MANDURIA. “Alcune riflessioni sui recenti tragici fatti che hanno coinvolto la nostra comunità”
Nota stampa dell’Associazione Politico Culturale “Citta Più”
La morte del concittadino Antonio Cosimo Stano ha lasciato nello sgomento un’intera cittadina. I fattori scatenanti sono vari. Oltre l’efferatezza degli atti vandalici di cui la vittima era da tempo destinataria, colpisce con pari forza il fatto che gli aggressori fossero così numerosi, ad oggi 8 persone, di cui 6 minorenni e due neo maggiorenni.
Non può passare in secondo piano l’eco mediatico che tale episodio ha sollevato, tratteggiando una città che da più parti è stata definita come omertosa, insensibile, ovvero priva di quei valori morali su cui si costruisce una sana identità civica. Il fatto, inoltre, che tali giudizi siano stati formulati oltre che dai giornalisti in cerca di effetti sensazionalistici anche da importanti figure istituzionali, più o meno vicine alle realtà manduriana,lascia profondamente esterrefatti, per la banalità e la leggerezza di talune esternazioni.
Da tempo vengono pronunciate da più parti (in rete, in tv, nelle sedi istituzionali) giudizi sommari di condanna di un’intera comunità, stigmatizzata come la Sodoma della provincia tarantina, sorda ai proclami della Legge e al rispetto delle più elementari regole di convivenza. Dobbiamo confessare un certo imbarazzo nel tentativo di ribattere a simili cretinerie, che denunciano una pochezza di intelligenza e di senso logico, tanto più ripugnante in considerazione del danno d’immagine che la città, agli occhi del resto d’Italia, sta subendo.
Sarebbe bene ricordare ai nostri detrattori un noto adagio popolare: “non si fa di tutta l’erba un fascio” (per rimanere ad un livello elementare della conversazione) per spiegare che estendere la colpevolezza di taluni ad un’intera comunità è da miope, da ignorante, da sedicente analista a meno che non si voglia sottintendere una certa malizia, un risentimento nascosto, un’acredine pregiudiziale. È come dire, in altre parole, che tutti i napoletani sono camorristi perché non hanno impedito che una bambina di quattro anni venisse colpita gravemente in un agguato il 3 maggio scorso, o che gli abitanti di Viterbo sono tutti stupratori perché alcuni cittadini, affiliati a Casa Pound, di cui uno consigliere comunale, si sono resi recentemente protagonisti di un’orribile violenza. E si potrebbe continuare all’infinito.
A quanti serenamente desiderano conoscere la storia di Manduria e dei suoi cittadini sarebbe opportuno parlare dell’alto numero di associazioni laiche e religiose che operano con spirito di devozione al servizio dei più deboli della società, di gruppi di cittadini che si adoperano per il rilancio culturale, ambientale, economico, cooperando con le istituzioni pubbliche. A ciò andrebbe aggiunto un dato rilevante: la grande capacità di Manduria di accogliere stranieri, come ricordato dalla stampa, e di favorire un clima di integrazione sociale, anche attraverso il progetto SPRAR del Comune, rivolto agli stranieri rifugiati politici. E volgendo la sguardo al passato, ritroviamo gli stessi segni, di una città ospitale che accolse con grande rispetto per la dignità umana l’allestimento del campo profughi sulla via per Oria nel 2011.
Manduria ha una grande storia ed ha un grande futuro inscritto nella laboriosità di tanti cittadini che prima degli eventi di cronaca hanno portato nel mondo l’eccellenza dei talenti (professionisti in ogni ambito) e dei suoi prodotti (frutto di impegno e grandissima professionalità).
Ora in ragione della sua forza e del suo grande valore spirituale, la città deve affrontare questo momento difficile. Lo deve fare con onestà intellettuale e lucidità razionale, ricercando oltre le responsabilità dirette anche quelle indirette di un episodio che innegabilmente lancia segnali molto forti.
Tracciare, infatti, una linea esclusiva di causalità tra gli aggressori e la vittima, rilevando solo la natura giudiziaria dell’evento, non libera o scagiona i cittadini sani dalla doverosa necessità di riflettere sulle ragioni sociali che hanno portato a tale triste episodio, la cui determinazione è il frutto di un agire comunitario che forse ha smarrito l’antica lezione dei padri, intrisa di valori di condivisione e di solidarietà.
La Città da troppo tempo vive una condizione di forte disagio per la difficoltà di una politica incapace di leggere le istanze della comunità, e di attivare misure di sostegno e di efficace intervento con il coinvolgimento degli uffici pubblici presenti sul territorio. Parimenti è sotto gli occhi di tutti la carenza di luoghi di aggregazione pubblici o privati che possano avvicinare i giovani, avviandoli a percorsi formativi decisamente costruttivi. Si avverte, in altre parole, una sensazione di abbandono generale che può essere stato l’alveo culturale, in cui si sono sviluppate da una parte le ragioni intrinseche di comportamenti così violenti, dall’altra una progressiva remissività e passività di parte della comunità.
Premesso che nessun forestiero possa esprimere giudizi così sanzionatori sulla storia culturale e valoriale della nostra comunità, sia per ignoranza che per impressione mediatica (ed in tal senso la reazione della comunità manduriana è fortemente legittimata!), occorre però fare uno sforzo comune per uscire dai ristretti argini della notizia di cronaca, i cui effetti termineranno quando saranno a breve spenti i riflettori sulla vicenda e saranno saziati gli appetiti di sprovveduti commentatori.
Questo episodio deve indurre alla riflessione, non nella brevità di tempi televisivi, più categorie sociali coinvolte, in primo luogo i genitori di quei ragazzi, e a seguire le istituzioni, le forze dell’ordine, gli assistenti sociali, gli insegnanti, quanti hanno visto e non hanno parlato, quanti sapevano ed hanno ignorato le grida di aiuto di Antonio Cosimo Stano.
Questo drammatico episodio può diventare l’occasione per ogni cittadino di rivedere il proprio ruolo all’interno degli ambiti familiari, professionali, comunitari, valorizzando il proprio contributo al fine di recuperare quei valori di convivenza, solidarietà, partecipazione attiva che potranno, più delle aule di giustizia, restituire alla città la credibilità che merita.