DIFFAMAZIONE. Condannato il direttore di questo giornale a sei mesi con la sospensione condizionale della pena

DIFFAMAZIONE. Condannato il direttore di questo giornale a sei mesi con la sospensione condizionale della pena

La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha concesso il beneficio dell’articolo 163 del Codice penale

Alla luce di questa sentenza di secondo grado, da ricordare che nella sentenza di primo grado la condanna fu di sette mesi con pena esecutiva.

La Corte d’appello ha ritenuto di “concedere il beneficio all’ìmputato” in quanto le motivazioni e le doglianze di appello sostenute dal difensore  dall’avvocato Ivan Zaccaria, del foro di Taranto, hanno convinto i magistrati i quali hanno concesso il beneficio della sospensione condizione della pena ma sono state confermate le statuizioni  civili.

I FATTI, I TEMPI E LE CONSIDERAZIONI

Fu nell’autunno del 2013 che Dario IAIA presentò una raffica di denunce, una dietro l’altra, contro il sottoscritto (credo che fossero una decina o giù di lì)  per ben 15 articoli che lo riguardavano e su 11 articoli  sono stato assolto ma i restanti 4 sono stati ritenuti diffamatori dai giudici. Ma oltre alla diffamazione lo IAIA presentò anche la denuncia nei miei confronti per istigazione a delinquere (Articolo 414 Codice Penale) e per Stalking (art. 612-bis c.p.).

Per la cronaca fui il primo giornalista in Italia ad avere queste due ultime due denunce nel 2013. Reati questi due che, se fossero stati ritenuti idonei dai giudici, ci poteva stare anche l’arresto. Ma andiamo allo svolgimento del processo.

Per la prima, istigazione a delinquere, ci fu l’assoluzione d’avanti al giudice per le indagini preliminari (Gip), mentre invece per la seconda, lo Stalking, ci fu l’assoluzione d’avanti al Giudice per l’udienza preliminare (Gup).

Alla luce di queste due sentenze di assoluzione Dario IAIA fu denunciato per calunnia (Articolo 368 Codice Penale) e da qui, da imputato, fu rinviato a giudizio. Credo che tutti sappiamo che non si può accusare una persona per un reato che non ha commesso il quale viene dichiarato nella denuncia, ma “miracolosamente” lo IAIA fu assolto dal Giudice per l’udienza preliminare (Gup). Inoltre questo processo va avanti da ben 8 anni, ma tutti sappiamo i tempi biblici quali sono.

Quindi, ricapitolando, tutto il castelletto di carte, il quali avrebbe sostenuto l’accusa, sono state quasi tutte demolite. E’ restato in piedi solo il reato di diffamazione. Andiamo avanti a testa alta. Sempre convinto delle mie ragioni e non mi è mai venuto in mente di presentarmi con il cappello in mano e a chiedere scusa allo IAIA per far sì che ritirasse le denunce nei miei confronti.

Non è nel mio modo di informare. Assolutamente. Le responsabilità credo che un giornalista quando scrivere deve essere conscio di ciò che comunica  e deve prendersi tutto l’onere e l’onore di quello che dice, o meglio di quello che scrive. E non ho mai, dico mai, cercato di mettere “persone” in mezzo per il ritiro delle denunce. Andrò avanti a testa alta e userò tutti gli strumenti che il nostro Stato di diritto mette a disposizione del cittadino.

E non mi sono mai sognato, tra l’altro, di chiamare figure istituzionali per fargli fare da paciere, magari di investitura regionale, come ha fatto un “famoso” giornalista del Salento che si crede di essere la voce della verità ma quando sente l’arrivo di una querela si fa, quasi letteralmente, sotto.

Nel libro “Il giorno della civetta” lo scrittore Leonardo Sciascia, per come vedeva il comportamento degli uomini, usò questa definizione: “Uomini, mezz’uomini, ominicchi e quaquaraquà”.

Orgoglioso di non appartenere all’ultima categoria. A differenza, sempre per il giornalista del Salento, di essere il vero paladino della quarta categoria.

Giovanni Caforio

 

 

 

viv@voce

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