PROVINCIA. Due sindaci condannati: due pesi e due misure della Prefettura
Il sindaco di Lizzano Macripò, dopo la condanna in primo grado, è stato sospeso. Quello di Roccaforzata, nonostante una condanna patteggiata a due anni, no!
A volte basta un’ordinanza illegittima e una condanna a sei mesi con pena sospesa perché il Prefetto di Taranto firmi il documento che sospende un sindaco dalle sue funzioni. È accaduto a Lizzano con protagonista Dario Macripò: il prefetto Donato Cafagna ha preso atto della condanna (anche se non definitiva) e ha applicato quanto previsto dalla legge. «Bene, bravo, bis!» verrebbe da dire.
In altri casi, invece, le cose non vanno proprio allo stesso modo. È il caso di Vincenzo Pastore, lo «zar» di Roccaforzata: finito in carcere nella maxi inchiesta sulla tangentopoli nella Marina militare, ha confessato al pm Maurizio Carbone di aver tentato di truccare un appalto da 11 milioni di euro e di essere stato latore di una tangente per conto di un altro imprenditore, ha ottenuto i domiciliari e poi è tornato libero fino a patteggiare una pena a 2 anni e 1 mese di reclusione.
Tutto questo non è bastato perché Pastore si dimettesse, anzi: appena tornato in libertà ha ben pensato di dare sfoggio della sua sfacciataggine presentandosi con tanto di fascia tricolore al corteo religioso della festa patronale: una sconvolgente dichiarazione di sfida al buon senso e alle istituzioni.
La sua vicenda giudiziaria non è bastata neppure a smuovere le coscienze dei consiglieri di maggioranza e degli assessori: nessuno ha voluto prendere le distanze da Pastore e anzi continuano a sostenerlo pur sapendo di quali reati si è macchiato il capo della loro amministrazione. Ironia della sorte tra i suoi sostenitori ci sono un finanziere, due poliziotti, un agente della polizia penitenziaria e un marinaio: servitori dello stesso Stato che ha emesso una pena di 2 anni reclusione nei confronti del sindaco. Tra i corridoi del Comune in tanti mugugnano sul pericolo di essere trasferiti lontani da casa se dovesse cadere l’amministrazione.
La pena patteggiata da Pastore non è stata sufficiente perché la Prefettura ionica emettesse il provvedimento di sospensione come avvenuto nel caso di Macripò: dal punto di vista codicistico il patteggiamento non ha la stessa valenza di una condanna e in prefettura, nonostante l’imbarazzo dilagante, pare non siano intenzionati a prendere provvedimenti per un amministratore pubblico che continua a gestire il denaro pubblico dopo aver sostanzialmente ammesso di aver provato a truccare il mega appalto altrettanto pubblico.
Una vicenda inquietante che sembra lasciare un preoccupante insegnamento agli amministratori pubblici: se venite colti con le mani nella marmellata non fate come Macripò, seguite l’esempio di Pastore e patteggiate.
Francesco Casula
FONTE
La gazzetta del mezzogiorno dell’11 marzo 2018