Vive e lavora a Ferrara. Ha due figli. Il primogenito si chiama Federico.

Parme lavora anche lui in città. Si vedono ancora. La Spal è quasi sempre l’occasione per incontrarsi.

Burro se ne è andato da tempo. Già al giudice Caruso spiegava che dopo quanto successo al suo amico non se la sentiva di proseguire gli studi. Non se la sentiva nemmeno di continuare a vivere in Italia. Lavora a Londra. Vive con Matilde, conosciuta a una manifestazione in ricordo di Federico. Matilde, napoletana, è la ragazza che attraverso i social ha dato viva alla manifestazione “Vialadivisa”. Si sono sposati tre anni fa. Come data per il loro sì hanno scelto il 17 luglio.

Cerco di ricordarmi cosa facevo io a trent’anni. Iniziavo a occuparmi della storia di Federico. E purtroppo non ho ancora smesso, visto che le vicende processuali legate a quell’evento non si sono ancora concluse. Rimangono in piedi la querela che il segretario nazionale del Coisp ha intentato alla madre di Aldro, Patrizia Moretti. Rimane in piedi il processo che la madre di Aldro ha intentato contro chi chiamò suo figlio morto “cucciolo di maiale”.

Aspettavo che si chiudesse il cerchio per scrivere un libro sull’intera vicenda di Federico. Molte cose ancora non si sanno e altre sono state dimenticate. Doveva scriverlo con me Emiliano Liuzzi. La sua prematura scomparsa il 6 aprile del 2016 mi ha impedito di continuare.

Avrei voluto iniziare quel libro con la descrizione resa in tribunale dall’unica testimone oculare che ha avuto il coraggio di parlare. Descrive Federico mentre va incontro alla morte. Dalla panchina sulla quale era seduto, procede verso i quattro poliziotti schierati con i manganelli. Il diciottenne si avvicina a loro “determinato a camminare, nel suo cammino”. Oggi immagino così Federico, “determinato a camminare, nel suo cammino”.

E forse avrei finito quel libro parlando del suo cuore.

Per gli amici e per i familiari Federico aveva un gran cuore. Per i medici legali pesava 280 grammi. Per molti di noi pesa molto di più.

Marco Zavagli

ilfattoquotidiano.it

viv@voce

Lascia un commento