TARANTO. “Cùnde e Cande” e il social network dei nostri nonni

TARANTO. “Cùnde e Cande” e il social network dei nostri nonni

L’equinozio di Primavera è ormai giunto ma quello appena arrivato è inizio della dolce primavera caratterizzato da pioggia e freddo: la prima metà di marzo il freddo è stato da record, ma è in arrivo dalla Russia un nuovo crollo delle temperatura

Le prime due settimane  di marzo sono state le più fredde e da ricerche condotte, pare che siano le più fredde dal 1860 ad oggi.

Bisognerebbe, dunque, pensare a qualche strategia per potersi riscaldare in un ambiente confortevole e caldo, un luogo che possa riscaldare nel corpo ma soprattutto nel cuore. Ma come si riscaldavano i nostri nonni nelle gelide sere d’inverno? Bene, gli impianti di riscaldamento all’epoca erano un miraggio e il caminetto non sempre era presente nelle case, dunque utilizzavano  ‘a frascère, ossia il braciere.

Gli amici delle ass. “Tarantinìdion APS” e Taranto: una finestra su … in collaborazione con la “Vito Forleo” di Taranto,  sabato 26 marzo 2022 alle ore 18:30 al civico 131 di Via Duomo c/o il Centro Ricerche e Documentazione ‘a Putéje Arte e (è) Cultura in Città Vecchia a Taranto, faranno scoprire quel tepore che si percepiva un tempo, rigorosamente, attorno al braciere, con l’evento “ Cùnde e Cande attùrne ‘a frascère jindr’ a ‘nu juse – Racconti Musicati ”. 

Quello che ci aspetta sabato 26, previa prenotazione obbligatoria, sarà un evento alquanto singolare, proprio perché sarà una full immersion nel passato, condita da canti popolari, racconti e storie alcune ancora inedite di una  Taranto scomparsa,  in un  percorso multisensoriale. Suggestiva cornice dell’evento sarà un vero e proprio “Juse”  (Juso) filo conduttore dell’intera serata. Nel corso dell’esibizione di musici nostrani, i partecipanti potranno degustare i sapori della tradizione di un tempo, ormai dimenticata, l’aperitivo tipico proprio come era costumanza dei nostri nonni.    

Fino al secolo scorso, molte famiglie disagiate della Taranto di una volta, abitavano “jindr’ a nù juse”, ossia abituri poveri, disadorni e  privi di servizi igienici. Molto spesso umidi perché presenti nella città bimare per eccellenza,  raramente pavimentati e soprattutto con una sola fonte di luce: la porta d’ingresso che, durante il giorno, restava sempre aperta.

La casa poverella, così descritta dai ricercatori d’altri tempi, arrivava ad ospitare più nuclei famigliari di solito anche fino 15 persone. Essendo una sola stanza di medie piccole dimensioni, bisognava arrangiarsi e per dividere i poveri giacigli, fatti in paglia, dallo spazio dove si soggiornava e si mangiava, si usavano le lenzuola appese.  

Come era consuetudine nel secolo scorso, anche fino ad azzardati e pallidi anni ’60,  si usava riscaldarsi tutti insieme in un’unica stanza e all’interno dello Juso, non essendoci nemmeno il caminetto, soleva riscaldarsi  attorno ‘a frascère, ossia il braciere, un grosso piatto circolare metallico, in cui si poneva il carbone detto ‘a cinice. Questo braciere posto quasi sempre al centro della stanza, rappresentava l’elemento del focolare domestico, attorno al quale si godeva del calore sia fisico che umano, proprio perché i modelli più complessi possedevano anche una pedana circolare in legno, su cui si potevano poggiare i piedi.

Ma accendere ‘a frascère , certamente, non era solo l’atto semplice di riscaldare l’ambiente, e no era molto di più.   Accendere e maneggiare questo curioso braciere  era un vero e proprio  “atto d’ amore”.  Perché questo strabiliante recipiente, soprattutto nelle serate più fredde costringeva le persone ad avvicinarsi ad esso, poggiando i piedi sul poggiapiedi,  per catturare il suo calore.

E quando le persone si avvicinavano, iniziavano a parlare e a raccontare le cùnde, cioè i racconti. L’intera scena che si andava a ricreare era un momento davvero bellissimo, in particolar modo per le donne del tempo, tempi in cui non vi era altro svago se non quello di stare tutti insieme a raccontare e a raccontarsi.  Il tutto era accompagnato dal suono dolce della voce di mamma o di nonna che narravano storie, favole e leggende, appunto “le cùnde”.  I Racconti avevano il compito di intrattenere i bambini quando ancora non c’era l’ausilio della televisione. Nelle fredde serate d’inverno, intorno al fuoco le nonne raccontavano storie, alcune realmente accadute, altre sentite raccontare quando loro stesse erano bambine e i bambini le ascoltavano con molta attenzione.

Erano storie, alcune condite con folklore nostrano e altre ancora, con un bel pizzico di pepe, ma erano raccontate così bene che non sembravano così scandalose. Le veglie, attorno al focolare, sono state, per molto tempo, occasione di cultura e di invenzione folkloristica. Le fiabe, gli incubi, i terrori, i desideri di veder trionfare la giustizia sono nati e si sono esorcizzati proprio lì, attraverso le narrazioni degli “aedi” del mondo contadino.

Il vento, i rumori dell’esterno, i versi degli animali notturni contribuivano ad aumentare il fascino delle parole del grande affabulatore e la paura dei piccoli, e dei grandi, ascoltatori. Ma tornando all’evento in programmazione per sabato 26 marzo in Città Vecchia a Taranto,  fortemente voluto dalla cordata soprindicata nel rispolverare questa curiosa tradizione popolare, la prima parte della kermesse popolare sarà animata e musicata da artisti nostrani, come: Cinzia Pizzo ricercatrice di tradizioni popolari, voce e  pluriventennale danzatrice di danza popolare dell’arco Jonico, Giù Di Meo canta-educatrice dal tono caldo e graffiante cantautrice, quasi a voler scalfire e smussare la realtà ed i contesti e Antonello Cafagna  fotoreporter, cineoperatore e documentarista anche prestato alla tradizione popolare tarantina nostrana.  

Nella seconda parte, forse un po’ più di nicchia, vi sarà l’esposizione di un percorso etnologico a cura di Vincenzo Ludovico, ricercatore in storia locale e cultura del territorio, nonché, delle tradizioni etnoantropologiche del Salento. Il percorso di tipo multisensoriale sarà condotto tra profumi, sapori e oggetti d’uso antico e non solo, appositamente ricreato in un vero e proprio Juso della tradizione tarantina. Un tipico esempio costruttivo di come poteva essere uno Juso può essere l’attuale casa-museo di Sant’Egidio ubicata sul Pendio La Riccia, sempre in Città Vecchia.  

Il tutto sarà scandito da pietanze che si assaporavano attorno al braciere a suon di musica popolare, insaporite da racconti buffi, raccapriccianti e perché no, anche piccanti. Quello di sabato 26 marzo, nel pieno rispetto delle normative anti-covid19, sarà una ulteriore occasione di condivisione e rispetto nel rivalutare le nostre radici. Si raccomanda, vivamente l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale (FFP2/FFP3) con accesso alla sede previo Green Pass rafforzato o tampone negativo nelle 48 o 72 ore precedenti.  

NECESSARIA LA PRENOTAZIONE: Info e prenotazioni WhatsApp al numero:

3770948143.

viv@voce

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