OBR 2022 a Taranto: il corpo tra concretezza e giudizi
Tra meno di una settimana torna il One Billion Rising. Il 14 Febbraio in tutto il mondo rispondiamo alla call to RISE for the Bodies of All Women, Girls & the Earth: un miliardo di donne (e non solo) si sollevano, lottano e ballano
Dal 2013 anche Taranto partecipa alla mobilitazione internazionale ideata dall’attivista Eve Ensler 10 anni fa (qui il report dell’edizione 2021).
In programma dalle 17 alle 21 di Lunedì 14 Febbraio un flash mob a tappe (Piazza Maria Immacolata, Piazza Della Vittoria, Piazza Garibaldi), con l’esecuzione della coreografia sulle note di Break the Chain, l’attacchinaggio di toponomastica simbolica lungo le vie del centro storico e del borgo umbertino (a grandi linee la medesima serie di iniziative proposte negli ultimi anni), open mic, testimonianze, workshop, reading e dibattito.
Si prevedono anche alcuni incontri formativi nelle scuole in collaborazione con il CAV Rompiamo il Silenzio, coordinati dall’Associazione Sud Est Donne. Non si esclude la possibilità di realizzare delle dirette Web e video divulgativi da condividere sul canale YouTube della Hermes Academy (come lo scorso anno).
Per info, proposte e adesioni, contattare le pagine social di Hermes Academy, Arcigay Strambopoli QueerTown Taranto, Taranto Pride, il numero +39 388 874 6670 o l’indirizzo email luigi_pignatelli@hotmail.it
Il corpo tra concretezza, giudizi e un punto di vista asessuale di Roberta Frascella, direttivo Hermes Academy
Corpo. Quanti significati può assumere questa parola! Possiamo riferirci a una porzione limitata della materia, dandole un’accezione legata alla fisica, oppure a un astro, un pianeta, un oggetto che vaga nello spazio celeste; possiamo riferirci a un qualsiasi oggetto materiale, soprattutto nel linguaggio medico e giuridico (un corpo estraneo o un corpo contundente, ad esempio); possiamo riferirci a un cadavere o, nella religione cattolica, all’ostia che diventa manifestazione di Cristo; possiamo riferirci a un complesso di persone che si riuniscono in un’associazione o all’insieme di tutte le opere di un autore; possiamo riferirci, in tipografia, alla grandezza del carattere che utilizziamo per scrivere; infine, ma non per importanza, possiamo riferirci a uno degli elementi che ci rende una persona.
C’è un leit motiv che lega tutte queste definizioni ed è riassumibile nei concetti di concretezza e manifestazione: ogni corpo supera i concetti, le idee, le astrazioni per rendersi concreto, presente ai cinque sensi, sia in entrata che in uscita. Se passiamo a quello che ci interessa qui, ovvero il corpo come quella parte che compone la nostra persona, ci rendiamo conto che è proprio tramite esso che esperiamo il mondo circostante, compreso gli altri corpi, ed è tramite esso che le altre persone possono incontrarci, fare la nostra conoscenza, avere un contatto con noi.
Si dice infatti che il nostro corpo sia il nostro biglietto da visita e chiunque di noi si è lasciata penetrare da quest’idea: banalmente, quando stiamo nell’intimità della nostra casa non ci preoccupiamo di calzini spaiati, pantofole ipercolorate o capelli in disordine, ma non ci sogneremmo mai di andare a un matrimonio o a un funerale vestitз in questo modo. Insomma, abbigliamo il nostro corpo, aggiungiamo dei simboli, degli elementi di comunicazione, a qualcosa che già di per sé reca con sé un messaggio, anche nudo, anche scoperto.
Il corpo è la cosa con cui dobbiamo fare i conti ogni giorno della nostra vita, a volte ce ne dimentichiamo, mentre altre volte gli diamo un’attenzione particolare, come quando dobbiamo porre attenzione a eventuali sintomi perché la medica ce l’ha chiesto oppure dobbiamo prepararci per un appuntamento con una persona che ci piace particolarmente. Non porvi attenzione o porvi eccessiva attenzione: il problema è sempre la polarizzazione.
Mi spiego. Al netto del fatto che, secondo me, anche se non ci concentriamo volontariamente sul corpo che ci mette in comunicazione col resto del mondo – mica pensiamo ai nostri occhi che guardano intorno, guardiamo e basta –, questo comunque ci permette di mediare tra una presunta interiorità, quella che potremmo definire anima, e il resto del mondo, oggigiorno è più comune la tendenza all’oggettivazione del corpo, il proprio e l’altrui.
E così, via di quello che definiamo body shaming, una pratica in cui si criticano, discriminano ed escludono alcuni corpi solo in virtù di alcune loro caratteristiche che non sono socialmente accettate, che non si confanno a degli standard culturalmente artefatti: il grasso, la disabilità, il colore della pelle diverso da quello della maggioranza di persone attorno a noi, la malattia cronica o momentanea, i peli quando troppi o troppo pochi e i capelli corti o lunghi e un’altra marea di cose, fino ad arrivare ai genitali, dalla cui forma o presenza molte persone rimangono sconvolte – un po’ per il tabù che gira intorno ad essi, un po’ perché determinate caratteristiche fisiche non ce le immaginiamo su alcune tipologie di corpi (banalmente, una vagina ce l’aspettiamo su una donna e un pene su un uomo, ma non è sempre così).
Quando il corpo devia da una norma, crea in noi delle reazioni forti: da un lato ne siamo spaventatз, come del resto da ogni cosa che non conosciamo o che non ci è familiare, mentre dall’altro siamo quasi arrabbiati con lui perché disattende le nostre aspettative e ci pone davanti all’idea che potrebbe essere veicolo di un messaggio sociale e politico che non vogliamo sentire – o peggio, nel più assurdo dei paradossi, perché sta solo esprimendo un’individualità e non ha alcuna rivendicazione culturale che siamo solitз attribuirgli.
Quel corpo che dovremmo trattare con gentilezza è troppo spesso oggetto di pratiche malsane, che non giovano a lui e alla persona che rappresenta, laddove autolesionismo e disturbi alimentari sono solo alcune delle manifestazioni più mortificanti e, nella percezione di chi le vive in prima persona, inevitabili. Quel corpo che la medicina occidentale esalta, mettendolo al primo posto delle preoccupazioni della sanità, dimenticandosi dell’importanza della salute mentale, a doppio filo legata con esso, ma che ci appare come qualcosa di strano, alieno e ancora troppo astratto.
Se non vedo non credo: così Tommaso mette le mani nel costato di Cristo dopo la sua resurrezione, come raccontano i Vangeli. Così, se non lo maltrattiamo perché non aderisce a determinati canoni socialmente imposti, non lo sentiamo, non lo capiamo: io, da quando ho sofferto di DCA, ho una consapevolezza sul minimo cambiamento del mio corpo che prima non avevo, mi sento molto più corpo da quando ho attraversato quell’inferno fiorito.
Paradossalmente però, ho imparato a fare meno riferimenti e a spendere meno parole sul corpo altrui: passare in quella sofferenza dove il corpo diventa un mezzo – concreto, sempre concreto – per esprimere determinati disagi significa capire che i giudizi taglienti su quello che si mostra di essere fanno male all’anima. Quando separiamo queste due sfere, corpo e anima, cadiamo in un errore filosofico madornale: non voglio portare qui discussioni sulla psicosomatica o sulla medicina, ma basti pensare che prima di un evento importante la salivazione viene meno e il cuore comincia a battere forte o prima di fare sesso la lubrificazione si accentua.
Nella società della performance e dell’immagine che viviamo oggi, i corpi sono al centro della discussione e, diciamocelo, le persone trans* o quelle disabili ci mettono a disagio proprio in virtù del corpo, della loro concretezza, del loro essere vive e presenti laddove abbiamo fatto di tutto per sotterrare la loro esistenza e far finta che non ci fossero. Le diete ripetute una dopo l’altra, le operazioni di transizione, la ceretta sono alcuni dei mezzi con cui cerchiamo di addomesticare il corpo, dimenticandoci che è importante sì, ma in relazione a chi esprime, ovvero una persona, che è degna di esistere in virtù della sua unicità e che nessunə può permettersi di giudicare inadatta.
Vi voglio parlare ora, in breve, di cosa significa essere una persona asessuale – cioè non provare attrazione sessuale – e avere un corpo. Beh, direte voi, sei una persona, quindi il corpo ce l’hai; al livello successivo mi aspetto un “ma scusa, sei asessuale, il corpo lo sprechi, che te ne fai?”. La sessualità passa necessariamente dal corpo e dal contatto tra i corpi, ma l’intimità è un’altra cosa, che può implicare sicuramente la sessualità, ma non si esaurisce lì: è il contatto tra anime. Non provare attrazione sessuale potrebbe essere svilente per la persona che ci sta di fronte, che non diventa l’oggetto delle nostre pulsioni sessuali, ma questo meccanismo funziona in una società, dove purtroppo siamo, in cui la sessualità è osannata e sopravvalutata: non che per qualcuna non sia importante, non che non ci sia gente a cui piace genuinamente, ma non possiamo ridurre il corpo solo a quella dimensione.
Il corpo asessuale fa paura perché, al contempo, può essere oggetto di attrazione sessuale da parte di altre persone, ma non prova la stessa cosa nei confronti di altre, inceppa i meccanismi del dominio dell’immagine e del corpo come merce sul banco del capitalismo la cui moneta di scambio è la sessualità. Non spreco il mio corpo, anche perché asessualità non vuol dire castità o astinenza (sebbene le due dimensioni possono convivere per alcune persone), ma vivendo la mia asessualità – che è ciò che sento, quindi è astratta – do dignità al mio corpo, gli rendo giustizia per ciò che esso è e rappresenta davvero, la mia persona svincolata dalla norma allonormativa e pienamente sé stessa.
Rivalutiamo il corpo da un altro punto di vista, cerchiamo di renderci accoglientз verso ogni corpo che abbiamo svalutato sinora fino a rendere la cosa consueta, esprimiamo la nostra persona anche tramite la dimensione corporea con qualsiasi segno ed elemento sentiamo di farlo. Liberiamo i corpi dalla prigione in cui li facciamo vivere per adeguarci a norme che non ci rappresentano, ribaltiamo tutto e scriviamo noi delle norme, sulla sabbia però, cosicché siamo liberз di modificarle quando ne sentiamo il bisogno, per sentire davvero addosso ciò che stiamo cercando.