Alessandro Zizzo torna dietro la macchina da presa per dirigere APOLIDE, short-film sull’amicizia tra un “medico” e un “migrante”.

Alessandro Zizzo torna dietro la macchina da presa per dirigere APOLIDE, short-film sull’amicizia tra un “medico” e un “migrante”.

Saranno Paolo De Vita e Alassane Sadiakhu i protagonisti di APOLIDE, “short film” scritto da Alessandro Zizzo e Maristella Tamborrino, diretto dallo stesso Zizzo e prodotto dalla Sinossi Film di Pietro Manigrasso e da Agorà, in collaborazione con APULIA FILM COMMISSION

La storia è incentrata su un’amicizia nata tra il Dottor Domenico Galetta e il suo paziente Dabo, un ragazzo della Guinea costretto ad affrontare una doppia battaglia, la prima contro il mare e la seconda, una volta giunto in Italia, contro il cancro.

PAOLO DE VITA

Ad affiancare i due protagonisti Paolo De Vita e Alassane Sadiakhu, ci saranno l’attrice brindisina Lidia Cocciolo, che ha già lavorato con Zizzo nel suo ultimo lungometraggio (in fase di post-produzione): l’ultimo giorno del toro e la francese Ludivine d’Ingeo.

LIDIA COCCIOLO

Le riprese si svolgeranno nei prossimi giorni in puglia, tra Bari, Manduria e le spiagge di Campomarino.

LUDIVINE D’INGEO

Al fianco di Alessandro Zizzo e del suo aiuto regista Giuseppe D’Oria, ci saranno il direttore di produzione Gregorio Mariggiò, supportato da Massimo Cosma, il direttore della fotografia Pietro Cinieri e il tecnico del suono Marco Rollo. Il montaggio sarà curato da Fabrizio Manigrasso.

ALASSANE SADIAKHU

“Dabo è nato in Guinea nel 1989. E’ musulmano, appartiene all’etnia Malinke ed è laureato in scienze politiche; il suo più grande desiderio era specializzarsi in relazioni internazionali raggiungendo la Francia, scelta come meta perché la Guinea è francofona.

Ha deciso “coscientemente” di lasciare la famiglia e di iniziare un percorso di avvicinamento alla Francia attraverso il Mali, quindi la Nigeria, dove ha lavorato per cinque mesi prima di trasferirsi in Libia, con la promessa che sarebbe stato ospitato in casa di amici che lo avrebbero aiutato a raggiungere la Francia.

Così non è stato e Dabo si è ritrovato in Libia più che “ospitato”, in realtà, in una casa-prigione. Il suo lavoro di “vera schiavitù” per altri cinque mesi è servito solo a garantirgli un posto su un barcone che non si sapeva se e quando sarebbe partito. Una sera, all’improvviso, fu informato della partenza all’alba del giorno dopo. Dabo non sapeva (e non sa) nuotare.

Sbarcato in Sicilia è stato inizialmente collocato al CARA di Massina e poi trasferito al CARA di Bari. Aveva tosse continua, con qualche traccia di sangue.

Nero, giovane, con tosse: ipotesi quasi obbligata era quella di una tubercolosi. Da qui il trasporto in un centro specializzato a Lecce.

Mi trovo di fronte Dabo, per la prima volta, una mattina di novembre del 2016, nell’ambulatorio di Oncologia Polmonare dell’ospedale dove lavoro.

Era accompagnato da una psicologa e da una traduttrice.

Veniva con una diagnosi di carcinoma polmonare con metastasi alle ossa. Non parlava (capiva sicuramente tutto), un cellulare stretto fra le mani ed occhi enormi che mostravano un’età ed una vita vissuta, molto più dei suoi 27 anni.”

Queste sono le parole del Dottor Galetta, responsabile dell’oncologia medica-toracica dell’ospedale “Giovanni Paolo II” di Bari.

 

viv@voce

Lascia un commento