TARANTO. “Omocausto: lo sterminio dimenticato degli omosessuali”

TARANTO. “Omocausto: lo sterminio dimenticato degli omosessuali”

In occasione del Giorno della Memoria, Taranto commemora in piazza Maria Immacolata e presso CasArcobaleno tutte le vittime dell’Olocausto e i/le/* protagonisti/e/* delle attuali ingiustizie sociali

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha indetto per il 27 gennaio di ogni anno il Giorno della Memoria, in commemorazione di tutte le vittime dell’Olocausto (risoluzione 60/7 del 1° novembre 2005). Tuttavia, già nel 2000, il Parlamento italiano ha varato la legge 20 luglio 2000, n. 211, per l’istituzione del Giorno della Memoria, con il fine di ricordare le vittime dei campo di concentramento nazisti e per organizzare cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto ai deportati e alle deportate nei campi nazisti, in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa e affinché simili eventi non possano mai più accadere.

Tra le vittime della follia nazista, vi furono almeno settemila persone sterminate in quanto omosessuali. Contraddistinti da un triangolo rosa cucito sulla divisa a righe, gli omosessuali maschi affollavano i campi di concentramento sparsi in tutta Europa, subivano umiliazioni e torture, venivano sottoposti a folli sperimentazioni pseudoscientifiche fino alla morte (la mortalità dei prigionieri omosessuali è stimata al 60%). Una pagina strappata della storia, perché il pregiudizio omofobico non era certo assente negli altri paesi, neppure in quelli che si opposero al Terzo Reich durante il secondo conflitto mondiale.

Ancora più incerto è il numero delle donne lesbiche sterminate nei campi di concentramento, in quanto la repressione del lesbismo va inquadrata in un’ottica più ampia dell’ideologia nazista, secondo la quale il ruolo principale delle donne era limitato alla famiglia e alla procreazione. Le donne lesbiche vennero, quindi, viste come un pericolo per i valori dello status e marchiate dello status di “asociali”, contraddistinto dal triangolo nero.

Due giorni per ricordare, pensare, essere

Sabato 27 gennaio e domenica 28 gennaio torna, con la nona edizione, Cogito ergo (non) sum. La rassegna è promossa, a cavallo della Giornata Internazionale della Memoria, dall’Associazione Culturale Hermes Academy Onlus e dall’Associazione Strambopoli – Presidio Arcigay nella Provincia di Taranto, in collaborazione con l’Associazione Diritti e Libertà, e commemora tutte le vittime dell’Olocausto (ebrei, omosessuali, diversamente abili, uomini e donne con problematiche legate alla sfera psichica, tutte quelle persone facenti parte delle categorie considerate “indesiderabili” dal Terzo Reich), di discriminazione e delle attuali ingiustizie sociali; educa le nuove generazioni (e non solo) alla cultura delle differenze e allo sviluppo sostenibile; sensibilizza alla prevenzione e al contrasto a malattie sessualmente trasmissibili, fenomeni di omo-bi-transfobia, bullismo, violenza di genere, stigma persone HIV+.

L’immagine fotografica di locandina, utilizzata a partire dall’edizione 2016, è di Rosa Colacoci. L’opera si intitola Ghost e ritrae Luigi Pignatelli e Claudia Altomonte.

Triangoli rosa, neri e azzurri al Villaggio delle Differenze

L’Associazione Culturale Hermes Academy Onlus e l’Associazione Strambopoli – Presidio Arcigay nella provincia di Taranto sabato 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, promuovono in Piazza Maria Immacolata (già Piazza Giordano Bruno) la 132esima tappa de Il Villaggio delle Differenze.

Dalle ore 19.00 alle ore 21.00, l’isola pedonale torna a tingersi dei colori dell’arcobaleno, con il banchetto rainbow, abitato dagli/le/* artisti/e/* della Hermes Academy (capitanati/e/* dalla vicepresidente Rosalia D’Arcangelo) e dagli/le/* attivisti/e/* di Arcigay (tra tutti/e/* citiamo Emanuele Pignatelli, Michela Albano e Daniele Massaro), che facilitano diversi momenti di aggregazione e diffusione della cultura delle differenze e distribuiscono preservativi, materiale illustrativo sui percorsi proposti da diversi anni nelle scuole di Taranto e provincia, sulle attività ed i servizi offerti all’intera cittadinanza. Chi anima il sit-in, porta un triangolo rovesciato, per ricordare tutte le vittime dell’Olocausto.

«Nei campi di sterminio c’erano i colori. Un triangolo azzurro indicava gli apolidi, gli immigrati, un triangolo giallo indicava gli ebrei, un triangolo rosso indicava gli oppositori politici, un triangolo rosa indicava i rastrellati, un triangolo marrone indicava gli zingari, un triangolo nero indicava gli asociali, le lesbiche, un triangolo viola i testimoni di Geova, un triangolo verde indicava i delinquenti comuni, un triangolo arancione indicava gli omosessuali. I colori potevano cambiare, da campo a campo, oppure combinarsi, per esempio gli ebrei “politici” avevano la Stella di David formata da un triangolo giallo ed uno rosso. I colori non mancavano e neppure coloro cui attribuirli. Un macabro arcobaleno di sterminio, sofferenza e terrore, con un solo obiettivo, far morire quei colori, organizzare nel modo più efficiente possibile l’assassinio delle persone che ne erano contrassegnate. Una finta doccia, veloce, ma non inconsapevole, per alcuni, per altri la fucilazione, uno a uno, e giù nelle fosse comuni, coperti di terra o dati alle fiamme, non importa se ancora vivi, oppure la soffocazione nei camion sigillati, gli esperimenti di Mengele, la fame, le infezioni, il freddo, le sevizie. Solo quando perfino le SS cominciarono ad avere disturbi psichiatrici mentre eseguono degli ordini, arriva l’efficienza straordinaria del gas, il Cyclon B. E i colori muoiono, anche 25.000 ogni singolo giorno, più di sei milioni di volte, sei milioni di triangoli colorati, secondo alcune stime otto milioni di triangoli colorati. Un immenso arcobaleno di morte.» Gunter Demnig, ideatore della Stolpersteine, la Pietra d’Inciampo.

Due nuovi appuntamenti domenicali in CasArcobaleno

All’interno degli spazi di CasArcobaleno, nuova sede Arcigay in Corso Italia #84C a Taranto, domenica 28 gennaio, a partire dalle ore 18.00, Rosalia D’Arcangelo facilita il cerchio energetico “La cultura dell’Abbraccio”, sulla scia della partecipatissima Marcia degli Abbracci promossa in tutta Italia il 12 novembre scorso.

Un solo abbraccio è in grado di dissolvere ogni barriera della diversità di genere, età, sesso e religione. Siamo parte della famiglia umana. Ogni età, ogni nazionalità, ogni credo, ogni idea, ogni ispirazione diventano una ricchezza nel riconoscimento della diversità come valore prezioso per la crescita e per l’evoluzione umana. Uniti/e/* nel potere dell’abbraccio, propaghiamo tutto ciò in cui crediamo e desideriamo vivere: l’uguaglianza, l’amore, il rispetto reciproco, l’amicizia, la collaborazione e la condivisione.

«Nell’abbraccio – fa notare Rosalia D’Arcangelo – siamo davvero tutti uguali. L’atto dell’abbraccio è davvero silenzioso e profondo, davvero sostiene e non trattiene. Qualsiasi sia l’emozione, negativa o positiva, l’abbraccio dà una vibrazione che è unica, appartiene soltanto all’abbraccio. I bambini si divertono tantissimo, sentono il beneficio. Anche le cose si abbracciano, magari si abbracciassero sempre pure i nostri pensieri, che mondo creeremmo! Così non è, pazienza, intanto proviamo a seminare una cultura che oggi più che mai urge diffondere, la cultura del vivere in armonia. È possibile, ma bisogna desiderarlo e volerlo, deve partire da se stessi, ognun* di noi è chiamat* a domandarsi come fare per essere felici? Il felice si può divertire circondato da tanti infelici? Val la pena vivere come si vive? Siamo fatti per stare insieme, non per farci la guerra, si è visto il risultato di un agire egoisticamente, che aspettiamo a fare il contrario?L’abbraccio non è necessariamente fisico (anche se è scientificamente dimostrato il beneficio psicofisico di un abbraccio), una mente che abbraccia è quella che non giudica, che non offende, che non ferisce, che non si sente superiore o inferiore, che non invidia, che non mente, ma che abbraccia trattenendo ciò che fa bene e lasciando andare ciò che fa male.

La partecipazione è libera e gratuita. Per ulteriori informazioni, contattare il +39 388 874 6670.

Segue un aperitivo di autofinanziamento, con l’obiettivo di raccogliere fondi per sostenere (almeno in parte) le spese delle utenze della nuova sede e la formazione per gli/le/* attivisti/e/* (Luigi Pignatelli è in Lettonia, mentre Flavio Ferrari, Anis Maggio e Paolo Verdolino partiranno per l’Olanda il 9 febbraio p.v.)

Alle ore 19.00, per il quarto appuntamento della nona edizione della rassegna cinematografica a tematica sociale “(At)Tratti d’Arte”, viene proposto “Il bambino con il pigiama a righe” (titolo originale The Boy in the Striped Pyjamas), film del 2008 diretto e sceneggiato da Mark Herman, adattamento per il grande schermo dell’omonimo romanzo di John Boyne.

Seguirà un dibattito, moderato dai ragazzi e dalle ragazze del Gruppo Giovani del Presidio Arcigay nella Provincia di Taranto.

Per chi ha effettuato regolare tesseramento al presidio tarantino di Arcigay, la partecipazione all’iniziativa è libera e gratuita, con prenotazione obbligatoria al +39 388 874 6670 o a luigi_pignatelli@hotmail.it. I/le/* non tesserati/e/* sono benvenuti/e/* e possono tesserarsi in loco, prima della proiezione.

«L’amicizia può unire quello che le barriere dividono.»

A seguire, la recensione di Marzia Gandolfi.

Berlino, anni Quaranta. Bruno è un bambino di otto anni con larghi occhi chiari e una passione sconfinata per l’avventura, che divora nei suoi romanzi e condivide coi compagni di scuola. Il padre di Bruno, ufficiale nazista, viene promosso e trasferito con la famiglia in campagna. La nuova residenza è ubicata a poca distanza da un campo di concentramento in cui si pratica l’eliminazione sistematica degli ebrei. Bruno, costretto ad una noiosa e solitaria cattività dentro il giardino della villa, trova una via di fuga per esplorare il territorio. Oltre il bosco e al di là di una barriera di filo spinato elettrificato incontra Shmuel, un bambino ebreo affamato di cibo e di affetto. Sfidando l’autorità materna e l’odio insensato indotto dal padre e dal suo tutore, Bruno intenderà (soltanto) il suo cuore e supererà le recinzioni razziali.

La drammaticità della Shoah, di un inferno voluto dagli uomini per gli uomini, è inarrivabile e di fatto non rappresentabile, ma questo non ha impedito al cinema di provare e riprovare a misurarsi con quella tragedia. L’approccio cinematografico di Mark Herman, regista e sceneggiatore, è diretto e il punto di vista assunto è quello di un bambino, figlio di un gerarca nazista, la cui innocenza (davanti all’orrore) trova corrispondenza soltanto in Shmuel, coetaneo internato all’inferno. A differenza de La vita è bella e di Train de vieIl bambino con il pigiama a righe non è una favola dove ognuno ha un proprio e preciso ruolo, al contrario nel film di Herman i due universi, quello del Bene e quello del Male, si lambiscono fino a confondersi e a sconvolgersi. Nel Bambino col pigiama a righe sono l’inadeguatezza e la debolezza degli adulti, anche di quelli buoni, ad obbligare i bambini a prendere in mano il proprio destino e a determinarlo. I padri e le madri non fanno magie come il Guido Orefice di Benigni e il Male che li circonda finisce per inghiottire i loro figli e renderli all’improvviso consapevoli. Il regista inglese è abile a evitare gli stereotipi della storia cattiva e della contrapposizione tra infanzia idealizzata e abiezioni del mondo adulto, analizzando la durezza di un’epoca (la Germania nazionalsocialista) e di un’età (l’infanzia).

Muovendosi tra trappole d’apparenza ed eludendo clichè, sentimentalismi e scene madri, Herman mette in scena le ingiustizie e i rapporti di forza che si definiscono già nell’età più verde. Attraverso il minimalismo di episodi quotidiani, immersi nella severità dei colori freddi, Il bambino col pigiama a righe svolge la memoria, rivisitandola con soluzioni e libertà che rendono la storia intollerabile e lancinante. Per questa ragione, l’autore chiude la porta sulla camera a gas, interponendo fra gli spettatori e il volto della Medusa la pietas di un narrare artistico, che consenta di guardarla senza soccombere impietriti, atterriti. Tratto dal romanzo omonimo dell’irlandese John Boyne, Il bambino con il pigiama a righe è un film evocativo di un’epoca nera e tragica, rivista attraverso la psicologia di un’amicizia infantile e di una (pre)matura scelta di campo, complicate da una realtà storica di discriminazioni e di selezioni razziali. Immagini che richiamano per tutti la necessità di frequentare (sempre) la Memoria e di non considerare mai risarcito il debito con il nostro passato.

Per visionare il calendario completo delle iniziative proposte dall’Associazione Culturale Hermes Academy e da Strambopoli, presidio Arcigay nella provincia di Taranto, per proposte di collaborazione e condivisioni di idee, vision, mission e obiettivi, consultare il sitowww.hermesacademy.blogspot.it e scrivere aluigi_pignatelli@hotmail.it

 

 

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