Ilva Taranto, processo “Ambiente svenduto”: chiesti 25 anni di carcere per i fratelli Riva e 5 anni per l’ex governatore Nichi Vendola
Quasi 400 anni di carcere: è questa la richiesta della Procura tarantina nei confronti di 35 imputati nel processo Ambiente Svenduto, ovvero il procedimento sul disastro ambientale e sanitario generato secondo l’accusa dalle emissioni nocive dell’ex Ilva di Taranto
Sono 35 le condanne per un totale di quasi 400 anni di carcere chieste dalla Procura di Taranto al termine della requisitoria nel maxi processo “Ambiente svenduto” sul disastro ambientale e sanitario generato secondo l’accusa dalle emissioni nocive dell’ex Ilva di Taranto.
Al nono giorno di requisitoria dinanzi alla Corte d’assise, i sostituti procuratori Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile, Remo Epifani e Raffaele Graziano con il procuratore facente funzione Maurizio Carbone hanno depositato le richieste di condanna e di assoluzione nei confronti dei 47 imputati (44 fisiche e 3 società) finite alla sbarra con accuse gravissime come associazione a delinquere finalizzate al disastro ambientale, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, corruzioni in atti giudiziari, omicidio colposo e altre imputazioni.
Le pene maggiori sono state richieste nei confronti della famiglia Riva, ex proprietari dello stabilimento ionico e ritenuti i capi dell’associazione a delinquere che avrebbe permesso, attraverso dati fasulli e contatti politici compiacenti, di proseguire negli anni la produzione inquinante evitando controlli, sanzioni e leggi che avrebbero potuto compromettere i profitti della società. Per Fabio Riva la procura ha chiesto 28 anni di reclusione e 25 per il fratello Nicola Riva.
E poi 28 anni per l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso e per Girolamo Archinà, ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva e ritenuto dalla procura la “longa manus” dei Riva: a lui, secondo quanto emerse dalle indagini era affidato il compito di mantenere i rapporti con la stampa e le autorità locali perché Ilva fosse al riparo dalle accuse degli ambientalisti o, più in generale, da rischi. Carcere per 7 anni chiesto anche per l’avvocato Francesco Perli, il legale amministrativista che per conto dell’Ilva avrebbe “pilotato” secondo la procura le ispezioni del gruppo istruttore ministeriale che nel 2011 concesse alla fabbrica l’autorizzazione integrata ambientale. Richiesta di carcere tra i 2 e i 20 anni per il cosiddetto “governo ombra”, la rete di consulenti e fiduciari dei Riva che restando al di fuori delle strutture ufficiali impartiva le disposizioni per mandare avanti la produzione. Pene tra i 17 e i 20 anni di carcere anche per i dirigenti e i capi area della fabbrica.
Condanne anche nei confronti della politica: chiesti 5 anni di carcere per Nichi Vendola, ex governatore di Puglia accusato di concussione ai danni di Giorgio Assennato, l’ex direttore generale di Arpa Puglia ritenuto troppo severo nei confronti della fabbrica. Una condanna a 4 anni è stata chiesta anche per Gianni Florido e a Michele Conserva, rispettivamente ex presidente della Provincia di Taranto ed ex assessore provinciale all’Ambiente, accusati di aver fatto pressioni, su richiesta di Archinà, nei confronti dei dirigenti della Provincia per concedere alla società l’autorizzazione all’utilizzo delle discariche interne alla fabbrica: un’autorizzazione che, in realtà, arrivò in realtà nel 2013 grazie a uno dei numerosi decreti “Salva Ilva” varati dai diversi Governi che dal 2012 a oggi hanno dovuto confrontarsi con l’eterno nodo “salute lavoro”.
Piccole richieste di condanna anche altri politici: tra queste spiccano i nomi di Donato Pentassuglia, attuale assessore all’agricoltura della Puglia accusato di favoreggiamento ad Archinà per aver negato di aver incontrato Archinà mentre questi tirava i fili per “distruggere” Assennato, e il parlamentare Nicola Fratoianni, accusato di favoreggiamento nei confronti di Vendola.
Richiesti di 17 anni di reclusione per Lorenzo Liberti, l’ex consulente della procura è accusato di aver intascato una mazzetta da 10mila euro per ammorbidire una perizia affidata dai pubblici ministeri e scagionare l’Ilva dall’accusa di aver diffuso diossina nei terreni e nei pascoli intorno alla fabbrica. E poi 1 anno di carcere per Giorgio Assennato, ex dg dell’Arpa e divenuto nemico giurato dell’Ilva per le sue campagne di monitoraggio che inchiodavano la fabbrica, era accusato di favoreggiamento nei confronti di Vendola.
Dello stesso reato rispondevano anche il direttore scientifico di Arpa Massimo Blonda (8 mesi), l’ex Dirigente del Settore Ecologia della Regione Puglia Antonello Antonicelli, l’allora capo di gabinetto di Vendola Francesco Manna, il direttore dell’area sviluppo economico Davide Pellegrino: per tutti la richiesta è stata di 8 mesi. Sono state 9 infine le richieste di non luogo a procedere per sopraggiunta prescrizione: è il caso di Ippazio Stefano, ex sindaco di Taranto, accusato di omissione in atti d’ufficio per non aver avviato alcuna iniziativa a difesa della salute nonostante la piena consapevolezza dei rischi corsi dalla popolazione tarantina.
Prescritte anche le accuse nei confronti dei tecnici ministeriali come Dario Ticali, presidente della commissione Aia, e Luigi Pelaggi ex capo della segreteria tecnica dell’ex ministero Stefania Prestigiacomo: accusati di aver intrattenuto contatti “non istituzionali” con i vertici della società Ilva e di aver passato ai suoi dirigenti informazioni riservate sui lavori della commissione.
Francesco Casula
FONTE
Ilfattoquotidiano.it del 17 febbraio 2021